Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Editoriali

I pentiti che servono sul caso Meloni

Redazione

 La gogna di Repubblica è surreale, l’indignazione contro le gogne di FdI anche 

Riportando il contenuto di verbali giudiziari che teoricamente (come al solito) sarebbero segreti, da alcuni giorni il quotidiano Repubblica avanza un’accusa gravissima nei confronti della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: quella di aver pagato 35 mila euro nel 2013 a un clan di nomadi di Latina per comprare voti e attaccare manifesti a favore del partito. Le accuse si basano sulle “rivelazioni” fatte da un collaboratore di giustizia, Agostino Riccardo, davanti ai pm antimafia romani. Meloni ha subito smentito la notizia, dicendosi vittima di una “macchina del fango”: “Io non faccio affari con i rom, non do soldi in contanti nelle buste del pane a un distributore di benzina e nel 2013, quando facevamo la campagna elettorale, i soldi non li avevamo. Non ho mai avuto un segretario maschio o una Volkswagen nera: è una notizia inventata che non è mai accaduta”.

  

Le presunte “rivelazioni” del presunto collaboratore di giustizia, in effetti, faticano a stare in piedi da qualsiasi lato le si guardino e a esserne consapevoli sembrano essere gli stessi inquirenti, che hanno deciso di non chiedere alcun chiarimento alla leader di FdI. A non avere mai dubbi è invece la redazione di Repubblica, che da oltre vent’anni rilancia qualsiasi allusione e bufala avanzata da pentiti o testimoni in cerca di notorietà e sconti di pena (da Spatuzza a Graviano, passando le celebri patacche di Ciancimino sulla trattativa Stato-mafia), senza badare tanto ai danni provocati da questo strano modo di fare informazione. Meloni è solo l’ultima vittima del tritacarne mediatico-giudiziario. Una gogna che però, occorre ricordarlo, in passato ha spesso visto la partecipazione della stessa leader di FdI. Per informazioni chiedere all’eurodeputato Sandro Gozi: indagato nel 2019 in un’inchiesta nata a San Marino, massacrato sui giornali (in particolare da Meloni, che arrivò persino a chiedere la revoca della sua cittadinanza italiana) e infine archiviato due anni dopo nel silenzio generale.

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