Il ritratto

Chi è Nicolay Mladenov e chi crede sia l'uomo giusto per Gaza

Micol Flammini

L'ex ministro della Difesa della Bulgaria è stato proposto come mediatore per il Consiglio per la pace di Trump. Piace a molti, crea consenso, ma per ora l'accordo non entra nella seconda fase

Gli emissari di Donald Trump, Steve Witkoff e Jared Kushner, non sono assorbiti interamente dai tentativi di mettere fine alla guerra in Ucraina. Continuano ad avere la testa in medio oriente, dove ancora non si entra nella seconda fase del piano per Gaza. I colloqui vanno avanti, ma il momento del disarmo di Hamas, della restaurazione politica, dell’istituzione di una polizia palestinese e della ricostruzione non arriva mai. Allo stallo ci si abitua con facilità e intanto i terroristi, dopo più di due mesi dal cessate il fuoco, hanno consolidato il potere nella parte di Gaza sotto il loro controllo. Senza la seconda fase,  l’accordo rimarrà a metà.  Senza l’implementazione del piano per la Striscia, anche il resto della nuova architettura per il medio oriente rischia di rimanere immobile. Anche gli Accordi di Abramo e soprattutto la parte più pregiata dell’intesa – la normalizzazione fra Israele e Arabia Saudita – sono congelati, fermi a osservare cosa succede dentro Gaza. Mentre si decide come avanzare verso la seconda fase, attorno si continua a pensare al nuovo medio oriente: affari, alleanze, nomine, come quella del mediatore per il Consiglio per la Pace a Gaza. Sono stati gli Emirati Arabi Uniti a proporre un nome che dovrebbe superare le divisioni sull’ex primo ministro britannico Tony Blair, che per Trump sarebbe dovuto diventare il vero capo del Consiglio. Gli emiratini hanno proposto l’ex ministro della Difesa della Bulgaria, Nickolay Mladenov, più noto in medio oriente che nei circoli diplomatici europei, che è stato coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in medio oriente. Alla fine del suo mandato disse al New York Times che era stato aiutato nello svolgere il suo ruolo dalle sue origini: “Vengo dai Balcani… Abbiamo cambiato i confini, combattuto per luoghi sacri, lingue, chiese… Questo non è un conflitto in cui puoi entrare e tracciare una linea, è una questione emotiva”. Gli americani stanno valutando Mladenov, consapevoli che accettare una nomina proposta dagli Emirati avrebbe un impatto  anche sul futuro di Gaza. Lianne Pollak David, ex membro del Consiglio di sicurezza nazionale di Israele e cofondatrice della Coalizione per la sicurezza regionale, crede che Mladenov possa essere “la figura di cui abbiamo bisogno, quella su cui i principali attori possono essere d’accordo. So che è molto rispettato, ha fatto un ottimo lavoro”. Pollak David ha collaborato con Blair e ritiene che la realizzazione del piano nella Striscia non possa prescindere dalla sua competenza, “è una figura chiave, sono sicura che rimarrà centrale nelle prossime fasi”. Per Pollak David, che  si occupa dell’implementazione degli Accordi di Abramo,  la lentezza delle trattative non è un segnale di stallo. I rapporti con paesi come Libano e Siria procedono bene, “ci sono canali di comunicazione ufficiali”, e le questioni con l’Arabia Saudita sono più legate alle nuove richieste di Riad e al governo israeliano che ai problemi  sulla seconda fase a Gaza. “Il problema principale è assicurarsi che ci sia un piano concreto per disarmare Hamas. Non accade in un giorno. Quello che blocca gli Accordi di Abramo è che i sauditi hanno alzato la posta. Per quanto riguarda il governo, si limita a parlare della Cisgiordania e di Gaza in termini molto populistici, promettendo cose irrealistiche, che neppure gli Stati Uniti permetteranno mai. E’ populismo, ma è quello che i sauditi sentono ora. Non accadrà nulla di importante fino a quando non ci sarà un cambiamento politico in Israele. Tutti vogliono un asse che isoli l’Iran, i Fratelli musulmani, tutti vogliono portare avanti sia gli Accordi di Abramo sia il piano per Gaza: tutta la regione ha un disperato bisogno di progredire”. Servono gli uomini giusti al posto giusto. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)