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Thyssen, la giustizia non è negata

Redazione

Le condanne ci sono. L’esecuzione della pena spetta agli stati, non alle vittime

Vergogna. “Ci vergogniamo dell’Italia e ci vergogniamo della Germania, non possono zittirci”. “Ci incateneremo a Roma. Andremo a Essen”. E’ stata drammatica, piena di rabbia, la reazione dei famigliari delle vittime del rogo alla ThyssenKrupp di Torino nel 2007 alla notizia della concessione della semilibertà ai due manager tedeschi, Gerald Priegnitz e Harald Espenhahn, in base alla legge del paese che prevede un massimo di cinque anni di detenzione per il reato di omicidio colposo aggravato. La sentenza italiana di Cassazione del 2014 aveva confermato le condanne. A differenza dei quattro manager italiani del gruppo condannati e incarcerati in Italia, i due tedeschi avrebbero dovuto scontare la pena nel proprio paese. Ma, e questo è invero inaccettabile, siamo pur sempre nell’Unione europea, il mandato di cattura internazionale nei loro confronti non è mai stato eseguito. E ora scattano le misure di legge previste in Germania.

 

Il dolore e il senso di giustizia negata delle vittime va sempre rispettato e mai giudicato. Ma non può essere nemmeno disgiunto da considerazioni che riguardano il valore e il senso della giustizia dei tribunali. Una sentenza è stata emessa, i colpevoli riconosciuti, la giustizia è stata in questo modo (l’unico possibile) ricostruita. Ma nessuno potrà ridare ai propri cari le vite che sono state tolte. L’esecuzione della pena – poiché viviamo in stati (europei) di diritto – è affidata alle leggi e alla magistratura e non al sentimento, per quanto comprensibile, dei congiunti delle vittime. Il procuratore generale di Torino Francesco Enrico Saluzzo ha commentato: “Comprendo bene lo sconforto e la delusione dei parenti, ma parliamo dell’esecuzione della pena regolata dalla legge di uno stato estero, adesso non possiamo più fare nulla”. E’ una constatazione amara, ma molto più aderente ai fatti e al diritto che non le dichiarazioni della sindaca di Torino Chiara Appendino: “E’ uno schiaffo alla loro battaglia e la città continuerà a schierarsi al fianco delle mamme”, nei toni del più schietto populismo giudiziario. Che andrebbe invece sottoposto al tribunale della ragione.