Roma, Nicolas Schmit al Congresso elettorale del Pse (LaPresse) 

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Il Pse a rischio estinzione politica, nonostante la forza numerica

David Carretta

A Roma il Congresso dei socialisti europei sceglie come candidato di punta alle elezioni di giugno Nicolas Schmit, un commissario lussemburghese poco conosciuto. Quanta influenza avranno ancora dopo il voto?

Quanto conta ancora il Partito socialista europeo nell'Unione europea? I leader del Pse si sono riuniti sabato nel loro Congresso elettorale a Roma per scegliere un commissario lussemburghese poco conosciuto, Nicolas Schmit, come loro candidato di punta alle elezioni europee e adottare un manifesto elettorale lungo ma poco in grado di ispirare i cittadini. Al di là dello spettacolo al Congresso, che si è chiuso con il tradizionale canto “Bella Ciao”, nei corridoi del potere europeo circola una domanda insistente: quanta influenza avrà ancora il Pse dopo il voto del 6-9 giugno? Inaudibile in questi anni, senza coesione, con leader che guardano più ai loro interessi personali nazionali che a quelli collettivi europei, il Pse rischia l'estinzione politica nonostante una forza numerica consistente al Parlamento europeo.
    
La sera del 9 giugno il Pse (il cui gruppo porta il nome di Socialisti&Democratici) dovrebbe limitare i danni. Le proiezioni sulla base dei sondaggi danno ai socialisti 140 deputati, lo stesso livello di oggi. Anche la distanza con il gruppo del Ppe dovrebbe rimanere invariata: una quarantina di deputati in più per i popolari. I socialisti hanno già vissuto la loro grande crisi. A cavallo del nuovo millennio sognavano una “Europa rosa” con Tony Blair e Gerhard Schroeder, Massimo D'Alema e Lionel Jospin. All'epoca si trovavano in posizione di forza al Consiglio europeo e al Parlamento europeo. Le paure sociali della globalizzazione, gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, la guerra in Iraq, l'allargamento, il fallimento del trattato costituzionale europeista, la crisi finanziaria e del debito sovrano e la crisi migratoria hanno portato a una costante erosione del voto socialista. Ma nel 2019 l'emorragia sembra essersi arrestata. Salvo sorprese, nel 2024 il Pse dovrebbe confermarsi la seconda famiglia politica europea. In qualità di secondo azionista della maggioranza, i socialisti dovrebbero pesare sulla prossima legislatura.
 
Il problema è che “siamo inaudibili”, ci ha detto una fonte interna alla famiglia socialista, critica della leadership attuale. La scelta del lussemburghese Schmit come Spitzenkdandidat (capofila per diventare presidente della Commissione) è stata fatta per mancanza di alternative. La sua eredità come commissario agli Affari sociali è misera. “Non c'era nessun altro candidato”, spiega un'altra fonte interna. L'italiano Paolo Gentiloni ha sobriamente declinato. Gli attuali capi di stato e di governo socialisti, anche se con ambizioni su cariche europee, hanno evitato di partecipare alla finzione del processo degli Spitzenkdandidat. Sanno di avere più chance dietro le quinte che apparendo sotto la luce dei riflettori di una finta campagna elettorale continentale. Il portoghese Antonio Costa aspira alla presidenza del Consiglio europeo. La danese Mette Frederiksen è un'altra possibilità. Il Pse ha anche una riserva di ex premier, come gli italiani Enrico Letta e Paolo Gentiloni o la finlandese Sanna Marin.
 
Ciò che manca al Pse non sono i nomi, ma la capacità di essere un partito con chiari obiettivi e una strategia definita. Il Ppe può dividersi su tutto nelle riunioni a porte chiuse, ma quando decide cosa fare e chi sostenere si muove come un sol uomo. Nel 2019 la priorità dei popolari era mantenere la presidenza della Commissione. Cinque anni fa Pedro Sánchez preferì negoziare per sé la nomina dello spagnolo Josep Borrell ad Alto rappresentante per la politica estera che ottenere per il socialista Frans Timmermans il posto di presidente della Commissione. Pur di avere Borrell, Sánchez negoziò anche la presidenza del Parlamento europeo per il socialista bulgaro, Sergei Stanishev. Si trattava di garantire un posto anche per i paesi dell'Europa centrale e orientale. Ma il gruppo dei Socialisti&Democratici si ribellò, indicando l'italiano David Sassoli.
 
L'incapacità del Pse di essere un vero partito ha avuto conseguenze per tutta la legislatura. Nel 2019 come capogruppo al Parlamento europeo è stata scelta Iratxe García Pérez solo perché la delegazione del Psoe spagnolo era diventata la più grande. La sua leadership debole è stata contestata da altre delegazioni, in particolare quelle dei paesi nordici. “Se Sánchez dirà di sostenere Ursula von der Leyen, García Pérez seguirà senza fiatare”, dice un deputato che chiede l'anonimato: "Iratxe si occupa più della sua circoscrizione in Spagna che dell'Ue”. Nei rapporti di forza interni alla coalizione che ha sostenuto Ursula von der Leyen, il Pse non ha saputo imporre i suoi temi tradizionali. Il Green deal, affidato a Frans Timmermans, è una bandiera più verde che rosa. Su altri grandi dossier della legislatura – come la transizione digitale – i popolari, i liberali e i verdi si sono sentiti molto di più del Pse.
 
Eppure il Parlamento europeo nella prossima legislatura sarà l'unica istituzione nella quale il Pse può pesare e far pesare i suoi numeri per il governo dell'Ue. Dentro il Consiglio europeo, ci sono solo cinque membri del Pse, più uno sospeso per populismo e filo putinismo: il tedesco Olaf Scholz, lo spagnolo Pedro Sánchez, la danese Mette Frederiksen, il portoghese Antonio Costa, il maltese Robert Abela e lo slovacco Robert Fico (è lui quello sospeso). Costa potrebbe lasciare il posto a un premier popolare a Lisbona, dopo le elezioni del 10 marzo. Nel Consiglio europeo rimarranno quattro capi di stato e di governo del Pse. Che Ursula von der Leyen venga confermata o meno presidente della Commissione, non sarà la Spd a esprimere il commissario tedesco nella prossima legislatura. Risultato: dentro la prossima Commissione ci saranno “al massimo quattro o cinque commissari socialisti”, prevede un funzionario.
  
Resta il Parlamento europeo. Con 140 deputati il gruppo dei Socialisti&Democratici ha tutto per pesare sulla prossima legislatura. In effetti, ha in mano le sorti di von der Leyen. Senza il suo voto la tedesca non sarà confermata presidente della Commissione
. “Ma occorre avere il coraggio dei rapporti di forza e anche di non votare von der Leyen”, dice una delle nostre fonti, che ritiene lo scenario di un sussulto socialista poco probabile. Il rischio concreto è che il Pse accetti passivamente il programma del Ppe (come la retromarcia sul Green deal) e la collaborazione di von der Leyen con partiti sovranisti (come Fratelli d'Italia). Come spiega sul Foglio Pietro Guastamacchia, a Roma Schmit ha escluso questo scenario. Ma un conto sono le parole in campagna elettorale, un altro i fatti dopo le elezioni.