La Corte di Strasburgo condanna l'Italia (e i pm di Firenze) rispetto a un caso di violenza domestica

Ermes Antonucci

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il nostro paese per non aver protetto una donna vittima di continue violenze da parte del convivente, che poi uccise a coltellate il figlio di un anno. Nella sentenza i giudici criticano l'inerzia dei pubblici ministeri

Mentre i partiti si accapigliano attorno alla riforma del Csm, la giustizia italiana continua a raccogliere figuracce a livello mondiale. A essere precisi, autore della figuraccia è in questo caso la procura di Firenze, retta fino a poco tempo fa da Giuseppe Creazzo e balzata agli onori delle cronache soprattutto per l’indagine aperta contro Matteo Renzi sull’ex fondazione Open. Giovedì la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per non aver protetto una donna, Annalisa Landi, vittima di continue violenze da parte del partner, e i propri figli. Le violenze culminarono nel settembre 2018, quando a Scarperia (Firenze) l’uomo – al quale era stato diagnosticato un disturbo bipolare della personalità – uccise a coltellate il figlio di un anno, ferendo in modo grave la convivente e cercando di uccidere anche l’altra figlia.

 

La Corte europea dei diritti dell’uomo, accogliendo l’esposto presentato dai legali della donna, gli avvocati Massimiliano Annetta e Roberta Rossi, ha ritenuto all’unanimità che vi sia stata una violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché le autorità non hanno posto in essere tempestivamente le necessarie misure di protezione della vita della donna e dei suoi figli. Dagli atti emerge infatti che, prima del giorno della tragedia, la donna era stata aggredita già tre volte dal compagno (nel novembre del 2015, nel settembre 2017 e nel febbraio 2018) e aveva sporto diverse denunce. Nonostante l’apertura di una procedura per violenza domestica e l’indicazione di un esperto che denunciava la pericolosità dell’uomo a causa delle patologie di cui soffriva, i pubblici ministeri non intrapresero alcuna attività investigativa e non adottarono alcuna misura per proteggere la donna e i suoi figli. Ora lo stato dovrà versare alla donna 32 mila euro per danni morali.

 

Nel suo giudizio, la Corte di Strasburgo non usa mezzi termini per criticare l’inerzia dei pubblici ministeri fiorentini. I fascicoli aperti per le violenze praticate dall’uomo sulla donna passarono infatti per le mani di ben tre diversi magistrati. “I pubblici ministeri sono rimasti passivi di fronte al grave rischio di maltrattamento della ricorrente e, con la loro inazione, hanno permesso” all’uomo “di continuare a minacciarla, molestarla e aggredirla senza ostacoli e impunemente”. In particolare, evidenziano i giudici, “i pubblici ministeri non hanno svolto alcuna indagine né nei quattro mesi successivi alla presentazione della prima denuncia del ricorrente né dopo l’aggressione del 2018”. Inoltre, “non sono state adottate misure di protezione nonostante la richiesta dei carabinieri”. Nel caso in questione, dunque, “si è trattato di un’omissione da parte dei procuratori responsabili dell’indagine”.

 

Insomma, la condanna europea si risolve nella condanna dell’intero sistema giudiziario italiano, svelando per l’ennesima volta la grande farsa del principio di obbligatorietà dell’azione penale. Non essendo in grado di portare avanti indagini su tutte le notizie di reato ricevute, le varie procure trattano i procedimenti sulla base di una scala di priorità decisa in autonomia. Con il rischio, confermato dalla tragica vicenda di Annalisa Landi, che alcune denunce vengano del tutto relegate nel dimenticatoio.

 

Dal momento che a definire i criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti penali sono i procuratori capi, la sentenza di condanna di Strasburgo assume le forme anche di una critica alla gestione della procura fiorentina da parte di Giuseppe Creazzo, dirigente dell’ufficio dal 2014 al febbraio 2022, quando è stato trasferito alla procura per i minorenni di Reggio Calabria (dopo essere stato condannato dal Csm alla perdita di due mesi di anzianità di servizio con l’accusa di aver molestato una collega).

 

Visto che la quasi totalità dei magistrati italiani (il 99,2 per cento) ottiene sistematicamente valutazioni di professionalità positive, c’è da dubitare che il severo giudizio  fornito dalla Corte di Strasburgo sull’operato della procura fiorentina avrà un impatto sull’andamento di carriera delle toghe coinvolte. Intanto l’avvocato Annetta al Foglio sottolinea l’importanza della decisione della Corte: “Significa che le vittime rimaste prive di ascolto e protezione da parte delle autorità statali potranno, immediatamente, esperire ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per chiedere un risarcimento in conseguenza della violazione dell’obbligo di protezione del loro diritto alla vita. Si tratta di una sentenza dirompente”.