editoriali

Assolto l'ex rettore di Tor Vergata Giuseppe Novelli, dopo otto anni di gogna

Redazione

Nel 2016 la condanna preventiva a mezzo stampa, nel 2024 la caduta di tutte le accuse

Assolto in appello dopo otto anni, con formula piena, da ogni accusa che gli era stata rivolta quando era rettore a Tor Vergata: Giuseppe Novelli non ha mai commesso i reati che gli erano stati contestati, con tanto di character assassination e costruzione del caso mediatico-giudiziario, specie nell’automatismo tra titoli accusatori sui quotidiani e colpevolezza presunta a monte del giudizio in tribunale.

 

Un passo indietro può essere utile: nel 2016 Novelli, ricercatore e genetista di fama internazionale nonché appunto rettore di Tor Vergata, viene accusato di tentata concussione e istigazione alla corruzione, previo ricorso al Tar da parte di due ricercatori a tempo indeterminato (con abilitazione scientifica a professore) che contestavano a Novelli la “chiamata” di altri colleghi, definiti “senz’altro titolati”, ma “incidentalmente figli di professori di Tor Vergata”.

 

Il caso esplode anche per via di un colloquio registrato da uno degli accusatori, all’insaputa di Novelli, un anno prima della denuncia, colloquio in cui Novelli, (provocato, dirà Novelli), parla con tono sopra le righe e pronuncia una parolaccia. Le sue frasi, estrapolate dal contesto, finiscono in rete e su alcuni quotidiani, con titoli del tipo “minacce ai ricercatori”, “baroni mai puniti”, “cattedre ad amici e parenti”. Prima ancora che si arrivi all’udienza preliminare, la narrazione pubblica si fa accusatoria (sul Fatto, ma anche, pur con sfumature diverse, sul Corriere della Sera).

 

Novelli prova a difendersi intanto mediaticamente dall’accusa di truccare i concorsi, spiegando che, dopo la riforma Gelmini, il rettore non ha potere di intervento sulle procedure concorsuali,  inascoltato dalla pletora dei colpevolisti di riporto. Intanto in Aula le accuse vengono smontate una a una (peccato di “parolaccia” compreso). Solo che bisogna arrivare al  2024. In mezzo, otto anni di dolore, dirà l’imputato. E di nonsense, specie per il cosiddetto circo mediatico-giudiziario.