Ansa

Sionisti cattivi

Il terrorista di Bondi Beach parla come i manifestanti occidentali. Ma c'è odio e odio

Giulio Meotti

Attaccare i “sionisti” è diventato un tropo diffuso in parti della sinistra progressista  Ma l’odio, quando tollerato in una forma, finisce per giustificarne tutte

Roma. Quando Anders Breivik falciò la gioventù socialista norvegese sull’isola di Utoya e in Nuova Zelanda un suprematista bianco fece strage in una moschea, i media andarono a spulciare i loro abietti “manifesti” di rivendicazione. Ma sembra che ci sia un discorso dell’odio accettabile. La polizia australiana ha pubblicato un rapporto sul massacro antisemita perpetrato da Naveed e Sajid Akram a Bondi Beach la prima notte di Hanukkah. Il rapporto illustra la pianificazione, l’addestramento e la costruzione di ordigni esplosivi. Prima dell’attacco, i due terroristi avevano girato un video in cui giustificano il massacro di ebrei a Sydney condannando “gli atti dei sionisti”. Suona familiare. “Fermiamo il sionismo” e poi l’immagine di un kalashnikov: non è il video dei due jihadisti di Sydney, ma uno striscione apparso ai primi di ottobre a Firenze durante una marcia democratica e antifascista per Gaza.

Ieri, a Londra, è stata arrestata Greta Thunberg per aver partecipato a una manifestazione di Palestine Action, un gruppo designato come terroristico dal governo laburista del premier Keir Starmer. Alle sue manifestazioni compaiono i ritratti di Ali Khamenei e la scritta “Choose the right side of history”. A giugno, il cittadino egiziano Mohamed Sabry Soliman ha usato un lanciafiamme improvvisato e delle molotov per attaccare una veglia di ostaggi a Boulder, in Colorado. Dodici persone ferite, una delle quali, l’82enne Karen Diamond, è morta. Anche lui ha affermato di averlo fatto per fermare i “sionisti”. Il mese precedente, Elias Rodriguez ha ucciso Sarah Yilgrim e Yaron Lischinsky, due membri dello staff dell’ambasciata israeliana, mentre uscivano da un evento al Jewish Museum di Washington. Rodriguez ha detto agli agenti: “L’ho fatto per la Palestina, l’ho fatto per Gaza”. Ha anche gridato “C’è una sola soluzione, rivoluzione dell’Intifada”. Sionisti, assassini di bambini, Intifada, Free Palestine. Quattro attacchi terroristici, tre continenti diversi, ma gli stessi obiettivi e lo stesso linguaggio. Navid Akram, Sajid Akram e Jihad al Shamie erano estremisti che seguivano lo Stato islamico; Elias Rodriguez apparteneva alla sinistra radicale woke; Mohamed Sabry Soliman era mosso dall’odio senza dichiarare una particolare ideologia. Linguaggio e giustificazioni per l’omicidio simili tra loro e a ciò che sentiamo per strada fin dagli attacchi del 7 ottobre.

Ecco perché la polizia britannica dalla scorsa settimana ha deciso di arrestare le persone che intonano in pubblico slogan pro Pal come “globalizzare l’Intifada”, in quanto “il contesto è cambiato” dopo il massacro di Bondi (lo stesso ora vuole fare il governo di Canberra). Ecco perché sarebbe vitale l’adozione della definizione di antisemitismo dell’Ihra, l’International Holocaust Remembrance Alliance, per cui le forme di demonizzazione di Israele rientrano nel nuovo spettro antisemita post 7 ottobre. Ma è un’asimmetria non casuale: rivela un discorso dell’odio “accettabile”, o quantomeno tollerato, quando proviene da certe fonti. Attaccare i “sionisti” è diventato un tropo diffuso in parti della sinistra progressista. Il terrorista di Bondi parlava dei “sionisti” esattamente come un militante occidentale antisraeliano: non come una entità politica astratta, ma come un nemico collettivo da punire e sradicare. Eppure, i media esitano a collegare i puntini. Frutto di un bias ideologico che vede nell’antisemitismo di sinistra e islamista una forma di odio “contestualizzato”, giustificato dal conflitto mediorientale, mentre quello di destra è puro male razziale. Ma l’odio, quando tollerato in una forma, finisce per giustificarne tutte. E visto che in alcune marce da Londra a Parigi la bandiera nera dell’Isis la sventolano già, alla fine l’unica cosa che separerebbe i terroristi di Bondi dai militanti occidentali sarebbe un arsenale.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.