Il funerale in stile "Il Padrino" di Vittorio Casamonica, nell'agosto 2015 (foto Ansa)

la sentenza

Il maxi processo ai Casamonica: "Sono un clan mafioso"

Gianluca De Rosa

Quarantaquattro imputati e quasi altrettante condanne nel giudizio di primo grado contro alcuni esponenti della famiglia sinti

Quarantaquattro imputati e quasi altrettante condanne. C’è voluta tutta la mattinata e gran parte del pomeriggio, alla fine dopo una camera di Consiglio di oltre sette ore, la decima sezione penale del tribunale di Roma, presieduta dalla giudice Antonella Capri, nell'aula bunker di Rebibbia, ha emesso la sentenza nel processo al clan Casamonica. Per nove esponenti della famiglia sinti è stata riconosciuta l’associazione a delinquere di stampo mafioso. I reati per i quali sono stati condannati gli imputati spaziano dallo spaccio di droga all'estorsione, l'usura e la detenzione illegale di armi. I pm Giovanni Musarò e Stefano Luciani avevano chiesto condanne per oltre 630 anni complessivi di carcere, ne sono stati inflitti più di 400.

Le richieste più pesanti della Procura, 30 anni, erano state fatte per i capi dell'organizzazione, Giuseppe (detto Bitalo), Luciano, Domenico, Massimiliano, Pasquale e Salvatore Casamonica. Il tribunale ha confermato tale richiesta solo per Domenico, per gli alti le pene sono state leggermente ridotte: 20 anni e 6 mesi a Giuseppe, 12 anni e 9 mesi a Luciano, 25 anni e 9 mesi a Salvatore, 23 anni e 8 mesi a Pasquale e 19 anni e 4 mesi a Massimiliano. Oltre alle condanne la sentenza ha ordinato la confisca di numerose società, immobili, negozi, denaro, gioielli, orologi e persino di una tomba di famiglia a Ciampino.

Gli arresti della maggior parte degli imputati erano avvenuti in due tranche tra il luglio del 2018 e l’aprile del 2019 nel corso dell’operazione Gramigna coordina dalla Dda di Roma. La questione della mafiosità dell’associazione criminali nella Capitale continua a essere al centro di questi processi. Finora è stata riconosciuta in via definitiva solo per il clan Spada di Ostia. Mentre l’ipotesi di reato è caduta in Cassazione nel processo più celebre, quello a Massimo Carminati e Salvatore Buzzi: non era Mafia Capitale. I Casamonica, invece, almeno per il primo grado sono a tutti gli effetti un’associazione mafiosa. Già nel dicembre del 2019 erano stati condannati con rito abbreviato altri 14 esponenti del clan per alcuni di loro erano state riconosciute l’aggravante mafiosa e l’agevolazione dell’associazione mafiosa.

La richiesta di rinvio a giudizio è avvenuta nel giugno del 2019. Il processo, iniziato poco dopo, con oltre 80 udienze durante le quali sono stati sentite imputati, pentiti e vittime dell’usura e delle estorsioni del clan. Quest’ultime sono quasi sempre rimaste in silenzio o hanno risposto in modo evasivo. Le principali testimonianze sono state fornite da Debora Cerreoni, ex moglie, per 12 anni, di Massimo Casamonica, che ha collaborato con i magistrati, descrivendo dall'interno le attività della famiglia, e da Massimiliano Fazzari, collaboratore di giustizia, ex ‘ndraghetista, poi sodale del clan sinti. È stato lui a raccontare il sistema di prestiti usurari messi in piedi dal clan e a offrire anche un dettaglio suggestivo per l’epica criminale della Capitale: “I Casamonica si sono fatti strada recuperando crediti per conto della banda della Magliana con cui avevano preso contatti dopo essere scesi dall'Abruzzo”, ha raccontato durante un’udienza. “Vittorio, lo chiamavano il re, il loro quartier generale, come lo chiamavano loro, era la Romanina, ma la loro area andava da Porta Furba a Tuscolana, ma anche Centocelle". Vittorio è lo storico capo della famiglia, il cui funerale in stile Padrino a piazza Don Bosco ha fatto conoscere la famiglia Casamonica a mezzo mondo. In attesa della sentenza fuori dall’aula bunker erano presenti alcuni parenti. Parlando con i giornalisti Angela Spada, moglie di uno degli imputati ha sbottato: “Ma avete mai visto una zingara mafiosa, ma quale mafia? La mafia sta a Napoli mica qui”. 

“L’impianto accusatorio ha trovato piena conferma da parte del Tribunale, Roma è stata liberata, questa è una sentenza storica”, ha commentato uscendo l’avvocato Licia D’Amico dell’associazione Caponetto che insieme a Libera si è riconosciuta parte civile. Mentre per Giosuè Naso, già avvocato di Massimo Carminati e oggi difensore di Domenico, Giuseppe e altri esponenti del Clan si tratta di “una sentenza sconcertante, ma per me non sorprendente: la posizione di questo tribunale è di assoluto conformismo rispetto a quella della Procura della Repubblica, aspetteremo le motivazioni, ma l’appello ha già dichiarato l’insussistenza del vincolo associativo di stampo mafioso per gli imputati che avevano chiesto l’abbreviato, mi aspetto che accadrà lo stesso”.

In serata non sono mancati anche i commenti della politica alla sentenza. In particolare la sindaca Virginia Raggi che della lotta al clan - con l’abbattimento di alcune villette abusive alla Romanina e al Quadraro - ha sempre fatto un vanto ha scritto su Facebook: “Questa sentenza non cancella gli anni di soprusi e violenze, ma è un risultato importante per chi vive in questa città. È la conferma che a Roma il clima è cambiato. Io di fronte al clan dei Casamonica non mi sono mai piegata, non ho mai indietreggiato di un passo, non ho mai avuto paura di loro. Vivo sotto scorta per questo. Oggi il tribunale di Roma ha confermato l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Ha confermato che è mafia”. Soddisfazione per la sentenza espressa anche dal governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti: “È una sentenza storica che finalmente mette nero su bianco che Casamonica equivale a mafia ed un segnale importante da dare ai cittadini del nostro territorio”.

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