Antonino Buono

Ermeneutica dei sogni, ermeneutica della vita

Davide D'Alessandro

Antonino Buono, neuropsichiatra e analista junghiano, analizza miti e riti, finito e infinito, simboli e archetipi, numeri e figure geometriche, mondo antico e mondo di oggi, la povertà ricca di un tempo e la ricchezza povera di oggi, quanto è andato perso  di contenuto, di sostanza, di pensiero

Il libro che ho tra le mani, di Antonino Buono, in libreria tra qualche giorno, l’ho letto prima che fosse scritto. Perché è il libro che ho sempre sognato di scrivere, senza averne mezzi e capacità. È il libro, edito da Morlacchi, che ha per titolo: Sogni. Realtà altra, immaginazione creativa, profezia. Oh, i sogni! La vita notturna, i momenti più veri. Senza pregiudizi e senza difese. Soli, finalmente soli. Soli e sogni. A fare un po’ i conticini. A capire che cosa ci balla dentro, che cosa chiede di emergere, di prorompere, di trovare ascolto.

Da anni li ricordo e li trascrivo con estrema cura. Rivisitano la memoria o è la memoria che torna a farmi visita? Sono migliaia, ormai. Potrei pubblicare un libro di sogni. Ma mentre penso di pubblicare, arriva il libro da pubblicare davvero, il libro del mio analista, il libro che ho letto prima che fosse scritto. Ora lo (ri)leggo, lo (ri)attraverso e mi sembra perfetto. Concepito come Il Libro, come unico libro di una storia di vita e di lettino lunga più di settant’anni, che ha la forza, la potenza, di entrare nel mito, di interpretare sogni e visioni, di evocare un mondo altro rispetto a quello che banalmente frequentiamo.

È un libro che invita e (re)incantare il mondo che abbiamo colpevolmente (dis)incantato, a (ri)ascoltare il battito della vita che abbiamo colpevolmente smesso di ascoltare. Nella bottega artigiana di un analista si lavora con  parole, sogni, immagini, simboli, metafore. È un lavorio delicato, certosino, paziente. L’anima non è una macchina, non si lascia accostare dalla tecnica. Ha bisogno di passi felpati e prudenti. Un minimo errore la devasta. Buono ha saputo, dopo una vita spesa curva sul dolore psichico, sulle ferite dell’anima, consegnare al lettore un libro meditato, saggio, con intarsi derivanti da una notevole stabilità interiore. Dietro la scrittura emerge sempre, finendo per rivelarsi, un’esistenza, la storia di una vita, il percorso mai lineare, sempre accidentato e in salita, dell’inquieto vivere e operare dell’umano.

Dall’uomo essere sognante fino alle conclusioni, il libro analizza puntualmente, mai banalmente, i miti e i riti, il finito e l’infinito, simboli e archetipi, numeri e figure geometriche, sogni e strategie interpretative, il mondo antico e il mondo di oggi, la povertà ricca di un tempo e la ricchezza povera di oggi, quanto si è perso, quanto è andato perso  di contenuto, di sostanza, di pensiero.

Il titolo, Sogni, favorisce e contempla un’ermeneutica dei sogni, un’ermeneutica della vita. Sarebbe piaciuto a Gadamer, perché c’è verità e metodo; sarebbe piaciuto a Freud e Jung, perché i maestri fondatori necessitano non di parolai e venditori, ma di eredi all’altezza del compito, per tramandare la scienza che ha rivelato l’uomo a sé stesso.

Un libro profondo, perché chi l’ha scritto è abituato a scendere per ascendere, a cadere per rialzare, a precipitare per riemergere. Ho conosciuto diversi analisti, ho letto migliaia di sogni e migliaia di interpretazioni, raramente ho colto la serietà, la compostezza, la disciplina, l’autenticità trovate in Buono. Mai una recita, mai uno svolazzo, mai una concessione allo spettacolo, mai un atteggiamento teatrale. Se dovessi indicare un analista, indicherei lui. Se dovessi indicare un libro, indicherei il suo. Non perché è stato anche il mio analista. Perché la bibliografia essenziale posta in fondo al libro è gran parte la mia bibliografia, le letture che lo hanno nutrito e formato sono state le mie. L’ho scoperto scorrendola, senza alcun accordo preventivo. Perché la filosofia è parte della sua vita, perché parla dei filosofi con il rispetto che si deve a cose sacre, perché esalta la chiarezza espositiva di alcuni di loro. Perché ha il tratto, la misura, vorrei dire il dono del vero analista.

Buono sostiene che «in analisi il grande "gioco" è il rapporto analista/paziente e per quanto riguarda l'analista certo ha molta importanza la sua personalità, la sua esperienza, la sua capacità di intuire quasi nel senso letterale di intus-ire, ossia di calarsi dentro all' "anima" del paziente". Medico e paziente sì, ma fondamentalmente due persone con la sottaciuta premessa della disponibilità ad ascoltare e della necessità di essere ascoltato e talora chi ha la necessità di essere ascoltato non è detto che riesca a parlare e allora è anche dialogo "muto" fra due persone in cui uno comunica all'altro, comunque, la disponibilità a essere "presente", a occuparsi nel senso di prendersi cura. Secondo me, principio fondamentale nell'analisi è quello che il medico o analista in senso lato - come ha asserito un grande analista francese - deve cercare di insegnare a giocare a carte ma non deve sostituirsi al paziente nel gioco, perché le carte devono restare in mano a questi, a cui spetta la decisione finale delle scelte».

Un giorno, neanche tanto lontano, entreremo nel gioco e guarderemo le carte. Cercheremo di spiegarle, di ricordare le regole, di invitare il giocatore-lettore-paziente a rispettarle, a non giocare contro, a non definirle brutte. Nel gioco della vita non esistono carte brutte. Non esiste, non può esistere la luce sembra l'ombra. Nel dialogo parlato o muto tra analista e paziente si apre lo squarcio di sole tra nuvole e cielo. Basta disporsi. Basta voler vedere.

Una volta, accompagnandomi alla porta, mi disse: «Prima o poi lo scriveremo un libro da premio Nobel». Sapevamo entrambi che il Nobel, il vero Nobel, non lo assegna Stoccolma. Lo assegna un giudice più severo, la vita, quando lo assegna. A lui l’ha assegnato. E mai premio fu tanto meritato.