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Verso il giudice professionale tributario: per una vera riforma serve specializzazione

Andrea Giovanardi

C'è un contrasto insanabile all’interno della Commissione di esperti istituita per ridurre i tempi del processo: lo status dei giudici. Perché serve una svolta epocale

Ogni progetto riformatore che si fondi sull’incremento della spesa pubblica per investimenti deve muovere dalla consapevolezza che essi risulterebbero inefficaci, inutili o addirittura controproducenti se non accompagnati da interventi, per così dire, orizzontali, come quello avente a oggetto la giustizia, la quale deve garantire ai consociati elevata qualità delle decisioni e tempi rapidi di soluzione delle controversie. Questo vale, ovviamente, anche per la giustizia tributaria, per l’impatto, ben evidenziato nel Pnrr, che il contenzioso “può avere sulla fiducia degli operatori economici, anche nella prospettiva degli investimenti esteri” (p. 59). E’ quindi più che mai urgente e centrale, finalmente se ne ha consapevolezza, una riforma strutturale del processo, tanto più che le cause tributarie rappresentano una componente rilevantissima dell’arretrato accumulatosi di fronte alla Corte di cassazione (oltre 50 mila controversie).

 

La Commissione di esperti appositamente istituita dai ministeri dell’Economia e della Giustizia per “l’individuazione di possibili misure e interventi normativi, finalizzati in particolare a regolare la struttura e il funzionamento della giustizia tributaria con il duplice obiettivo di migliorare la qualità della risposta giudiziaria e, contestualmente, ridurre i tempi del processo” non ha però concluso i suoi lavori con una proposta unitaria. Insanabile è stato il contrasto all’interno della Commissione sulla principale questione che l’attuale organizzazione della giustizia tributaria pone: lo status dei giudici.

 

Non tutti sanno, infatti, che la magistratura che si occupa delle decisioni aventi a oggetto i tributi, decidendo di controversie da cui in molti casi dipende la sopravvivenza delle imprese, è, per quel che riguarda i due gradi di merito, onoraria, composta quindi da giudici che svolgono la loro delicatissima funzione non dedicandosi a essa a tempo pieno. I giudici delle commissioni tributarie provinciali e regionali si dividono infatti tra giudici togati, ordinari, amministrativi e contabili, già impegnati nei loro rispettivi settori di appartenenza e giudici cosiddetti laici, che provengono o dalla pubblica amministrazione o dal mondo delle professioni. Una materia quindi particolarmente complessa, perché richiede approfondite conoscenze non solo giuridiche, ma anche economico-aziendali, gestita da sempre da giudici, peraltro pagati pochissimo (e a sentenza) nella misura determinata dal Mef, a cui le Agenzie fiscali, che sono parti del processo, sono legate da convenzioni aventi a oggetto la gestione dei tributi.

 

Una situazione che merita di essere superata – in tal senso si è espressa, purtroppo, solo una parte, seppur maggioritaria, della Commissione interministeriale – con il varo di un giudice professionale che tale diventi dopo aver superato un concorso per esami che verifichi le conoscenze del diritto tributario, sostanziale e processuale, del diritto civile e processuale civile, del diritto commerciale, del diritto amministrativo, del diritto dell’Unione europea, dell’economia aziendale. Solo così si garantirebbe quella specializzazione che non sempre è riscontrabile negli attuali giudici, ai quali peraltro va riconosciuto il merito di avere garantito, in condizioni sicuramente difficili, l’ordinato e celere funzionamento della giustizia tributaria di merito. Peraltro, la proposta del giudice professionale prevede, per non disperdere le attuali professionalità, che una quota dei posti messi a concorso sia riservata ai giudici che svolgano la funzione da più di 6 anni e che le controversie di valore inferiore ai 3 mila euro vengano decise da un giudice onorario in composizione monocratica, tutto ciò per evitare che giudici particolarmente qualificati, quali saranno quelli che supereranno il non facile concorso, vengano destinati a decidere di controversie di non rilevante importanza.

 

Resta quindi il rammarico per non essere riusciti a giungere a un accordo su una soluzione che, peraltro, è da sempre sostenuta non solo dall’accademia, ma anche dalle categorie che vivono il processo (avvocati, dottori commercialisti, associazioni di rappresentanza degli attuali giudici tributari) e, a ben vedere, anche dalla politica, visto che i numerosi disegni di legge pendenti in Parlamento si fondano, quasi tutti, sull’istituzione della “quinta magistratura”.

 

Eppure sembra a chi scrive incontrovertibile che il miglior modo per garantire che il giudice conosca la materia su cui è chiamato a decidere sia: i) subordinare l’esercizio della funzione al sostenimento di un concorso; ii) imporre a quel giudice un impegno esclusivo. Si è indipendenti non solo quando si è terzi rispetto alle parti del processo, ma, ancor prima, quando si conoscono a fondo le questioni tecnico-giuridiche che le parti portano nel giudizio: se questo non accade in massimo grado il giudice non sarà indipendente perché si troverà inevitabilmente a essere vittima e schiavo dei suoi stessi inevitabili pregiudizi di carattere ideologico-culturale (ognuno di noi li ha, in maggiore o in minore misura).

 

Alla politica il compito di convincersi di questo, varando una riforma che non potrà che essere epocale, perché migliorerà l’esercizio della funzione giurisdizionale nel delicato comparto dei rapporti tra cittadino contribuente ed ente impositore e, per questa via, anche lo svolgimento della funzione di determinazione dei presupposti di imposta cui è chiamata ogni giorno l’Amministrazione finanziaria.

 

Andrea Giovanardi
Componente della Commissione interministeriale per la giustizia tributaria

 

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