Bagnanti, Fernando Botero

Portami al mare

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Forse salviamo l’estate 2020 ma la restaurazione dell’Europa delle frontiere aperte è fatta di azioni unilaterali, di accordi bilaterali e di bolle selettive. La rabbia degli esclusi

“Non c’è un indietro a cui tornare”, dice Michelle Obama nel documentario “Becoming”: non c’è una vita dove tornare dopo aver fatto la first lady per otto anni, non chiudi la parentesi della Casa Bianca e riprendi il discorso dove lo avevi lasciato, c’è una nuova vita da cominciare, da inventare. Le parole di Michelle sembrano la didascalia di questi nostri giorni in cui ricominciamo ad affacciarci alla finestra – di casa, del quartiere, della città, della regione, addirittura della propria nazione – e c’è chi vorrebbe indietro la normalità perduta e chi cerca di costruirne una nuova, chissà come sarà. Gli occhi si alzano dalla quotidianità nazionale, si parla di vacanze, di viaggi, di confini che si aprono ma solo con i paesi vicini, e nemmeno tutti, piccole bolle d’esplorazione che rischiano di creare un precedente in Europa dalle conseguenze enormi. Ci si affaccia, pieni di sospetti e di speranze, perché come dicono gli esperti: non è quanto rischio vuoi assumerti, il problema, è quanto ne vuoi ignorare. Eccoci allora, inizia la prova costume di questa straordinaria estate 2020, e a prevalere sono accordi bilaterali, mosse unilaterali, libertà di movimento per prossimità. Finiremo per riaprire in fretta perché lo fanno gli altri, non perché possiamo permettercelo.

 

Le tre fasi del turismo europeo

Ieri la vicepresidente della Commissione europea, Margrethe Vestager, ha detto ai giornalisti: “Le linee guida sul turismo sono la nostra chance per una stagione migliore”, per chi viaggia e per chi accoglie i viaggiatori. Il turismo vale il 10 per cento del pil europeo e il 12 per cento dei posti di lavoro a livello comunitario: sappiamo già che è uno dei settori più colpiti (potremmo dire azzerati). Bruxelles chiede un coordinamento ai 27 paesi per la ripartenza – vuole dimenticare il procedere sparsi degli inizi della pandemia – e propone tre fasi. La prima è questa corrente: i viaggi non essenziali tra paesi diversi sono vietati. La prossima fase, che per alcuni è già stata annunciata, prevede che le restrizioni cadano tra paesi che sono allo stesso livello dal punto di vista pandemico – numeri simili insomma – e dove la situazione sanitaria sta migliorando. Decenni a dibattere sull’Europa a più velocità, ed eccola qui, in poche settimane. La fase finale è quella della frontiere aperte, cioè dell’Europa come la abbiamo sempre conosciuta (sulla frontiera esterna invece si dovrà discutere). “Non sarà un’estate normale”, ha detto la Vestager, mentre con equilibrismo estremo la Commissione ripeteva: considerate la variabile sanitaria, ma anche quella economica. Come se ci fosse una sintesi possibile e non un procedere per tentativi, e strappi. Le regole per i trasporti prevedono: mascherine su aerei, treni, autobus, nelle stazioni e negli aeroporti; social distance per i passeggeri, nessun servizio di ristorazione a bordo; hotel e ristoranti potranno accettare meno clienti in modo da garantire il distanziamento; per sapere come va, le app di contact tracing dovranno essere operative anche oltreconfine. La prossimità è diventato uno degli elementi di questa riapertura per bolle: se si è vicini e avanti nella lotta al virus, la porta è aperta.

 

La bolla tedesca

Il ministro dell’Interno tedesco, Horst Seehofer, ha detto che alcuni punti di passaggio ai confini saranno aperti a partire da sabato con Austria, Svizzera, Danimarca, Lussemburgo e Francia (come si sa in Francia ci sono le zone verdi dove si riapre più velocemente e quelle rosse dove invece le restrizioni rimangono). Con Danimarca e Lussemburgo si sta negoziando una riapertura quasi completa: sono paesi in cui la battaglia contro il virus sta andando bene (e il Gran Ducato ha fatto moltissime pressioni). Con gli altri paesi resteranno controlli ma non su tutti i veicoli: se la situazione continua a migliorare, il 15 giugno si toglieranno anche i controlli casuali. Questo vale per i cittadini europei in transito, ma non si sa bene quali visto che nella stessa Germania ci sono ancora restrizioni tra regione e regione: è comunque ancora in vigore il divieto a viaggiare fuori dai confini europei.

  

Una donna corre tra i campi di colza a Fahrland, vicino a Berlino (Foto AP / Michael Sohn)

     

La bolla austriaca

Già oggi, due punti di passaggio tra l’Austria e l’Ungheria saranno aperti (con controlli) per tutti i pendolari dalle due parti del confine. Venerdì alcuni punti tra Austria e Germania saranno aperti, ma non tutti, e lo stesso potrebbe accadere – si sta negoziando – con la Svizzera: il turismo nei resort alpini dipende moltissimo soprattutto dai viaggiatori tedeschi. La data per la riapertura di tutti i confini è prevista per il 15 giugno, sempre che la situazione pandemica migliori: per l’Italia, per esempio, c’è un gran punto interrogativo.

  

La bolla franco-inglese

Parigi e Londra hanno fatto un accordo per fare passare in particolare i veicoli che trasportano merci nell’Eurotunnel rimuovendo la quarantena di 14 giorni prevista finora. Considerando la situazione del contagio in Francia e nel Regno Unito questa è sembrata la riapertura più rischiosa di tutte. Anche la Francia coccola l’idea di riaprire tutte le frontiere per il 15 giugno.

 

La bolla greca e quella croata

Grecia e Croazia sono stati fin dall’inizio i più reattivi nell’affrontare la questione turismo, forti di numeri epidemici contenuti (a differenza di Italia e Spagna). Il ministro della Salute croato, Gari Cappelli, ha detto che il confine con la Slovenia è aperto, e i turisti sloveni potranno tornare a casa senza dover stare in quarantena. Cappelli sta negoziando anche con altri paesi europei questo stesso accordo – corridoi aerei con la Repubblica ceca, in particolare – ma si è premurato di rassicurare soprattutto i turisti tedeschi: vi aspettiamo, al più tardi il 15 giugno. Anche la Grecia si sta muovendo nello stesso modo: mentre ad Atene continuano i tafferugli, il governo si sta muovendo per aprire almeno sei passaggi sul confine nord. Soprattutto il premier, Kyriakos Mitsotakis, ha fatto una battaglia in Europa per cercare una via comune al turismo: ha scritto in tre pagine (il testo del Mes è di due: l’Europa pandemica riscopre la sintesi) alcune regole. Il trattamento equo di tutti i turisti in modo da evitare discriminazioni su base nazionale (noi italiani ringraziamo), test nei tre giorni precedenti al viaggio, eguaglianza di trattamento per i mezzi di trasporto (in modo che chi arriva con l’aereo non sia sottoposto a trattamenti diversi rispetto ai viaggiatori in treno).

  

 

La bolla baltica

Da domani i cittadini di Lettonia, Lituania ed Estonia potranno muoversi liberamente attraverso i loro confini (per gli altri restano i 14 giorni di quarantena). I tassi di contagio sono molto simili, dicono i governi baltici, e ora ci sono altri paesi che sperano di poter accedere a questa alleanza: in particolare la Polonia, ma anche la Finlandia.

 

E se si mette a rischio l’Europa?

Yannis Koutsomitis è un analista greco esperto di affari europei e nella guida di Politico alla comprensione della bolla bruxellese è menzionato tra i primi dieci giornalisti, quelli da seguire se si vuol capire che succede nelle istituzioni europee. Ci ha accompagnate attraverso le linee guida per l’estate 2020 che secondo Koutsomitis “non possono ancora essere definite una luce verde, ma sono un segnale per i paesi che vogliono riaprire e potranno farlo da metà giugno. Aspettiamoci flussi limitati, ma le linee guida sono un passo essenziale per l’economia di paesi che hanno grosse entrate dal turismo, ma anche per mostrare al mondo che il settore è vivo e sarà regolato da norme che ne garantiranno la sicurezza”. La Grecia è tra i paesi che più ha tentato di portare l’attenzione della Commissione sul turismo che costituisce il 30 per cento del suo pil, la stagione lo scorso anno era andata molto bene, le previsioni per il 2020 erano ancora più rosa, ma il ministro greco per il turismo Theocharis ha già detto che quest’anno il calo dei viaggiatori stranieri sarà, se tutto andrà bene, del 50 per cento. La Grecia si è battuta per limitare i danni, “il turismo – dice Koutsomitis – non è importante soltanto per il reddito interno. C’è tutta una catena fragilissima che gli ruota attorno, come l’agricoltura. Ci sono agricoltori che producono solo per gli alberghi e le case vacanze, se non vengono i turisti, chi coltiva i pomodori a chi li venderà?”. Spostarsi è un rischio, ma anche accogliere lo è. “E’ la stagione della fiducia, nessuno potrà escludere completamente tutte le possibilità di contagio. E’ un rischio per l’Ue, per i paesi, per chi parte, che dovrà fidarsi del fatto che nella sua destinazione saranno rispettate le norme di sicurezza, e per chi ospita. In Grecia ci sono posti ormai Covid free, l’isola di Rodi non ha casi da più di un mese, ma nessuno può essere certo che un turista infetto non faccia tornare l’epidemia, è un rischio che l’isola è pronta ad assumersi”. I paesi hanno voglia di riaprire, c’è chi ha voglia di muoversi, chi invece studia viaggi alternativi che implichino poco spostamento. Si stanno creando, dicevamo, molte bolle, e ognuno sembra essere disposto a ripartire in modo selettivo. “La Commissione ha detto con chiarezza che o si apre per tutti o per nessuno. Queste bolle che escludono alcune nazionalità sono contrarie ai princìpi europei. Ylva Johansson, commissario europeo per gli Affari interni, ha detto che un paese può decidere di tenere aperti alcuni confini, questo è ammesso. Per esempio la Slovenia può scegliere di chiudere il confine con l’Italia e lasciare aperto quello con la Croazia, ma un italiano che viene dalla Croazia e diretto in Slovenia può entrare. E’ comunque un rischio per l’unità europea”, dice Yannis Koutsomitis. In questi giorni ci siamo interrogati spesso su quanto siamo cambiati come europei, quanto durante l’emergenza sanitaria l’Ue sia cresciuta e con lei gli stati membri, anche la decisione di comunicare delle linee guida che regoleranno la nostra estate è un segno di questi cambiamenti: “Credo che la Commissione si sia spinta ai limiti del suo mandato, le linee guida sono un buon inizio, molto ora spetta al senso di responsabilità dei singoli stati. In generale credo che questa crisi ci abbia reso tutti più saggi, ricordo le liti di un mese fa al Consiglio, le divisioni nord-sud, abbiamo capito l’importanza dei passi indietro e delle decisioni comuni”. Capiremo, si spera, anche come viaggiare, come andare al mare, essere responsabili, fidarci e rischiare. Quindi il coronavirus non si è portato via l’estate? “No no, credo che un numero significativo di persone viaggerà, qualcuno vorrà anche fuggire dall’ambiente in cui è stato costretto troppo a lungo, qualcuno magari considererà più opportuno lasciare la città, dove i rischi sono maggiori, per un’isola o per la montagna. Anche quest’anno ci sarà l’estate, credo”.

   

I mille voli di Ryanair

Dal primo di luglio la compagnia aerea più grande d’Europa in termini di passeggeri vuole rimettere in funzione il 40 per cento delle sue operazioni, mille aerei: a oggi ce ne sono attive 30. “It’s time to get Europe flying again”, ha detto il ceo di Ryanair Michael O’Leary, riuniamo famiglie e congiunti e domanda-offerta sul mercato del lavoro. Solitamente Ryanair copre 200 destinazioni e ricopre un “ruolo vitale” per il turismo in Francia, Spagna, Italia, Grecia e Portogallo. A causa della pandemia ha tagliato tremila posti di lavoro (il 15 per cento del totale) e sta lavorando perché le quarantene obbligatorie siano le prime a essere allentate nel momento in cui la situazione pandemica migliorerà, anche per i viaggiatori non europei. Per ora O’Leary però si batte per la sopravvivenza: in un’intervista durissima rilasciata a Politico ha detto che vuole denunciare tutte le compagnie aeree che prenderanno aiuti statali.

  

Tracciare l’Austria

Vienna ha una gran voglia di vacanze e di turismo, infatti il cancelliere Sebastian Kurz si è mosso già da un mese per cercare, se non un’intesa europea, un’intesa extraeuropea tra virtuosi che potesse assicurare a tutti i paesi meno contagiati di rivitalizzare il commercio e anche il turismo. “Andremo alle Dahamas”, scherzano gli austriaci, daheim vuol dire “a casa”. Se preferiscono le loro località sulle Alpi e le rive dei loro laghi rispetto ai lidi caldi del sud è perché si fidano molto di come l’emergenza è stata gestita dal governo, che ha messo a punto varie strategie e che per evitare una seconda ondata adesso confida nel proprio esercito di contact tracer, che in Austria si chiamano squadre anti Covid. Sono costituite soprattutto da volontari che lavorano a stretto contatto con la Croce rossa per tracciare le persone infette. Il sistema di tracciamento è semplice: chi ha scoperto di essere positivo li chiama, racconta con chi è venuto a contatto nelle ultime 48 ore. Elenca spostamenti e persone. I contatti vengono divisi in livello uno e livello due. I primi sono quelli che sono stati a meno di due metri di distanza dal contagiato per più di quindici minuti – queste persone vengono raggiunte e testate immediatamente – i secondi sono i contatti leggeri, vengono allertati e invitati a comunicare il loro stato di salute. Il tracciamento è veloce e il monitoraggio è capillare. Anche l’Austria ha sviluppato una sua applicazione, ma è stata scaricata da poco più di 500 mila utenti su una popolazione di quasi 9 milioni di persone, per il momento è poco utile e poco affidabile anche per immaginare l’estate.

    


Stagionali rumeni aspettano in fila il volo per Londra da Bucarest (Foto AP / Vadim Ghirda)

  

Il treno dei lavoratori

C’è grande movimento in Romania, c’è chi torna e c’è chi parte. Torna chi ha lasciato il paese per trasferirsi a ovest: dal 2007 4 milioni di romeni sono andati a lavorare in Italia, Gran Bretagna, Germania, Austria e Francia. In tanti durante la pandemia hanno guardato i numeri, il contagio che si espandeva velocemente a ovest e che sembrava più contenuto a est, dove quasi tutte le nazioni, hanno permesso ai loro cittadini di rientrare. Questo ritorno si è rivelato un’opportunità, i paesi dell’est hanno bisogno di lavoratori, di manodopera, stanno invecchiando e il trasferimento di una buona parte della sua popolazione più giovane all’estero peserà sempre di più sul mondo del lavoro. Alcuni governi studiano il modo di invogliare questi cittadini a rimanere. Ma c’è anche chi parte. Dalla Romania, che è il paese che ha fatto più multe in Ue contro chi non rispettava la quarantena, partono i braccianti, i lavoratori stagionali che vanno nei campi a raccogliere frutta e verdura: soltanto la Germania ha bisogno di 300 mila lavoratori. Con il blocco dei voli e delle frontiere, c’è stato bisogno di accordi bilaterali tra i paesi, quando i braccianti hanno avuto il via libera per partire si sono ammassati nelle stazioni degli autobus, una volta arrivati sono stati sistemati negli alloggi di sempre, con poche protezioni, tanto che il Guardian ha chiesto: “Le forniture alimentari dell’Europa occidentale valgono più della salute dei lavoratori dell’Europa orientale?”. Nei giorni scorsi è arrivato in Austria un treno notturno, in cui hanno viaggiato soltanto badanti, rimaste in Romania prima della chiusura delle frontiere. Di treni ne arriveranno altri nei prossimi giorni, è stata l’Austria a farne richiesta e a organizzare il loro viaggio diretto da Timisoara a Vienna, le lavoratrici, sono quasi tutte donne, vengono controllate alla partenza e di nuovo al ritorno.

   

Tra chi sogna Berlino e chi sogna acque limpide e delfini che saltano, abbiamo qualche certezza per quest’estate messa in salvo: poche code, poche folle, speriamo non troppo plexiglass. Poiché cerchiamo certezze anche sulla nostra solitudine, c’è un’app che ci segnala quali sono i lidi meno affollati. Si chiama beacharound, consente di vedere quanta gente c’è e di prenotare uno stabilimento: il fondatore è di Riccione, sa tutto. E chissà che alla fine non sapremo recuperare anche la magia di quegli incontri accaldati della vita di prima.

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