Massimo Recalcati ed Enzo Bianchi

La notte del Getsemani e il giorno che viene

Davide D'Alessandro

L’ultimo libro di Massimo Recalcati, edito da Einaudi, è una riflessione che prima invita e poi impone a fare i conti con la nostra notte, la notte dell’incertezza, dell’angoscia, del terrore. È un libro che richiama l’essere una porta, una porta stretta da cui è inevitabile passare per generare nuova vita

La notte del Getsemani, l’ultimo libro di Massimo Recalcati, edito da Einaudi, si legge in meno di due ore ma è destinato a restarti addosso e dentro per sempre. È una riflessione sulla notte dell’uomo, sulla caduta, sul tradimento, su Giuda e Pietro, sull’abbandono, sulla fedeltà al proprio desiderio, sulla solitudine, sul negativo, sulla porta, sul dire e sul fare, sulla debolezza umana, su due preghiere, la prima diversa dalla seconda, sul silenzio, ma è anche la storia del Maestro e dei suoi allievi, la storia di ognuno, la storia della fine che può generare un nuovo inizio. È una lettura che si avvale dell’esperienza psicoanalitica, nel segno di Lacan, è una lettura che affronta il testo biblico senza concedere spazio alle elucubrazioni né tanto meno alle prediche. È una lettura che sta sul pezzo e sul testo, che cita quando e dove serve, che inizialmente invita e infine impone a fare i conti con la nostra notte, la notte dell’incertezza, dell’angoscia, del terrore. La parola morte risuona, ma può risuonare alla maniera di Giuda o alla maniera di Pietro, si può rispondere con il suicidio o con le lacrime, si può tradire pianificando con lucida freddezza o perché si è umani, troppo umani.

Questo è un libro che nasce da una conferenza tenuta due anni fa dall’autore presso il Monastero di Bose, dove vi sono, scrive Recalcati «le mie sorelle e i miei fratelli», dove risiede, aggiungo io, da decenni, un altro maestro, Enzo Bianchi, verso il quale abbiamo tutti un debito, il debito che gli allievi presto dimenticano di riconoscere, il debito di averci insegnato tanto con poche parole e tanti silenzi, con poco dire e molto fare, con l’esempio che soltanto le persone semplici e vere, non artefatte, sanno dare.

Questo è un libro ispirato, che a Bose ha trovato il modo di esprimersi e di venire alla luce, di dare luce ai lettori assetati di figure che non mentono, di figure radicali, radicali del desiderio. E Gesù, spiega Recalcati «è una figura radicale del desiderio. Se il desiderio è una forza che muove la vita, che rende la vita viva, egli è la massima incarnazione di questa forza al punto che strappa letteralmente la vita alla presa della morte, riporta la vita alla vita, non lascia mai che sia la morte l’ultima parola sulla vita».

Se la parola, l’unica parola da pronunciare è Kum!, Alzati!, vuol dire che occorre cadere, finire a terra, conoscere il senso della disfatta, avvertire il peso del dolore, farne esperienza, portare i segni di quel dolore. Per arrivare in fondo e tenere fede, non solo con la parola ma con l’atto, con l’atto coerente alla parola, con la prova, è necessario servirsi di esempi limpidi, inequivocabili, di chi sa essere una porta. Aggiunge Recalcati: «Nel Getsemani essere una porta impone l’esperienza della testimonianza. Non è più solo un enunciato, un racconto, una narrazione. Gesù è chiamato a farsi porta dal suo stesso desiderio; il Getsemani è un passaggio necessario dove la forza della parola incontra la sua prova estrema. Dove il “dire” si mantiene testimonialmente unito al “fare”, diversamente da quello che accade ai maestri della Legge perché contraddicendo la logica della testimonianza, “essi dicono e non fanno”».

Questo è un libro che cammina accanto all’uomo, che lo scruta nei suoi passi claudicanti, che lo aiuta a comprendere la differenza decisiva tra il religioso e il mistico. Continua Recalcati: «È un tema ripreso con forza in psicoanalisi da Bion e da Fachinelli: il mistico entra sempre in collisione conflittuale con il religioso. Lo slancio del desiderio e la passione per la verità cozzano inevitabilmente con l’arroccamento dell’istituzione che difende e conserva la propria identità sottraendola a qualunque forma di contaminazione. Al tempo stesso, quando la forza libera della parola si istituzionalizza – si irregimenta in un codice stabilito – rischia sempre di smarrire la propria potenza generatrice».

Questo è un libro che alla potenza generatrice intende approdare. Ma è appunto un approdo. Prima c’è la navigazione, quasi sempre in mari tempestosi, dove si è chiamati a essere osannati, denigrati e traditi, per dimostrare di essere pronti all’oltrepassamento di quella notte, di quella morte della quale è possibile non morire se, dopo aver umanamente supplicato, con la prima preghiera, ci si affida, con la seconda. Se, invece di invocare l’eccezione, si cede, se «l’Io cede, indietreggia, si affida all’Altro sebbene l’Altro – ed è questa la prova ultima – non risponda».