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Strasburgo decide di non decidere su Berlusconi

Paolo Emilio Russo

La Grande Camera della Corte europea dei diritti umani ha deciso di accettare la richiesta del Cav. di non emettere una sentenza sul suo ricorso. Ma comunque il leader di Forza Italia non si candiderà alle Europee

La “famosa” sentenza della Corte europea dei diritti umani che avrebbe dovuto ripagare il Cavaliere della “grande ingiustizia subita”, porre riparo a quello che lui stesso aveva definito “un colpo di Stato” non arriverà mai. A volere che questo fosse l’esito del ricorso presentato nel 2013, all’indomani del voto del Senato che ne ha comportato la decadenza e poi la crisi politica, è stato lo stesso Silvio Berlusconi. L’ex premier aveva chiesto alla Cedu di condannare l’Italia perché la legge che porta il nome di Paola Severino e che lo ha portato prima alla decadenza e poi gli ha impedito di candidarsi alle elezioni non avrebbe dovuto essergli applicata nel 2013 perché i reati per cui era stato condannato erano stati commessi prima dell'entrata in vigore della legge. La legge era stata applicata in maniera retroattiva insomma. Lo avevano riconosciuto anche i giuristi di Palazzo Chigi due anni fa. Il premier era Matteo Renzi e alla Presidenza del consiglio era arrivata una richiesta di chiarimenti da Bruxelles cui, onestamente, era stato risposto che il trattamento riservato al fondatore di Forza Italia era un unicum, decisamente anomalo. Ad Arcore si è sempre guardato a questa sentenza con molto ottimismo, anche se i continui rinvii avevano convinto il Cavaliere a non citare più la prossima riabilitazione.

 

Prima che la Cedu, del resto, ha potuto la - pur lentissima - giustizia italiana. A partire dal 9 maggio 2014 l’ex premier ha scontato la sua condanna occupandosi degli anziani malati di Alzheimer alla Sacra Famiglia di Cesano Boscone: “Non mi sento riabilitato, ma questa per me è stata un’esperienza toccante, una pausa di serenità”, disse nel maggio 2015 al termine dell'affidamento in prova ai servizi sociali, dopo avere accompagnato un gruppo di ragazzi disabili a Milanello, dove si allenavano i giocatori del Milan.

 

L’11 maggio di quest’anno, tre mesi dopo il clamoroso risultato delle Politiche del 4 marzo, i suoi legali Franco Coppi e Niccolò Ghedini, tre anni dopo l’espiazione della condanna, hanno chiesto e ottenuto la riabilitazione. Da quel giorno l’ex deputato, senatore, ministro degli Esteri e presidente del Consiglio è candidabile e può tornare a ricoprire “pubblici uffici”.

 

Da mesi i forzisti parlano di una sua possibile discesa in campo per le Europee della primavera. L’interessato, in realtà, avrebbe fortissime perplessità e pochissima voglia di spendere in una campagna elettorale difficile e con le preferenze. Fatto sta che questa sentenza si era già ridimensionata a semplice riconoscimento morale. Ecco perché a fine luglio, parlando con i legali che hanno seguito questo procedimento, considerati “aperti” tutti gli esiti possibili della sentenza (assoluzione, condanna totale o parziale, inammissibilità del ricorso), l’ex premier ha deciso di rinunciarvi del tutto. Gli avvocati Andrea Saccucci e Giulio Nascimbene hanno chiesto ai giudici che trattavano il ricorso di “togliere dal ruolo il caso Berlusconi” a seguito della avvenuta riabilitazione dopo la condanna a 4 anni nel processo Mediaset, che ha fatto “venir meno il suo interesse alla decisione della Corte di Strasburgo”. Così è andata.

 

La Grande Camera della Corte europea dei diritti umani ha deciso in via definitiva, a maggioranza, di accettare la richiesta di Silvio Berlusconi, inviata lo scorso 27 luglio, di non emettere una sentenza sul suo ricorso. “Presi in considerazione tutti i fatti del caso, in particolare la riabilitazione di Berlusconi e il suo inequivocabile desiderio di ritirare il ricorso, la Corte conclude che non ci sono circostanze speciali relative al rispetto dei diritti umani che richiedano di continuare l’esame del ricorso”, scrivono in una nota. La Corte di Strasburgo non se ne occuperà più. Non si saprà mai chi avesse ragione.

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