EuPorn-Il lato sexy dell'Europa

Come guardare negli occhi questa Germania bifronte

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Scholz gestisce la crisi ucraina con molta ambiguità, scontentando gli alleati. La leadership sotto stress e il gioco delle parti in Europa 

Nel 2014, quando Vladimir Putin fece l’annessione unilaterale della Crimea, la penisola ucraina affacciata sul Mar Nero, l’allora cancelliera tedesca Angela Merkel organizzò e schierò i ventotto paesi dell’Unione europea, compresi i sostenitori più espliciti della Russia come l’Ungheria e Cipro, compatti nel richiedere le sanzioni. Introdusse il cosiddetto “formato Normandia”, un tavolo di negoziati che coinvolge la Germania, la Francia, Mosca e Kiev, per guidare le trattative e si coordinò con gli Stati Uniti per impedire a Putin di infilarsi nelle divisioni occidentali e approfittarsene. L’approccio cauto e pragmatico di Berlino nei confronti della Russia non è cambiato oggi che Putin si è rifatto belligerante, ma l’attuale cancelliere, Olaf Scholz, non riesce né a guidare né a fare parte di una coalizione occidentale votata se non altro all’unità e così, come dice il corrispondente a Berlino dell’Economist, Tom Nuttall, “il leader del più grande e del più ricco paese dell’Ue sembra uno come gli altri”, s’è perso cioè l’eccezionalismo tedesco. Su questo eccezionalismo poi  pesano tanti retaggi: da molti anni si parla della necessità di una maggiore leadership tedesca anche a livello militare, ma la Germania continua a essere riluttante.

 

Direte: pazienza, sono fatti della Germania e della sua storia. Ma non è così, perché come sussurrano diplomatici dell’Alleanza atlantica “Germany really matters”, l’azione tedesca ha effetti su tutti. Anche sullo stesso Putin, naturalmente, il quale mostrava, seppur tra i tanti dispetti (come la volta che mandò il suo cane incontro alla Merkel sapendo che lei ne aveva paura), un certo rispetto per l’ex cancelliera, con la quale parlava e discuteva al telefono spesso durante le crisi. Da quando Scholz è diventato cancelliere, sette settimane fa, ha parlato con Putin soltanto una volta, nonostante l’escalation della crisi alle porte dell’Ucraina, e il presidente russo ha preso a discutere di più con gli americani, provando a scardinare anche così le possibilità di reazione dell’Ue. Ecco perché l’ambiguità della Germania, intrappolata in un problema di leadership, con le divisioni dentro alla coalizione di governo in piena vista, i tormenti (eterni) su Nord Stream 2, è diventata un grande problema: alcuni dicono che il primo test di Scholz è arrivato troppo presto, ma si sa che non ce li si può scegliere i guai da affrontare, e in ogni caso la bellicosità di Putin non rientra nella casistica dell’imprevedibilità. Siamo andate a vedere che cosa si dice della Germania fuori e dentro il paese per provare a capire come si disperde questa nebbia pericolosa di ambiguità.

  

Le due facce (almeno) di Berlino. La coalizione semaforo alla guida del governo tedesco ha al suo interno tre anime molto diverse. I socialdemocratici di Olaf Scholz, i Verdi e i Liberali. Per ora i Liberali tengono un profilo basso, aspettano forse la lotta sul Patto di stabilità per farsi sentire, e  le divisioni che stanno emergendo sono tra l’Spd del cancelliere e i Verdi. Quanto più ci si avvicina al ritratto di famiglia del governo più si vedono due facce che non si somigliano per nulla, soprattutto nella gestione della crisi ucraina. Sono Scholz e il ministro degli Esteri, Annalena Baerbock, dei Verdi. Quando gli Esteri erano stati affidati ai Grünen si pensava che qualcosa sarebbe cambiato, soprattutto nei rapporti con la Russia e con la Cina. Ma chi comanda è pur sempre il cancelliere. Baerbock è andata fino a Mosca a dire a Sergei Lavrov, il suo omologo russo,  che la sovranità di Kiev non si  mette in discussione, che il Nord Stream 2 non deve essere fatto a tutti i costi: dipende da come si comporta Mosca. Lavrov, dinosauro della diplomazia russa, è stato paziente, l’ha ascoltata, probabilmente sapendo che tanto a Berlino c’è Scholz che decide, non un Verde. Le posizioni dei due, Scholz e Baerbock, sembrano inconciliabili, eppure in Germania il patto di coalizione è ben stretto, non si sgarra, e se i Verdi hanno promesso più attenzione per il rispetto dei diritti umani da parte di potenze come la Russia, nella pratica non c’è molto che possano fare. Anna-Lena Kirch, ricercatrice del  German Council on Foreign Relations, ci ha detto che in realtà la regola che la politica estera la faccia il cancelliere “non è scolpita nella pietra. Merkel era molto attiva e visibile, ma oggi il ministro degli Esteri può rafforzare il suo ruolo rispetto ai governi precedenti”. Baerbock mostra il lato verde della Germania, Scholz quello rosso. Eppure riguardo alla contrarietà se inviare o no armi a Kiev c’è un punto in cui i due si incontrano e che i Verdi nobilitano indicando ragioni storiche. “Quando Robert Habeck –  oggi a capo di un grandissimo ministero che comprende Economia e Clima  – ha sollevato l’idea di ‘invio di armi difensive’ in Ucraina durante la campagna elettorale, è stato  criticato dal suo stesso partito”, ci ha detto Kirch. Rimane ancora tanto da chiarire tra queste due facce della Germania. Un punto è la gestione dei rapporti con la Russia. Per Kirch  sul Nord Stream 2 non c’è una solida e unanime posizione tedesca su come usarlo  per proteggere la sicurezza ucraina ed europea. E’ come se mancasse un centro, rimangono  ambiguità tra i partiti e le conseguenze del trovarci di fronte ad almeno due facce della Germania le vediamo tutti.   

 

Il più ricco e grande paese dell’Ue si comporta come se fosse uguale a tutti. E la lista delle eccezioni alle sanzioni si fa sempre più lunga

 

Gli altri. Nelle ultime settimane si è molto parlato della capacità di leadership di Scholz. John Lough, che ha scritto un libro sul “problema russo della Germania”, dice che “Berlino non sta impedendo che si arrivi a un consenso politico dentro la Nato, ma non porta tanta acqua quanto gli altri si aspettano”, cioè non contribuisce in modo attivo alla costruzione di questo consenso. Bloomberg ha visionato un documento che riporta la richiesta da parte della Germania di escludere il settore energetico dalle eventuali sanzioni che potrebbero vietare alla Russia di fare transazioni in dollari. Non è soltanto la Germania che chiede questa esenzione: sono molti i paesi europei che temono per la fornitura di risorse energetiche, e sembra che l’America stia dando ascolto a questo appello anche se continua a insistere sul fatto che l’impatto delle sanzioni sarebbe pesante anche per la Russia e che quindi gli europei dovrebbero tenere conto, nel calcolo, anche di questo. Ma a Berlino molti fanno l’esempio dell’Iran: le misure sanzionatorie volute dall’America hanno portato a un congelamento delle attività commerciali dell’Europa, cioè noi paghiamo di più rispetto agli americani. Per questo il precedente iraniano viene citato spesso: non possiamo permetterci con la Russia di fare come con l’Iran. Ma anche il precedente della Crimea è spesso citato: la convinzione prevalente, e su questo la Germania è molto presente, è che l’Ue paghi sempre di più dell’America per le sanzioni, soprattutto perché quest’ultima è un’esportatrice netta di energia, mentre l’Ue dipende per le sue risorse dalla Russia. Nelle bozze delle sanzioni pare che la lista dei cosiddetti “carve out”, le eccezioni alle misure sanzionatorie, s’allunghi ogni giorno un po’.

 

Ma perché insiste tanto? Il settimanale tedesco Spiegel notava in un articolo che la politica tedesca più che concentrarsi su cosa farà nei confronti della Russia si sta concentrando su cosa non farà: nel mettere i paletti alle sanzioni appunto. Questo atteggiamento appartiene tanto al governo quanto all’opposizione. Ma Scholz dentro al suo partito ha un grande problema russo, che è antico e anche molto ben radicato. L’Spd è un partito vicino a Mosca e il cancelliere non appartiene certo all’ala più filorussa, ma deve tenere conto di quello che vogliono i suoi colleghi che ancora parlano di Ostpolitik. La parola si riferisce alla politica del cancelliere Willy Brandt che negli anni Settanta parlava di “cambiamento attraverso il riavvicinamento”. Un modo per allentare, all’epoca, le tensioni tra i due enormi blocchi di potere. Ma Brandt la intendeva in modo diverso rispetto a come oggi ne parlano alcuni politici dell’Spd: non voleva dire comprendiamo la Russia a ogni costo, anche se vuole invadere uno stato sovrano. Oggi l’Ostpolitik tra i socialdemocratici viene utilizzata come un balsamo. Il segretario generale dell’Spd, Kevin Kühnert, è arrivato a dire che non bisogna alimentare potenziali crisi internazionali con una retorica esagerata. Inoltre c’è Gerhard Schröder, che il concetto di Ostpolitik l’ha rivisitato. L’ex cancelliere, l’ultimo prima della Merkel, è ancora considerato uno statista. Dopo aver concluso la sua attività politica però è andato a lavorare per Gazprom, la società russa che gestisce il Nord Stream ed è anche diventato presidente del consiglio di amministrazione di Rosneft, la compagnia petrolifera russa e nell’Spd si fatica a capire, o non si vuole, che l’ex cancelliere tanto stimato oggi ha cambiato mestiere: è un lobbista pagato da Mosca. 

 

Un ospedale da campo e cinquemila elmetti sono il messaggio tedesco agli ucraini: siamo con voi

 

Ma che fate? Dopo l’incontro tra Scholz ed Emmanuel Macron a Berlino, si è riunito il gruppo del formato Normandia a Parigi. A parte le parole di unità e di determinazione che tedeschi e francesi pronunciano assieme, pare che i dissapori dentro al motore franco-tedesco siano palpabili. Macron si è prima intestato la leadership del dialogante con la Russia, l’unico in grado di instaurare un rapporto  costruttivo con Putin (si sentiranno al telefono nelle prossime ore, venerdì), poi nelle ultime ore deve avere cambiato idea, forse perché gli approcci non sono andati bene, ma di certo la retorica s’è fatta meno conciliante: Macron ha comunque fatto riferimento al dialogo definendolo però ora “esigente” ma ha anche accusato Mosca di “una moltiplicazione di atti destabilizzanti” ormai inaccettabile. “Se dovesse esserci un’aggressione, la risposta ci sarà e il costo sarà molto elevato”, ha detto il presidente francese. Di fianco a lui c’era Scholz, che sui costi elevati è sempre stato molto minaccioso, ma che ha anche spiegato che bisognerebbe far lavorare di più l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che aveva avuto già un ruolo importante nella “politica della distensione” durante la Guerra fredda. Dietro le quinte, i tedeschi sarebbero anche molto indispettiti nei confronti dei francesi proprio sul tema delle sanzioni. Il loro pensiero in sintesi: noi ci prendiamo i rimproveri, gli articoli mesti sulla nostra assenza di leadership, le analisi feroci contro il nostro cinismo, ma le sanzioni pesano moltissimo anche a voi, cari francesi, pure se fate finta di no. Berlino vorrebbe condividere il peso “dell’essere un problema per l’Ue” con Parigi, ma non è ricambiata.

 

Quando si perde la fiducia. Gli alleati sono preoccupati, anche l’Ucraina lo è. Il ministro degli Esteri di Kiev ha detto che l’ambiguità di Berlino di fatto “incoraggia” l’aggressione russa. Il ministro degli Esteri lituano ha detto sprezzante che la “deterrenza tedesca”, di questi tempi, “si mostra non mandando armi a Kiev, ma un ospedale da campo” (ieri la Germania ha approvato l’invio anche di cinquemila elmetti e il mese prossimo manderà dei jet in Romania). L’ambasciatore ucraino in Germania ha detto che “questo atteggiamento tedesco ricorda in modo inconscio agli ucraini gli orrori dei nazisti, quando  gli ucraini erano trattati come subumani”. Le frasi del viceammiraglio Kay-Achim Schönbach che pensava di non essere sentito  sul rispetto che si deve a Putin e sul fatto che la Crimea non sarà mai restituita hanno preoccupato ancora di più gli alleati: il viceammiraglio si è dimesso, ma la sfiducia non passa.  

 

La fiducia dopo tutto è anche questione di storia e con la storia bisogna sempre imparare a dialogare, a capirla, a non usarla come una trappola. Soprattutto in quelle zone sofferte e contese. Oggi fa sorridere che ad annettere la Crimea alla Russia fu Caterina II, l’imperatrice russa detta la Grande, che era tedesca. Come tedesca era anche gran parte della classe dirigente dell’epoca in Russia. Caterina era una donna molto determinata, strappò la penisola all’Impero ottomano e per farlo incaricò il più fidato dei suoi consiglieri, forse anche suo amante, comunque molto intimo: Grigorij Potëmkin. A lui scriveva fitte lettere, la frase più tenera ritrovata è “come te nessuno”. Parole che oggi risuonano in tutte le declinazioni possibili, nella nebbia dell’ambiguità tedesca.

(ha collaborato Daniel Mosseri)