L'intervista

"La norma anti-rave? Un caso di analfabetismo legislativo". Parla Tullio Padovani

Ermes Antonucci

Per il luminare del diritto penale il decreto contro i raduni illegali approvato dal governo Meloni è un "pasticcio". Per la sua estrema vaghezza potrà essere applicato anche ai casi di occupazione di edifici scolastici e universitari. "Nordio sarà sicuramente contrario"

"Un caso assoluto di analfabetismo legislativo. Si tratta di un testo desolante, perché non corrisponde a nulla di ciò che si chiede a una norma penale”. Non usa mezzi termini il professor Tullio Padovani, docente emerito di Diritto penale alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, nel commentare i contenuti della norma anti-rave party approvata lunedì dal Consiglio dei ministri. Nelle intenzioni della premier Giorgia Meloni e del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, la norma dovrebbe servire a contrastare i rave illegali, come quello tenutosi a Modena nei giorni scorsi.

 

La norma introduce un nuovo articolo al codice penale, il 343-bis, che stabilisce: “L’invasione per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica. Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000. Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita”.

 

“La norma comincia con una definizione, come fanno i vocabolari”, afferma Padovani. “Il testo, però, stabilisce soltanto che il reato sussiste quando c’è l’invasione di un terreno o di un edificio altrui, e quando ci sono almeno 50 persone. Non viene detto nulla di quando si realizza un pericolo per l’ordine pubblico o per l’incolumità pubblica o per la salute pubblica, che restano nozioni vaghe, vaghissime. In altre parole, viene ripetuto l’oggetto da definire, attraverso un meccanismo tautologico. O è una presa in giro o è un caso di assoluto analfabetismo legislativo”. 

 

“Siamo di fronte a concetti che non sono definiti da nessuna parte, a fattispecie che quindi saranno riempiti ex post dall’interprete”, aggiunge Padovani. E proprio per la sua vaghezza, la norma potrà tranquillamente essere applicata anche ai casi di occupazione di edifici scolastici e universitari.

 

Nessun dubbio, comunque, sulla possibilità per la magistratura di realizzare intercettazioni: essendo prevista una pena massima superiore a cinque anni, i pm potranno chiedere ai giudici l’effettuazione di intercettazioni. Ma solo nei confronti degli organizzatori dei raduni illegali: “Di solito nelle norme penali si puniscono i partecipanti e si prevede un’aggravante per gli organizzatori, come nell’associazione a delinquere. Qui invece hanno creato due titoli autonomi, uno per gli organizzatori e uno per i partecipanti. Ne consegue che il partecipante non potrà essere intercettato, perché per lui è prevista una pena inferiore a sei anni”. Come faranno gli inquirenti a distinguere tra organizzatori e partecipanti? Chissà.

 

Per giunta, ricorda il giurista, esisteva già un articolo del codice penale sufficiente a punire i raduni illegali. Si tratta dell’articolo 633, che punisce “chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto”. “E’ sempre stato sufficiente, quando si è voluto utilizzarlo – afferma Padovani – Lo è stato fin da quando io avevo i calzoni corti. Sono arrivato all’università nel 1974 e l’articolo 633 si applicava regolarmente”. Non a caso, ricorda ancora, quando la ministra Lamorgese lo scorso anno dovette giustificare il mancato sgombero del rave party a Viterbo “non disse che mancava la norma, ma che il ripristino della legalità avrebbe comportato troppi rischi per l’incolumità pubblica”.

 

Per Padovani siamo dunque di fronte a un “pasticcio legislativo”, e si fa fatica a immaginare che esso possa aver ricevuto l’avallo del ministro della Giustizia Carlo Nordio: “Per la stima che ho nei suoi confronti e delle sue idee escludo categoricamente che lui possa, non solo riconoscersi, ma persino condividere la struttura e il senso di questa norma. Se così non fosse, non sarebbe il vero Nordio”, conclude Padovani.