Sigmund Freud

Anna Ferruta, la grandezza di Freud

Davide D'Alessandro

"Il fondatore della psicoanalisi ha inaugurato un metodo di ricerca e di cura della realtà psichica che ha dato a questa un riconoscimento fondamentale di esistenza. Quindi ha ampliato e consolidato i territori della comprensione del mondo umano. La sua peculiarità è che il suo metodo unisce conoscenza e affetti in modo imprescindibile, psiche e soma, io e altro, soggetto e oggetto"

 

Le nostre consuete venti domande questa volta interpellano Anna Ferruta, Full member AFT Società Psicoanalitica Italiana e Full Member International Psychoanalytical Association. Tra i suoi libri: "Un lavoro terapeutico"; "Pensare per immagini"; "I transfert. Cambiamenti nella pratica clinica"; "Un'esistenza murata"; "Le comunità Terapeutiche. Psicotici, borderline, adolescenti, minori", "La diagnosi genetica: un dialogo per la cura" e il più recente "La cura psicoanalitica contemporanea. Estensioni della pratica clinica". Si è occupata del pensiero di alcuni dei più importanti psicoanalisti italiani, come Cesare Musatti e Luciana Nissim.

Che cos’è e a che cosa serve l’analisi?

La risposta richiede di ampliare il discorso alla dimensione multipla della psicoanalisi, nella quale teoria del funzionamento psichico, terapia, ricerca, sono strettamente collegate. Se consideriamo l'analisi come pratica clinica a cui una persona si rivolge per  un disagio psichico o per  capire di più se stessa e il mondo, vi ritroviamo tutte e tre queste caratteristiche peculiari: l'analisi è un'esperienza emozionale, conoscitiva, affettiva, che  utilizza il rapporto con un altro, l'analista, in un ambiente 'sicuro' (dove il paziente non viene criticato o indirizzato), per sviluppare potenzialità inespresse (arresti nella crescita del sé: rifiuto di continuare andare a scuola, ad es.) o per sciogliere difficoltà e sofferenze bloccanti (fobia di luoghi chiusi, panico dei viaggi, ritiro dalle relazioni, ecc.). L'analisi è una cura che mette al centro la questione della sofferenza psichica come forma di comunicazione inconscia che è alla ricerca di qualcuno capace e interessato ad ascoltarla e comprenderla, allo scopo di utilizzare questa esperienza relazionale emozionale-conoscitiva come risorsa per vivere meglio con sé e con gli altri.

Perché tanti anni fa decise di affidarsi a un analista?

La molla che fece scattare il desiderio-necessità di affidarmi a un analista fu duplice: la lettura a 14 anni di un primo testo freudiano (Psicopatologia della vita quotidiana), a cui ne seguirono altri, in particolare l'Interpretazione dei sogni, una vera apertura di orizzonti, e la mia personale infelicità della vita quotidiana, che negli anni successivi andò incontro a inibizioni, difficoltà ad esprimere qualcosa che non trovava forza e voce, fino alla decisione di seguire studi universitari di psicologia e chiedere aiuto a un analista, alla ricerca di una forma di liberazione da vincoli inconsci limitanti.

Come scelse i suoi analisti?

E' una domanda a cui non so rispondere: scelsi i miei analisti (due, in successione, Enzo Morpurgo e  Luciana Nissim Momigliano) come si sceglie qualcuno con cui si sente di potersi trovare bene. A posteriori, certo, penso che si sia trattato di due figure molto significative, appartenenti alla cultura e alla storia del mondo ebraico, caratterizzati entrambi da uno spirito di ricerca che non si arresta di fronte a paure e difficoltà e da un carattere di profonda umanità e compassione. Una scelta dettata forse da una tensione inconscia verso il desiderio di tenere insieme scienza e umanità.

Che cosa occorre per fare un ottimo analista?

Per fare un 'buon' analista occorre un profondo e semplice contatto con il proprio mondo interno, maturato attraverso l'esperienza del lavoro nell'analisi personale. Il soggetto che va in analisi per diventare analista è importante che abbia anche un'esperienza di vita culturale e sociale, come patrimonio da utilizzare per comprendere i diversi linguaggi consci e inconsci dei pazienti. Ma soprattutto l'analista deve avere interesse per l'altro da sé, per quello che non conosce: questa apertura all'alterità dell'altro, questa capacità di farsi concavo per accogliere e fare posto all'altro, richiede un basso grado di narcisismo e un'umana e affettiva curiosità per dare parola e forma alle comunicazioni tra inconsci che si attivano nella seduta analitica. Infine deve essere capace di ascoltare i messaggi controtransferali che queste tempeste emotive scatenano in seduta per individuare al momento ottimale quella parola o immagine o storia che fa da contenitore psichico che tiene insieme l'individualità del soggetto in relazione, un soggetto non isolato, ma nemmeno perso e frammentato nell'indeterminatezza. A volte basta una parola che sintetizza un percorso e libera risorse, in cui il paziente si riconosce come unico e insieme in relazione con qualcuno che non lo annulla. Capita, con i pazienti, di dare un nome nuovo a sé o a un'esperienza significativa che divengono elementi importanti della vicenda analitica.

Le tante scuole in psicoanalisi aiutano o confondono?

Se ci sono tante scuole vuol dire che il fenomeno psichico è un continente vasto da esplorare con molti mezzi e ancora in gran parte sconosciuto. Anche in altre discipline ci sono tante scuole, e alla fine sopravvivono quelle che riescono trovare descrizioni dei fenomeni esistenti più adeguate e risposte più  convincenti e utili (mi viene spesso in mente il dibattito tra gli astrofisici che nel 2016 degradarono Plutone da pianeta a un altro tipo di corpo astrale, perché non possedeva i requisiti richiesti dalla scienza). La psicoanalisi è una disciplina ancora giovane, ha poco più di 100 anni, e quindi i suoi parametri fondamentali sono in via di definizione, ma certamente la scoperta di Freud possiede una potenzialità di scoperta del funzionamento psichico straordinaria. Questo elemento di ricerca che caratterizza la psicoanalisi provoca spesso irrigidimenti in scuole che si propongono come detentrici di una 'verità' ultimativa che nulla a che fare con la scienza, a cui la disciplina scoperta da Freud appartiene, in quanto analizza e descrive fenomeni della realtà psichica e propone teorie da sottoporre a verifica, come tutte le scienze.

Perché ritiene Freud il più convincente dei maestri?

Freud ha inaugurato un metodo di ricerca e di cura della realtà psichica che ha dato a questa un riconoscimento fondamentale di esistenza. Quindi ha ampliato e consolidato i territori della comprensione del mondo umano. La sua peculiarità è che il suo metodo unisce conoscenza e affetti in modo imprescindibile, psiche e soma, io e altro, soggetto e oggetto. Questa potente istanza integrativa mi sembra un'acquisizione  importante, che gli sviluppi attuali di neuroscienze e neurobiologia confermano e arricchiscono (vedi Rizzollatti, Gallese , Panksepp, Solms,ecc.). Ne è indicatore la sua teoria dell'inconscio come espressione delle tracce delle esperienze e relazioni vissute, in attesa di incontri per prendere vita e forma nel mondo condiviso. Freud non è mai 'ammaestrante', ma sempre scienziato alla ricerca di ciò che non conosce.

Per James Hillman siamo chiamati a “fare anima”. Per lei?

Siamo chiamati a sviluppare risorse inespresse in un contesto relazionale.

Chi o che cosa decide quando termina l’analisi?

La conclusione di un'analisi, diceva Freud, è una questione pratica: si potrebbe continuare senza fine, ma a un certo punto la spinta si esaurisce e le energie si investono altrove con un movimento naturale, come quello di un fiume che scorre e arriva al mare. Questo accade quando le cose vanno per il meglio. Ma sappiamo che ci sono spesso situazioni di analisi 'interminabili', che ci interrogano su meccanismi patologici che si innestano, di cui parla Elvio Fachinelli nel suo bel libro Claustrofilia. La domanda illumina un aspetto della disciplina psicoanalitica tutto da indagare: la dimensione del tempo, sulla quale recentemente molte altre scienze si interrogano, non solo quelle del territorio della fisica. Il libro di Carlo Rovelli L'ordine del tempo ha stimolato ricerca sulla dimensione del tempo, che anche la psicoanalisi deve sviluppare.

Qual è la forma più grave di nevrosi che si trova frequentemente davanti?

Attualmente le forme di sofferenza psichica che incontro con maggiore frequenza riguardano situazioni di 'non voglia di vivere', ovvero di 'morte psichica', sia nei giovani che iniziano ad avere  necessità di investire su di sé e sul mondo, intorno al compimento della maggiore età (il cosiddetto breakdown giovanile), sia di 'depressione' in persone in età matura, che dopo avere raggiunto importanti realizzazioni nel lavoro e/o nella vita affettiva, si trovano di fronte a quello che viene percepito come vuoto, una perdita di senso del vivere. Le ragioni sono molte e complesse, ma un aspetto che a mio parere favorisce questo impoverimento del sé è costituto dall'eccesso di prescrizioni assertive nell'ambiente educativo e sociale (diete, ricette, schemi), e dalla mancanza di spazi sicuri di esperienza in cui mettersi in gioco con gradienti di libertà creativi che non rompano relazione con gli altri.

Curano di più le parole o i silenzi?

Come nella musica, la dinamica della comunicazione in analisi è composta da un ritmo, un contrappunto, che dà spazio all'ascolto, anche del silenzio, e da interventi sonori (suoni non verbali, parole, interpretazioni, commenti) che seguono il flusso delle libere associazioni e dell'attenzione fluttuante, e che segnalano la sintonia o dissintonia emotiva della vicenda che sta divenendo.

Anche l’analista, come il padre, va ucciso o, se preferisce, oltrepassato?

Il percorso analitico comprende, fin dall'incontro iniziale, il progetto della sua fine. Questo elemento in analisi è esplicito, mentre nella vicenda esistenziale degli esseri umani è lasciato prevalentemente implicito il significato aggressivo del passaggio 'inevitabile' delle generazioni, che diventa agito nelle fasi di quello che è indicato  come complesso edipico e che significa diventare sé stessi affrontando il rischio di volere andare oltre i genitori. La vicenda analitica, se funziona, deve dare all'analizzando la possibilità di confrontarsi con l'altro/analista e andare oltre, mettendo in gioco amore e odio.

Come si lavora per far crollare le resistenze?

Potrei rispondere rifugiandomi nell'asserzione generica che ogni situazione è diversa, ma non lo voglio fare perché la domanda mi offre l'opportunità di mettere in luce una qualità della psicoanalisi che ne evidenzia il carattere non prescrittivo ma creativo. Con ogni analizzando, per superare le resistenze, bisogna predisporre innanzitutto un contesto sicuro, quello che indichiamo con il termine setting, cioè un ambiente relazionale nel quale il paziente sia sicuro di non venire giudicato o indirizzato, ma lasciato libero di pensare, naturalmente per quello che è possibile. In questo senso il rispetto degli orari e la stabilità dell'ambiente e la regolarità delle sedute sono fondamentali. L'analista  crea una situazione dotata di alcune garanzie di rispetto della soggettività del paziente: nello scambio emotivo tra analista e paziente in questo ambiente sicuro, seguendo il flusso delle libere associazioni, spesso anche con l'aiuto dei sogni, può emergere il nucleo delicato e vulnerabile che veniva tenuto lontano dal contatto e dal confronto con gli altri e con se stessi tramite appunto le resistenze, nucleo e che a questo punto può essere rimesso  in circolo, lavorato, trasformato, e divenire a disposizione del soggetto come una risorsa da utilizzare.

È più complicata la gestione del transfert o del controtransfert?

Penso che sia più complicata al gestione del controtransfert, perché l'analista corre spesso il rischio di abusare di questo prezioso e straordinario strumento di comunicazione tra inconsci, indebolendo la capacità di ascolto del paziente, e sopravvalutando  le emozioni che in quel momento prova, come chiave di accesso al mondo dell'altro. Certo, possono avvenire abusi e fraintendimenti anche nell'utilizzo del transfert, ma le difficoltà sono più evidenti e soprattutto la tendenza dell'analista a 'presumere' di avere compreso immediatamente la dinamica inconscia è minore (pensiamo a esempio a casi di transfert aggressivo o erotico nei quali l'elaborazione può essere complessa, ma il riconoscimento della dinamica in atto e più accessibile).

Per Freud, il sogno è la via regia per accedere all’inconscio. Se viene ben interpretato, aggiungerei. È possibile avere conferma di una buona interpretazione?

Ricordo che Cesare Musatti era solito dire che la bontà di un'interpretazione si manifesta con evidenza quando il paziente inizia a parlare, associare, ampliare il campo dei vissuti che affiorano alla mente mentre è in relazione. Il sogno resta la via regia all'inconscio, perché Freud ha teorizzato che il sogno è una forma di pensiero, non è un inganno, è un pensiero che segue regole di diverse da quelle del pensiero conscio (spostamento, condensazione, simbolizzazione, elaborazione secondaria) e quindi comunica affetti e contenuti che per questa via non avrebbero accesso. E poi perché il sogno è una creazione del paziente che fa emergere contenuti che questi può accettare, anche se in un primo tempo lo sorprendono, e nella quale può riconoscersi in nuove forme.

Ha faticato di più a lavorare con il suo inconscio o con quello degli altri?

Non saprei: a seconda di dei momenti, è stato complesso affrontare le dinamiche del mio inconscio  come quelle dei pazienti.

Il costo elevato di un lungo percorso analitico ha spinto molti a orientarsi verso le cosiddette analisi brevi, ma può esistere un’analisi breve?

Questa domanda rimette in gioco al questione del tempo in analisi. Credo che ci sia molto da lavorare intorno a questa dimensione. Non penso che la ripresa di riflessioni su analisi 'brevi' riguardi prevalentemente o soltanto questioni legate ai costi elevati di un lungo trattamento. Attualmente in letteratura ci sono studi che indicano che i costi di trattamenti analitici, per esempio di depressione, si rivelano meno onerosi di altri trattamenti sintomatici, farmacologici o psicoterapici, anche perché i risultati a medio e lungo termine sono più duraturi (Fonagy, Leuzinger Bohleber). Come ho accennato prima, il problema del tempo psichico è molto complesso: come in altri campi disciplinari, penso che non esista soltanto il tempo lineare che si svolge seguendo le linee evolutive (inizio, elaborazione, fine), e nemmeno solo la condizione dell'inconscio 'senza tempo' in cui avvengono coincidenze tra passato presente e futuro come nel transfert, ma che esista anche la dimensione del tempo dell'evento, dell'istante, nel quale un fenomeno  accade e una trasformazione avviene. E' un campo da studiare, sul quale per ora non saprei dire di più, ma credo che molte persone non si avvicinano a un trattamento analitico temendone la lunghezza, mentre forse oggi disponiamo di comprensioni e tecniche che non prevedono necessariamente un prolungamento eccessivo dell'esperienza psicoanalitica, come ha mostrato Bollas in uno dei suoi ultimi libri (Catch Them).

L’analisi è un cammino di libertà. Le piace questa definizione o è incompleta?

Sì, mi piace, e la condivido, anche se la libertà non è mai assoluta perché siamo il nostro corpo che è un limite e abbiamo sempre desiderio di altri-altro.

Qual è il rischio che si cela dietro l’angolo dell’analista?

Penso che il rischio maggiore sia l'autoreferenzialità, l'usare la dimensione analitica come uno strumento in cui immergersi e isolarsi, evitando incontri e scontri con dimensioni dell'esperienza fuori dalla stanza di analisi, che interrogano continuamente il metodo (come l'attività artistica, fisica, manuale, gli incontri sociali e culturali, la vita quotidiana).

Per Thomas Ogden ci vogliono due persone per pensare, ma sono davvero soltanto due le persone che si incontrano durante la seduta?

Ritengo che il contributo di un grande psicoanalista, René Kaës, professore emerito dell'Università Lumière di Lione, non sia ancora stato pienamente acquisito nella cultura psicoanalitica. Kaës ha sviluppato la dimensione della gruppalità inconscia, mostrando che sin dagli inizi ogni individuo possiede anche una dimensione plurale: il bambino nasce in un contesto legato non solo a un rapporto duale con il genitore, ma in un gruppo senza il quale non può psichicamente svilupparsi. E' necessario stabilire alleanze inconsce con il gruppo di appartenenza, per rendere possibile la sopravvivenza dell'uno e dei molti. Questa dimensione plurale va oltre quella duale e in analisi è presente: pensiamo a esempio alla questione dei traumi collettivi e dei genocidi, che riguardano l'individuo e il gruppo  di appartenenza del paziente e dell'analista.

La sfera della sessualità è sempre al centro dell’analisi o c’è altro?

La sessualità è al centro dell'analisi come dell'esistenza umana, in quanto è il fattore principale di legame tra le persone ed è la dimensione che ne rappresenta al meglio la creatività. L'evidenza è che i pazienti chiedono l'analisi per problemi legati alle relazioni e agli affetti, ai legami con gli altri e alla vulnerabilità del sé, dimensioni che hanno a che fare con la spinta relazionale radicata nella vita sessuale, intesa non solo come esperienza riferita agli organi genitali ma coinvolgente tutta la persona.