Donald Tusk (foto LaPresse)

Come cambia l'Unione europea (in peggio) spiegato facile

Matteo Scotto

I cittadini europei dovrebbero sforzarsi di capire che il Consiglio europeo sta cambiando l'architettura istituzionale dell'Unione senza chiedere a nessuno. 

In una fase di profondo cambiamento della gestione degli affari europei orchestrata dai principali attori politici in campo — gli Stati nazionali — i cittadini europei sono chiamati a una grande responsabilità, che è quella di capire qual è l’Unione europea che vogliono davvero. Perché i capi di Stato dell’Ue riuniti oggi nel Consiglio europeo, l’istituzione in cui siedono i leader dei paesi membri dell’Ue, stanno plasmando un’Unione europea tutta loro, senza chiedere a nessun altro dei cinquecento milioni di cittadini europei. Facciamo un passo indietro. L’Unione europea, all’incirca da inizio anni ’90, si occupa di tre macro-aree, tutte ovviamente con forti ripercussioni sulla vita dei cittadini: il mercato unico con rispettiva moneta unica adottata da un gruppo ristretto di stati, la politica estera e di sicurezza comune, la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. È molto importante tenere a mente che ciò che conta non è solo di che cosa l’Ue debba occuparsi, ma soprattutto di come intenda farlo, vale a dire le modalità con cui vengono prese le decisioni che hanno poi un’influenza diretta sulla nostra quotidianità. Questo perché, a seconda di come una decisione viene presa nell’Ue, supponiamo a maggioranza o all’unanimità, ciò cambia di molto gli interessi che tale decisione andrà a tutelare. Nell’Ue parliamo a grandi linee di due grossi gruppi di interesse: quello degli Stati e quello dei cittadini europei, che sempre più spesso tendono a non coincidere. Gli interessi degli Stati sono di natura meramente nazionale, poiché il fine ultimo dei capi di Stato è quello di rafforzare la propria posizione davanti ai propri elettori e magari essere rieletti alle prossime elezioni. Gli interessi dei cittadini europei, specialmente in un continente, l’Europa, sempre più piccolo e più interconnesso, tende fisiologicamente a superare il confine nazionale e ad essere condiviso con i cittadini di altri Stati membri. Per fare un paio di esempi concreti: a tutti i cittadini europei interessa poter trascorrere un weekend a Berlino in sicurezza e lontano dai pericoli del terrorismo, o a tutti i cittadini europei interessa poter avere in tavola del cibo sano o nelle città un’aria pulita. Ognuno di questi due gruppi di interesse è rappresentato a Bruxelles per mezzo di istituzioni, che interagendo tra loro hanno il compito di rafforzare le loro posizioni ai tavoli decisionali. I cittadini europei sono rappresentati dal Parlamento europeo e tutelati dalla Corte di giustizia europea, mentre gli Stati sono rappresentati dal Consiglio dell’Unione europea, che riunisce i ministri degli Stati membri a seconda delle varie competenze, fino al summit più importante che è quello dei capi di Stato, per l’appunto il Consiglio europeo. Per ciò che riguarda la prima macro-area poca fa citata, legata al mercato e alla moneta unica, si è optato per un metodo decisionale che tuteli gli interessi europei e dunque con una forte partecipazione delle istituzioni che rappresentano i cittadini come il Parlamento europeo. Per la seconda e la terza macro-area, quindi politica estera e sicurezza interna, il compromesso è stato quello di tutelare al massimo gli interessi nazionali, con attori protagonisti quelle istituzioni come il Consiglio dell’Ue che difendono gli stati in esso rappresentati. Tutto ciò succedeva vent'anni fa, quando poco o nulla si parlava di Ue, quando l’Europa non era soggetta a pesanti minacce esterne, quando in Europa non erano diretti grossi flussi migratori dal continente africano, quando i rischi di internet e del mercato digitale ancora non erano molto chiari. Tutti temi, questi, che riguardano ogni cittadino europeo, nessuno escluso. Sarebbe dunque naturale aspettarsi che da allora le istituzioni dell’Ue si siano evolute in una direzione in linea con i grandi cambiamenti, pronte di conseguenza a difendere al meglio gli interessi dei cittadini europei a discapito di quelli degli stati, che oggi non sono più evidentemente in grado da soli di salvaguardare le proprie popolazioni. Purtroppo, così non è stato e per molti versi siamo di fronte a una  regressione dell’architettura istituzionale dell’Unione europea. È andato sempre più rafforzandosi difatti un sistema in cui i capi di governo, senza alcun controllo e legittimazione, si incontrano e decidono le sorti dell’Unione e dei cittadini. Il Consiglio europeo, che è diventato con il Trattato di Lisbona una vera e propria istituzione, non si limita ormai, come previsto dai Trattati, a definire in modo generale gli orientamenti politici dell’Unione, ma detta una vera e propria agenda con forti ingerenze nel potere legislativo e nel potere esecutivo dell’Unione stessa. Non va inoltre dimenticato che il Consiglio europeo decide su base consensuale, un metodo che privilegia l’interesse dei paesi più influenti come Francia e Germania e non può che raggiungere qualche compromesso al ribasso. Il risultato è davanti agli occhi di tutti: un’Ue che funziona dal punto di vista economico, ma che male si raccapezza sulle questioni di politica interna ed esterna. Se tale gestione degli affari europei funzionerà o meno, solo il tempo potrà dircelo, poiché mai nella storia si sono viste istituzioni di una tale complessità e “pasticciata” natura. Certo, se i cittadini europei saranno disposti ancora a lungo a essere regolarmente sotto e mal rappresentati in Europa, questo anche nessuno può dirlo, anche se il malcontento diffuso e crescente nei confronti dell’Unione è sempre lì a ricordarcelo.