Giustizia non è fatta, adesso chi risarcirà gli assolti dell'onore perduto?

Paolo Cirino Pomicino

Si sollecita da più parti un secondo tempo in cui politica e magistratura cooperino per il bene del paese. Dopo aver infangato la reputazione di servitori dello stato? Troppo comodo. La storia di quel periodo dovrà essere scritta da giornalisti e storici che non siano stati complici delle vicende di trent'anni fa

La sentenza con la quale la Corte di appello di Palermo ha mandato assolti i tre alti ufficiali dei carabinieri e Marcello Dell’Utri dall’infamante accusa di aver trattato con la mafia alle spalle dello stato ha messo forse la parola fine al primo tempo di un tentativo di sovvertire la storia patria con quel romanzo di appendice messo in piedi da quasi venti anni dalla procura di Palermo. Parliamo del primo tempo perché giustizia non è fatta. Tanti autorevoli opinionisti che in questi anni hanno tenuto bordone al romanzo della procura di Palermo oggi sembrano voler sollecitare un tempo nuovo in cui politica e magistratura possano cooperare per il bene del paese. Sotto traccia è questo il mantra di quanti erano convinti della colpevolezza degli imputati e naturalmente delle forze di governo che hanno governato il paese sino al 1992. Troppo comodo.

 

Abbiamo un ex ministro della Repubblica, Calogero Mannino, a cui per venti anni hanno inflitto sofferenze indicibili, tentando di macchiare il suo onore addirittura con quasi due anni di carcerazione preventiva, che aspetta ancora che qualcuno gli chieda scusa e che lo stato gli risarcisca i venti anni rubati. Abbiamo tre ufficiali dell’Arma dei carabinieri che aspettano anch’essi di recuperare onore e dignità, e anche noi aspettiamo che qualcuno risponda di quanto è stato fatto all’onore della Democrazia cristiana che in questa vicenda era rappresentata da due suoi autorevoli esponenti come Mannino e Andreotti. Noi abbiamo scritto da queste colonne più volte contro questo romanzo della trattativa stato-mafia ma più volte abbiamo anche detto che, se trattativa ci fosse davvero stata, gli autori non potevano che essere i rappresentanti di forze politiche diverse da quelle rinviate a giudizio e in particolare quegli uomini che furono alla guida di quanto accadde nel biennio 1991-’93. Quelle convinzioni e quegli indizi sono tuttora validi e inquietanti ancor più dopo la sentenza liberatoria della Corte di appello di Palermo.


Questo secondo tempo non potrà essere scritto dalle procure, ma solo da giornalisti diversi da quelli che hanno sostenuto il romanzo della procura di Palermo e da storici non complici delle vicende di trent’anni fa. Gli sconfitti della storia hanno raccontato e fatto raccontare che il paese, sino all’arrivo del nuovo corso, era stato governato da corrotti e da mafiosi, mentre abbiamo più volte documentato l’esatto contrario. Quel nuovo che avanzava altro non era che il vecchio sconfitto in tutto il mondo e sepolto dal crollo del muro di Berlino che ha portato il paese nelle condizioni in cui si trova e la politica democratica a un livello mai visto in nessun paese europeo. Sarà questo il secondo tempo che prestissimo tenteremo di descrivere in tutti i suoi dettagli documentati, mettendo all’indice quelli che hanno tradito la Repubblica. Lo faremo “sine ira et studio”, sperando che tante altre energie sappiano indignarsi per ciò che è stato fatto al paese. Può darsi che l’impudenza ormai dilagante porti la procura a fare ricorso alla Cassazione e se questo accadrà, sarà l’ennesima dimostrazione di quanto tenace sia l’attacco alle istituzioni democratiche.

 

Noi siamo tra quelli che non ritengono sia in atto una crisi della magistratura italiana, perché siamo soltanto al crollo della credibilità di alcune procure e di un modello di indagine che ha fatto danni incalcolabili al paese. La pagina scritta dalla Corte di appello di Palermo è un grande servizio reso allo stato di diritto e alla Repubblica italiana. A noi e a tanti altri spetta di completare l’opera di verità.