Emmanuel Macron e Angela Merkel (foto LaPresse)

L'Europa riparte. Seriously?

Matteo Scotto

Macron dovrà presto guardare in faccia la realtà e accorgersi che la via per le riforme in Europa è molto più lunga e tortuosa di quel che dice, ma che probabilmente non pensa. 

“Ecco è fuggito il dì festivo, ed al festivo il giorno volgar succede, e se ne porta il tempo ogni umano accidente”. Leopardi, il summit bilaterale di Angela Merkel e Emmanuel Macron di venerdì scorso, l’avrebbe commentato così, con un idillio. Perché di quello si è trattato. C’erano gli innamorati, gli sguardi rubati, le cose non dette e le vane speranze. Un meraviglioso quadretto di pace e armonia, dall’ambientazione forse non troppo pastorale, e tuttavia dolcemente avulso dalla triste realtà dei fatti. Le parole di Monsieur le President, unico eroe del poema, sono la piena testimonianza della finzione poetica in cui ci troviamo. A sua detta, l’Europa intera starebbe aspettando, in sogno a questo punto, che Francia e Germania alzino il vessillo europeo e insieme conducano il continente verso una nuova stagione di ubertà e serenità. La Cancelliera tedesca è parsa come al solito più parca, moderata nell’entusiasmo e nella retorica, ben consapevole dei limiti entro cui sarà costretta dal suo nuovo esecutivo. In Germania, l’accordo di coalizione siglato e approvato dai tre partiti di governo — CDU, CSU e SPD — rimane non a caso alto nei toni e vago nei termini per tutto ciò che riguarda l’agenda europea. La CSU, i duri cristiano-sociali bavaresi a cui sono andati tre ministeri importanti tra cui quello degli Interni, poco concederanno sul fronte di immigrazione, asilo e accoglienza. All’interno della stessa CDU, sembra esserci inoltre parecchia sintonia tra i leader emergenti e i liberali di FDP, usciti dalla prima ipotesi di coalizione con i verdi e fievoli sulle riforme dell’Eurozona. Per non parlare di quale opposizione aspetta a Frau Merkel, che stando ai numeri, con il partito xenofobo di AfD in testa, sarà probabilmente la più euroscettica degli ultimi anni. Tutto ciò solo per meglio comprendere su quali prerogative politiche si fonda il tanto acclamato asse franco-tedesco, che come giustamente sottolineato da politico.eu, ultimamente si distingue per una buona dose di small-talk. Se si guarda fuori dal binomio Francia-Germania, le nubi che aleggiano sul progetto europeo paiono ancora più cupe. Forse pochi lo sapranno, ma poche settimane fa alcuni paesi dell’Europa settentrionale — Danimarca, Finlandia, Svezia, Irlanda, capeggiati dal primo ministro olandese Mark Rutte — hanno presentato, congiuntamente ai paesi baltici, una lettera di intenti che smonta punto per punto l’agenda riformista di stampo macroniano. Il documento, che a differenza delle dichiarazioni favorevoli all’integrazione europea risulta chiaro e coinciso nelle sue argomentazioni, si apre rivendicando un approccio inclusivo alle riforme dell’Unione economica e monetaria, che riguarda i 27 Stati membri e che per tali motivi qualunque proposta di avanzamento deve essere condivisa da tutti. È l’Unione intergovernativa baby, quella che dal Trattato di Lisbona in poi viene riconosciuta e consolidata come unica alternativa possibile, dove tutto si decide nel Consiglio europeo e con il consenso unanime dei capi di Stato. Sempre nello scritto in questione è interessante constatare un marcato riconoscimento degli Stati membri, supportati dalle proprie opinioni pubbliche, come unici attori politici legittimati a guidare il timone dell’integrazione. Se poi guardiamo a est, vento e nubi diventano tempesta, con il blocco dei paesi di Visegrád, a cui si associano con gaudio gli amici austriaci, sempre più dubbioso su cosa esattamente l’Unione europea debba rappresentare. Girando lo sguardo si arriva infine all’Europa mediterranea, irrequieta sul fronte iberico e greco e rumorosa sul fronte italico, il cui risultato elettorale, critico nei confronti dell’Europa, viene liquidato nella grigia Bruxelles come populista, benché riguardi la maggioranza abbondante dei votanti. E dire che intellettuali come Roger Scruton venivano presi per matti quando decadi or sono richiamavano l’attenzione sui pericoli di superare pedestremente gli Stati nazionali, senza solide fondamenta di legittimazione democratica e senza una chiara visione di quello che l’Europa sarebbe dovuta diventare. Era il tempo delle mele, dell’Europa senza confini, della retorica internazionalista, della globalizzazione rampante e delle grandi speranze. Ora che la storia non è finita e il Re è nudo, tocca aprire gli occhi e guardare in faccia la realtà, Macron in primis, a patto che il suo scopo non sia, come il ritratto finale di Prospero dipinto dal Bardo nella Tempesta, soltanto quello di divertire.