Zlatan Ibrahimovic (foto laPresse)

Con l'addio di Ibra si chiude un'epoca, chissà se se ne vedrà mai un'altra simile

Leo Lombardi
Ciao al centravanti, che ora potrà essere tutto del suo prossimo club, magari quel Manchester United con cui vincere un titolo dove ancora non ci ha provato, dopo esserci riuscito in Olanda, Italia, Spagna e Francia e mai, per assurdo, in patria.

Certo, non ci si poteva aspettare moltissimo dalla Svezia. Ma in un torneo che ha portato agli ottavi la debuttante Islanda, la catenacciara Irlanda del Nord e la non irresistibile Ungheria, la figura è stata francamente desolante. Un punto e un gol in tre partite, un gioco farraginoso e un congedo che avrebbe meritato ben altra prestazione collettiva per Zlatan Ibrahimovic. Il centravanti lo aveva detto un paio di giorni fa, dopo l'Europeo avrebbe lasciato la Nazionale. Tra il dire e il fare c'è stata di mezzo la sconfitta con il Belgio, che ha relegato la Svezia all'ultimo posto.

 

Ciao a Ibrahimovic, che ora potrà essere tutto del suo prossimo club, magari quel Manchester United con cui vincere un titolo dove ancora non ci ha provato, dopo esserci riuscito in Olanda, Italia, Spagna e Francia e mai, per assurdo, in patria. Però c'è tempo, per uno che sì compirà 35 anni a ottobre ma convinto di durare ancora a lungo. Saluta una Nazionale che, da solo, ha tenuto a galla sopra il filo della mediocrità e in cui ha segnato più di un gol ogni due partite (62 in 116 presenze). Ibra è stato così unico da vincere, dal 2007 a oggi, il Pallone d'oro svedese senza alcun avversario. Si chiude un'epoca, come quella degli Abba, come quella di Stenmark, come quella di Borg. E chissà se se ne vedrà mai un'altra simile.

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