Foto LaPresse

l'edizione 2021 della corsa a tappe francese

Il Tour de France è tornato a essere il Tour de France

Giovanni Battistuzzi

Nel percorso della prossima Grande Boucle velocisti e passisti da cronometro non saranno discriminati. Si incrina anche l'ossessione per le pendenze straordinarie che avevano ridisegnato la geografia montana della corsa

Per decenni e decenni il Tour de France è stato una partitura invariabile, nella quale il cambiamento di qualche nota non modificava affatto la melodia. Tre parti, sempre le stesse: il momento della velocità di gruppo, le volate; quello della velocità individuale, le cronometro; quello della ascensionalità ritmica, le salite. La pianura, o meglio quella che così in Francia chiamano quella sottospecie di continuo susseguirsi di ondeggianti collinette, era territorio delle prime due parti. Il resto era terreno concesso agli scalatori per cercare di ribaltare il responso del tempo. D’altra parte era stato Henry Desgrange, colui che il Tour de France se lo inventò, a dire che la Grande Boucle “era una corsa per corridori completi, capaci di devastare la pianura, appiattire la montagna, divorare il tempo”.

 

Desgrange, come del resto il suo successore Jacques Goddet, erano convinti di una cosa: che il Tour non dovesse mai cambiare, non si dovesse adeguare ai tempi o al desiderio di attrarre questo o quel corridore, semplicemente perché la Grande Boucle “è capace di dare gloria a un corridore”, mentre “il contrario non è mai accaduto e mai accadrà”.

 

Non è andata così, o almeno per quanto riguarda la prima parte del ragionamento di Desgrange. Il Tour più volte si è adattato a questo o quel campione, soprattutto se francese. Ha addirittura cercato di cambiare, di mutare le proprie peculiarità, la propria essenza. Ha prima fatto scomparire la prima parte, quella dedicata alla velocità, riuscendoci. Ha poi cercato di eliminarla. I giorni contro il tempo si sono contratti, i chilometri striminziti, così si è contratta e striminzita la pianura. Qualche côte saltava fuori dal nulla per movimentare la corsa, indurirla, provare a cambiarle i connotati. Uno stucchevole tentativo di replica di ciò che è sempre stata caratteristica di Giro d’Italia e di Vuelta. Inseguimento dello spettacolo a ogni costo, figlio di una regola che il direttore del Tour ha innalzato a dogma: “Mai più di due arrivi per velocisti di fila”. Non l’unico. Gli ultimi anni la Grande Boucle ne ha accumulati altri. “Le cronometro diminuiscono lo spettacolo”, “è sulle pendenze a doppia cifra che il ciclismo diventa spettacolare”, “gli arrivi in salita servono a rendere la gara più interessante e spettacolare”. Un accumularsi di idee indimostrabili che hanno sconvolto la normale partitura della più importante corsa a tappe al mondo.

 

I dogmi prima o poi però si scontrano tra loro. “Non era un desiderio aumentare la distanza a cronometro (36,2 km nel 2020). È successo. Non vogliamo fare più di due sprint consecutivi. Tuttavia non era però possibile fare altro tra la Bretagna e Châteauroux”, ha detto all’Equipe Prudhomme. Così nell’edizione 2021 le cronometro sono tornate due e l’orografia del territorio ha fatto ritornare le tappe di pianura. Lunga vita alla Bretagna che ospiterà la Grand Départ del Tour de France 2021.

 

Al resto c’hanno pensato gli enti territoriali, o meglio i soldi che gli enti territoriali hanno deciso di investire. Il 2020 ha insegnato alla Francia una cosa. Il settore turismo è stato colpito dal virus, a eccezione di una fascia, quella del cicloturismo. Il numero di turisti in bicicletta nei luoghi del grande ciclismo è aumentato durante l’estate del Covid e per questo i comuni e i dipartimenti dove sorgono le grandi salite hanno deciso di sfruttare il momento riportando la più grande cassa di risonanza delle bellezze paesaggistiche a inquadrare i loro territori. Le grandi montagne sono tornate al Tour dopo la latitanza dell’ultima edizione. Torna il Mont Ventoux, con una doppia ascesa. Torna il Col du Tourmalet, si riaffaccia Luz Ardiden, vengono riproposte le salite che portano a Tignes e al Col du Portet.

 

Le tappe di alta montagna saranno sei, quattro gli arrivi in salita, due quelli a valle. Una di queste porterà a Malaucène, ai piedi del monte calvo. “Quando una tappa termina in quota, molto spesso è risolta da un solo attacco, secco, negli ultimi chilometri. Voglia vedere se inserendo la discesa tra Gran premio della montagna e arrivo i corridori attaccheranno di più", ha spiegato il direttore di corsa Thierry Gouvenou all’Equipe. 

 

Al Giro questa modifica è stata inserita da qualche anno. E sì, ne è valsa la pena.

 

Il Tour de France è tornato a essere Tour de France. Nel 2021 forse la finirà di essere una corsa paternalistica, che si preoccupa in modo ossessivo di cercare di generare spettacolo, ci lascerà tempo per annoiarci, per apprezzare il caos magnifico di una volata di gruppo, la meraviglia di una discesa che raggruppa di nuovo ciò che la salita aveva disperso. Che ci permetterà di rivedere la montagna ritornare a restringere il tempo che la cronometro ha tentato di dilatare e di riapprezzarne la sua funzione primaria: un momento di follia all’interno di un romanzo ordinato. 

Di più su questi argomenti: