Lo squilibrio di garanzie tra magistrati e politici. Il caso Polignano a Mare

Luciano Capone

Il sindaco, solo indagato, per tornare in libertà è costretto a dimettersi. Chi lo accusa è un pm condannato in appello che, invece, continua a stare al suo posto. Su presunzione d'innocenza e custodia cautelare esistono evidentemte due costituzioni, una per i politici e una per i magistrati

Tanti casi, ogni giorno, mostrano il malfunzionamento della giustizia. Ma quello di Polignano a Mare (Bari), che pare una faccenda locale, è in realtà un caso emblematico che, a poche settimane dai referendum, mostra le storture del sistema affrontate da tre dei cinque quesiti: valutazione dei magistrati, limiti alla custodia cautelare, legge Severino. Il 21 aprile Domenico Vitto, sindaco di Polignano e presidente dell’Anci Puglia, viene arrestato. Il primo cittadino, al suo secondo mandato alla guida della perla barese, è accusato in sostanza di aver truccato una gara d’appalto per la riqualificazione del “lungomare Domenico Modugno” a favore di un imprenditore locale in cambio di sostegno politico. All’interno di questa operazione, denominata “Amici miei” (ma la legge Cartabia sulla presunzione d’innocenza non aveva vietato l’uso di nomi del genere per le inchieste?), insieme al sindaco Vitto sono indagati amministratori (il vicesindaco), funzionari comunali e imprenditori: in tutto 24 persone, di cui dieci sottoposte a misure cautelari.

 

Al sindaco non è contestata alcuna corruzione, non avrebbe cioè preso soldi in cambio della presunta turbativa d’asta, né il voto di scambio. Viene contestato un generico sostegno politico, dato che insieme al vicesindaco avrebbe chiesto all’imprenditore un sostegno a favore della propria corrente (del Pd) alle elezioni regionali del 2020. L’accusa è ovviamente contestata dalla difesa, secondo cui non c’è stata alcuna interferenza nella gara né richiesta di appoggio anche perché sindaco e vicesindaco, come accade in ogni amministrazione del Pd, sostenevano i candidati di due correnti diverse. Ma del merito se ne occuperanno i giudici. In ogni caso, a poche settimane dalle elezioni comunali, il sindaco è stato sospeso e arrestato perché, secondo pm e gip, sussisteva “un serio e attuale pericolo” che Vitto potesse “tornare a commettere delitti” analoghi. Finché è sindaco deve stare agli arresti, ma se è agli arresti non può fare il sindaco. Pertanto Vitto, per tornare in libertà, è stato costretto a rassegnare le “dimissioni irrevocabili” e, infatti, pochi giorni dopo il tribunale del Riesame di Bari ha annullato gli arresti domiciliari. Fin qui nulla di straordinario, è come funziona normalmente la giustizia italiana.

 

Ma la particolarità del caso di Polignano, più che gli indagati, riguarda l’accusa. L’inchiesta è infatti coordinata dal pm Michele Ruggiero, già magistrato in forze alla famigerata procura di Trani e autore di celebri inchieste internazionali finite nel nulla. Tra le varie inchieste sulle agenzie di rating e sulla finanza, Ruggiero aveva anche condotto un’inchiesta, per certi versi analoga a quella di Polignano, che nel 2014 portò all’arresto dell’allora sindaco di Trani Luigi Riserbato. In quel caso le accuse erano più pesanti, si parlava sempre di appalti truccati ma nell’ambito di un’associazione a delinquere, guidata da un “comitato politico-affaristico” al cui vertice c’era appunto il sindaco. Anche in quel caso il primo cittadino, dopo il rigetto dell’istanza di scarcerazione, si vide costretto alle dimissioni per poter tornare in libertà. A otto anni di distanza, quel processo non è ancora arrivato al giudizio di primo grado ma molte cose sono successe. Tutte le principali accuse contro Riserbato sono già cadute durante le indagini preliminari, su richiesta dello stesso pm, e restano alcune imputazioni residuali già cadute in prescrizione, a cui l’ex sindaco – ormai ritiratosi dalla vita politica – ha rinunciato. Ma c’è di più.

 

Al momento l’unico condannato nell’inchiesta sul comune di Trani è il pm, per il suo modus operandi nella conduzione delle indagini. il pm Ruggiero è stato infatti condannato dal tribunale di Lecce, insieme al collega Alessandro Pesce, per violenza privata: secondo i giudici, di primo grado e anche di appello, i due pm durante gli interrogatori hanno usato modalità intimidatorie, violenze verbali e minacce sui testimoni per spingerli a incolpare alcuni imputati di aver preso tangenti. Così, l’ex sindaco di Trani Riserbato aspetta da otto anni un primo giudizio e l’ex sindaco di Polignano Vitto dovrà probabilmente attenderne altrettanti, mentre la condanna non impedisce al pm Ruggiero, non solo di essere in libertà (e ci mancherebbe), ma anche di svolgere il suo lavoro, perché evidentemente nessuno – tra giudici, Csm e ministero della Giustizia – teme che possa reiterare il reato. Questo condivisibile approccio garantista dovrebbe essere universale, e invece vale per i magistrati e non per i politici. La turbativa d’asta si reitera, la turbativa di processo no. I sindaci, da semplici indagati, devono scegliere tra l’arresto e le dimissioni; i magistrati anche con una condanna in appello per violenze sui testimoni possono continuare a indagare, interrogare e arrestare. Qualcosa non torna.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali