Il peso di due divorzi
Londra è incastrata tra la Brexit da aggiustare e l'ira trumpiana contro l'Ue. E c'è sempre l'ombra russa
Tra promesse mancate di libero scambio con Washington, i danni economici della Brexit e i tentativi cauti del governo Starmer di riavvicinarsi all’Ue, il Regno Unito scopre di essere più isolato del previsto, mentre le tensioni con l’America e l’instabilità globale complicano ogni scelta
Dieci anni fa, quando il Regno Unito divorziò dall’Unione europea, puntava tutto sull’America: libero dagli orpelli burocratici del continente, il paese avrebbe potuto stringere accordi di libero scambio con il resto del mondo, a partire dall’alleato speciale. Oggi, quest’accordo non c’è – ci sono stati negoziati sfinenti sia con il primo Donald Trump sia con Joe Biden, senza risultati – e il bilancio della Brexit è noto a tutti, tanto che il governo di Keir Starmer, il laburista al potere da un anno e mezzo e già acciaccato, sta cercando di aggiustare le falle più grosse, un idraulico dotato di guarnizioni inadeguate e sempre sotto tiro dei negazionisti brexitari: Starmer restaura l’Erasmus, rientra nel progetto di ricerca Horizon, pensa a un accordo sull’elettricità e subito si trova a doversi giustificare.
Non voglio tornare nell’Unione europea, ripete Starmer, e procede di nascosto perché anche se il divorzio non si può annullare, il divorzio continua a non funzionare (e questo vale più per il Regno Unito che per l’Ue, è bene ricordarlo). Nel frattempo però si sta consumando un altro divorzio, quello transatlantico tra gli Stati Uniti e l’Europa e sono dieci mesi che l’Amministrazione Trump mette pressione su Starmer: devi scegliere, o noi o l’Europa. La pressione è multiforme: se Elon Musk ha lanciato campagne sul suo orrido X per destituire il premier britannico e sostituirlo nemmeno con Nigel Farage, il nazionalista amato da Trump, ma con la sua versione ancora più estremista, il neofascista Tommy Robinson, il presidente americano si è fatto lusingare da Starmer, che gli ha portato allo Studio ovale un invito da parte di re Carlo e Trump non sa resistere né ai reali britannici né al fatto di essere l’unico a essere stato ospite in visita di stato per ben due volte presso Sua Maestà. A settembre l’incontro è andato benissimo, s’è pure firmato un accordo enorme sull’intelligenza artificiale (nulla a che vedere con l’accordo commerciale che Londra va quasi elemosinando) e il Regno Unito è stato in parte risparmiato dalla mannaia dei dazi americani – saliti “soltanto” al 10 per cento.
Pareva insomma che questo governo tanto pericolante avesse trovato un suo equilibrio tra Europa e America, ma il secondo divorzio, quello transatlantico, ha rimesso tutto in discussione. Le ragioni di questa frattura sono state scritte nel documento di Strategia per la sicurezza nazionale americano: l’Europa è decadente e illiberale e per restaurarla vanno incoraggiati i partiti nazionalisti, anti immigrazione e antiwoke (qualsiasi cosa voglia dire, considerando che gran parte del mondo antiwoke oggi ha la svastica). Così il grande accordo sull’intelligenza artificiale, il “Tech Prosperity Deal”, che comprende anche il calcolo quantistico e l’energia nucleare e che vale 40 miliardi di dollari, è stato messo in pausa: all’inizio sembrava ci fosse stato un rallentamento tecnico nell’implementazione di alcuni investimenti, ma ben presto s’è capito che ci sono ragioni più profonde, che hanno a che fare con alcune tasse che il Regno Unito continua a mantenere nei confronti del mondo tech, con altre regolamentazioni che Washington considera troppo vincolanti ma anche – e per alcuni soprattutto – con le leggi “illiberali” degli inglesi che di fatto non consentono di fare online tutto quel che si vuole. E’ sempre la stessa battaglia culturale sulla libertà d’espressione che fa dire a Musk e al vicepresidente J. D. Vance che la minaccia più grande del mondo è l’Europa. Per questo servono nuovi partiti, nuovi agenti su cui investire, e nel Regno Unito è anche piuttosto semplice il piano, visto che c’è un Nigel Farage in grandissima forma che guida i sondaggi da un po’ di mesi e che da anni ha lavorato con Trump e i trumpiani per garantirsi sostegno (a volte finanziario) e connessioni.
Così si chiude il cerchio dei divorzi e si abbatte sul governo di Londra che non ha ottenuto nulla dalla Brexit e che rischia di dover pagare anche per questa nuova separazione pur non essendo nell’Unione europea. Senza dimenticare che tra la vittoria della Brexit e la vittoria di Trump, nel 2016, c’è sempre stata una connessione: l’ingerenza russa. Oggi, nel mezzo della più grande crisi di sicurezza del nostro continente da decenni, la minaccia della Russia è ai massimi, l’Alleanza atlantica è ai minimi e gli agenti trumpiani che dovrebbero sfaldare l’Europa sono anche finti pacifisti, tendenza Putin.
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