La storica fontana di Diana e Atteone nel Parco del Palazzo Reale di Caserta

Pierre Klossowski, il bagno di Diana

Davide D'Alessandro

Adelphi ripropone un libro speciale dello scrittore francese, che riesce a cogliere nel mito della dea e del giovane Atteone tutti i tratti simbolici, senza commettere il più imperdonabile degli errori: appropriarsene attraverso la mediazione del linguaggio

Lavorare sul mito, coglierne ogni singolo dettaglio, giungere al centro (se esiste un centro) del suo significato, è arte riservata a pochi. Molti sono i chiamati, pochi gli eletti. Se ci riesci, fallo pure, mi verrebbe da scrivere, con le parole che Diana rivolge al povero Atteone. Pierre Klossowski ci riesce benissimo e nel 1956, per Pauvert, e nel 1980 per Gallimard, pubblica Le bain de Diane. Oggi, la…mitica Adelphi lo ripropone con la traduzione di Giuseppe Girimonti Greco. Il bagno di Diana ha in copertina la splendida pittura Diana e Atteone di Marcantonio Franceschini, pittore bolognese del periodo barocco. “Nunc tibi me posito visam velamine narres, si poteris narrare, licet”, scrive Ovidio in Metamorfosi, III, 192-193 e Klossowski lo pone a esergo, poiché da quel “se ti riesce, fallo pure”,  da quel “se puoi, vai pure a raccontare in giro ciò che hai visto” sorge il tema e si chiude l’evento.

Ma che cosa ha visto Atteone, il cacciatore stanco per un attimo di cacciare, che cerca riposo e riparo nei pressi di una grotta? Ha visto Diana, la dea, fare il bagno con altre dolci fanciulle. Nude. Una visione celestiale e irresistibile, una luce accecante per gli occhi del povero giovane. Diana, inferocita, gli spruzza l’acqua sul volto e lo trasforma in cervo. Scrive Ovidio: “E quella, per quanto stretta tra le tante compagne, si volse sul fianco e indietro girò il viso e, come se avesse avuto pronte le frecce, prese l’acqua che aveva e con quella il volto dell’uomo bagnò e, inondando i capelli con fiotti vendicatori, aggiunse parole che predicevano futura sventura: Ora racconta pure d’avermi vista senz’abito, se riuscirai”. Se ti riesce, fallo pure. Atteone, invece, può solo scappare, arrivare alla fonte, specchiarsi come Narciso ma, al contrario di Narciso, vedere un animale, un cervo, non proprio il più bello del reame, ormai inseguito da altri animali, i suoi cani, che lo catturano e lo mangiano. Il cacciatore è diventato preda. Sbranato.

Anche Diana e Atteone, come ogni mito, è stato visitato e rivisitato, rappresentato, illustrato e interpretato in mille modi. Klossowski, che non è né Tiziano né Rembrandt, non si accontenta di ritrarre. Usa la penna e avverte: “Se il lettore non è del tutto privo di memoria, e di ricordi trasmessi da altri ricordi, questi due nomi possono improvvisamente rifulgere come un’esplosione di splendori e  di emozioni”. Pone una domanda, Klossowski: “Dovremo chiedere ai teologi se, fra tutte le teofanie che si sono prodotte nel tempo, ne esiste una più sconcertante di questa? Una divinità che si offre e al tempo stesso si sottrae agli uomini sotto le seducenti fattezze di una vergine prorompente e letale”. E altre, ancor più suggestive e intricanti: “Esiste forse visione più folle di quella che si offre attraverso gli spiragli del fogliame agli occhi di Atteone? È davvero così assorto in questo sogno, a mezzodì, mentre il corno riecheggia? È stato il caso o un desiderio errabondo a guidare i suoi passi lungo la via della salvezza, in seno alla maledizione? Ha davvero creduto che quella vergine fosse afferrabile nell’inafferrabile divinità? È stato lui a dare consistenza a quella teofania? O ne è stato solo l’esegeta?”.

Klossowski, presentato da Adelphi come ‘mitografo eterodosso”, spiega: “Atteone aveva avuto sentore del rischio: voleva andare incontro al destino, diventarne complice, con tutto sé stesso voleva coincidere con il proprio destino, portare a compimento, come una vocazione, il destino dell’uomo-cervo; aveva sperato di trovare la salvezza e invece aveva distrutto la propria immagine”. Importante, con i miti, è non commettere il più imperdonabile degli errori: “In qualsiasi modo si voglia rigirare la questione, ci si imbatte sempre nello stesso errore: la presuntuosa ed empia volontà di appropriarsi del mito attraverso la mediazione del linguaggio: Diana svelata violabile – Diana nuda inviolata – pura interferenza o applicazione letteralistica dell’analogia dell’essere? Stratagemmi della mediazione delle parole!”.

Forse occorre sostare davanti al mito come davanti a un quadro. Come davanti alla fontana di Diana e Atteone nella Reggia di Caserta. E tacere. E lasciar parlare, o scrivere, chi può. Chi può, se può, ci riesce. Klossowski ci è riuscito benissimo. Noi, dopo averlo letto (un paio d’ore in meditazione lenta e profonda), possiamo soltanto andare in giro a raccontarlo. Senza avere l’acqua in faccia, senza diventare cervi, senza essere sbranati. Il libro non è un mito, fortunatamente. È un libro speciale, da non perdere, sul mito.