Il folle arresto della preside di Imperia in un paese con la bava alla bocca

Ermes Antonucci

La donna, accusata di peculato per aver utilizzato l'auto della scuola a fini personali, è stata fermata mentre rientrava dalla Francia. Ma era proprio necessario metterla in carcere?

La preside di una scuola di Imperia si trova in carcere da sabato con l’accusa di aver usato per motivi personali l’auto di servizio della scuola che dirige. Una detenzione cautelare abnorme rispetto al reato contestato, dovuta all’esercizio di una discrezionalità assoluta da parte della magistratura.

 

La donna è stata arrestata sabato scorso in flagranza di reato (l’accusa è di peculato) mentre rientrava dalla Francia con l’auto di servizio, con a bordo anche i suoi familiari, e poi è stata trasferita nel carcere di Pontedecimo a Genova. Secondo la procura di Imperia, l’inchiesta avrebbe consentito di “acclarare l’abitualità della condotta, facendo emergere il pieno uso per finalità private di un bene di cui la preside aveva la disponibilità”, ma “per i soli fini connessi al suo ruolo”. La preside si sarebbe difesa sostenendo di aver preso l’auto in quanto la sua era inutilizzabile a causa di un incidente.

 

L’indagine farà il suo corso ma ciò che sta facendo discutere è la misura cautelare del carcere decisa dalla procura per una condotta di così poco conto. Non si è né di fronte a un fatto di sangue, né a una grave opera di corruzione. Semplicemente, un’auto di servizio sarebbe stata utilizzata per fini privati. Basta questo per sbattere in carcere una persona?

 

A confermare che le esigenze cautelari in carcere non fossero poi così reali è stato proprio il procuratore aggiunto di Imperia, Grazia Pradella, che oggi ha chiesto la sostituzione del carcere con gli arresti domiciliari. Domani, durante l’udienza di convalida, il gip si pronuncerà sulla richiesta che, a meno di sorprese, dovrebbe essere accolta. Se così fosse, comunque, la donna avrebbe trascorso quattro giorni in carcere inutilmente.

  

Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, la detenzione in carcere sarebbe stata inevitabile in virtù dell’arresto in flagranza di reato, ma non è così. Un articolo del codice di procedura penale (il 386), ignorato da tutti, prevede infatti che in caso di arresto in flagranza il pubblico ministero possa “disporre che l’arrestato o il fermato sia custodito in uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell'articolo 284", cioè ai domiciliari, in attesa dell’udienza di convalida. In altre parole, il pm avrebbe potuto tranquillamente disporre la detenzione domiciliare alla donna subito dopo che i poliziotti l’avevano portata in carcere, tanto più se ora si mostra favorevole alla concessione dei domiciliari in sede di convalida. Ma non lo ha fatto. Il risultato è che una donna è finita dietro le sbarre per aver usato un’auto  di servizio.

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