Zelensky e Trump
L'incontro in Florida per le “questioni sensibili” e quel che solo il popolo ucraino può decidere
Il piano di pace è quasi pronto, ma le questioni decisive restano sospese. Mentre Zelensky chiede un confronto diretto con Trump, la Russia continua a dire no e a bombardare, e il negoziato procede a geometria variabile, segnando una frattura sempre più profonda tra l’Occidente e Mosca
Il piano in 20 punti negoziato tra ucraini, americani ed europei è pronto al 90 per cento, ha detto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, nella chat su WhatsApp con alcuni giornalisti, dicendo di essere pronto a incontrare il presidente americano, Donald Trump, durante il fine settimana – si pensa il 28 dicembre, in Florida. Nel 10 per cento che manca ci sono questioni vitali per l’Ucraina, che hanno a che fare con quel che la Russia di Vladimir Putin vuole rubare, o ha rubato, alla sovranità ucraina: il Donbas e la centrale nucleare di Zaporizhzhia. Per queste “questioni sensibili”, ha detto Zelensky, “è necessario l’incontro tra i leader”, con Trump in persona e con altri leader europei presumibilmente collegati in videoconferenza. Come ha sottolineato il presidente ucraino, l’accordo che si sta negoziando prevede il consenso dei quattro interlocutori – ucraini, americani, europei e russi – ma se il dialogo è serrato tra i partner occidentali, con la Russia ci parla soltanto l’America e finora i segnali che arrivano da Mosca sono soltanto negativi, nonostante la solerzia con cui l’inviato americano Steve Witkoff si lascia coinvolgere – o manipolare – dai negoziatori russi.
“La Russia è costantemente alla ricerca di ragioni per non essere d’accordo”, ha detto Zelensky ai giornalisti: è costretto a ribadire una banalità, perché dal 19 novembre, quando è emerso il primo piano di pace di 28 punti che era una creazione di Witkoff con i suoi interlocutori russi, non si è fatto che dimenticare che i “no” sono sempre e solo arrivati da Putin. E siamo ancora qui, dopo quaranta giorni dall’inizio di questo negoziato che a volte è a due – i russi e gli americani – a volte è a tre – gli ucraini, gli europei e gli americani – e che a quattro non è mai stato, perché la Russia negozia soltanto con l’America, o meglio con i trumpiani.
In questi quaranta giorni, il mondo si è incrinato in vari modi – la frattura transatlantica è la più profonda e dolorosa – e mentre si facevano pressioni su Zelensky, tra scandali di corruzione che non lo riguardavano personalmente ed elezioni da organizzare fra trincee e bombardamenti perché Zelensky non è un presidente legittimo (e invece Putin che sta al potere con la forza e con le menzogne da venticinque anni sì), la Russia ha continuato la sua campagna di morte e distruzione contro l’Ucraina.
Se quaranta giorni fa si parlava di cessate il fuoco – di nuovo: gli ucraini hanno detto di sì, i russi di no, perché non vogliono fermare la guerra sulla linea del fronte attuale, pretendono di avere anche la terra che non hanno conquistato, e anche la terra che, mentendo, dicono di aver conquistato, come Kupiansk – non si è nemmeno sancita una tregua per il Natale. Le bombe russe hanno devastato le città ucraine di notte e di giorno, gli ucraini hanno celebrato il loro Natale nei cimiteri, Zelensky ha detto nel suo discorso che lui e il suo popolo hanno un sogno, “che lui muoia”, ma che aspirano a qualcosa di più grande, “pregano” per qualcosa di più grande, “combattono” per qualcosa di più grande, “si meritano” qualcosa di più grande: la fine della guerra, la pace in libertà. Zelensky celebra la sovranità dell’Ucraina in ogni momento, e anche per quel che riguarda il futuro del paese, il suo futuro come presidente e la questione territoriale, dice: ci sono alcune questioni che soltanto il popolo ucraino può decidere, con un referendum se c’è un cessate il fuoco di almeno 60 giorni. Ed è forse questa l’aspirazione più grande, e già compiuta, dell’Ucraina: contare sul proprio istinto democratico.