L'isolamento di Tokyo
Il Giappone sotto attacco della Cina, mentre l'occidente guarda altrove
Pechino alza i toni contro Tokyo per Taiwan, Shinjiro Koizumi diventa il volto della resistenza giapponese, ma dall’Europa e dagli Stati Uniti arrivano poche prese di posizione: il bullismo cinese così rischia di funzionare
Il ministro della Difesa giapponese, Shinjiro Koizumi, è diventato il volto della resistenza giapponese al violento attacco della Cina che va avanti ormai dall’inizio di novembre, quando la neopremier Sanae Takaichi disse informalmente che un attacco militare contro Taiwan sarebbe stato considerato un problema per la sicurezza nazionale di Tokyo e quindi avrebbe potuto comportare il coinvolgimento delle Forze di autodifesa nipponiche. Koizumi, figlio del noto ex primo ministro Junichiro Koizumi, da settimane tiene conversazioni quasi quotidiane con i suoi omologhi dei paesi alleati, e cerca di spiegare l’enormità della reazione cinese a una legittima (e anche piuttosto ovvia) considerazione del capo del suo governo. Finora in Europa il Giappone non ha ricevuto né solidarietà né prese di posizioni forti, segnale che la strategia cinese sta funzionando.
Il boicottaggio contro il Giappone e le continue aggressioni diplomatiche rilanciate dai media cinesi servono alla leadership di Pechino a scoraggiare qualunque governo voglia prendere una posizione a favore di Tokyo – e quindi, indirettamente, a favore della difesa di Taiwan. Eppure l’obiettivo diplomatico di Koizumi, insieme a quello del consigliere per la Sicurezza nazionale di Takaichi, Keiichi Ichikawa, è di dimostrare che il Giappone, paese membro del G7 e alleato della Nato nella regione dell’Indo-Pacifico, sta subendo ciò che qualunque paese occidentale potrebbe subire contro l’asse russo-cinese, e che ci si può proteggere solo con un rafforzamento delle alleanze. In tutti gli ultimi incontri di alto livello del ministro degli Esteri cinese Wang Yi, dalla Germania alla Francia fino al Regno Unito, il capo della diplomazia di Pechino ha usato parole molto dure contro il Giappone, e ieri perfino il quotidiano dell’Esercito popolare di liberazione scriveva che il paese sta “insabbiando le atrocità commesse in tempo di guerra”, che il nuovo militarismo giapponese è una minaccia globale ma che la determinazione della Cina “a sostenere la vittoria duramente conquistata nella guerra mondiale antifascista resta incrollabile”. La chiave di lettura è nell’ordine globale post bellico. Non è un caso se il 3 settembre scorso Xi Jinping abbia chiamato a raccolta a Pechino tutti i suoi alleati, da Putin a Kim Jong Un, per ottenere un posto d’onore nelle celebrazioni degli ottant’anni dalla fine della guerra: all’ordine pacifico ricostruito con il sangue – anche se a combattere i giapponesi era stata soprattutto la Repubblica di Cina, cioè Taiwan, non la Repubblica popolare di Mao – oggi bisogna contrapporre un nemico militarista, che minaccia di cambiare le regole, e quel nemico adesso è stato individuato.
Lo scorso fine settimana in Giappone diversi media hanno condotto i tradizionali sondaggi di fine anno sulla popolarità del governo, e i risultati sono sorprendenti: il consenso per la premier Sanae Takaichi resta a livelli molto alti, segnale che la popolazione giapponese è spaventata dall’aggressività, per ora solo diplomatica, di Pechino ma anche dei cittadini comuni – un sentimento preparato da tempo, ben prima di Takaichi: in estate è uscita una lunga serie di film cinesi di guerra sulla cosiddetta Guerra di resistenza contro l’aggressione giapponese, che serve a mostrificare anche il Giappone contemporaneo (colpevole di non aver pagato abbastanza per i suoi crimini) e che risponde all’agenda del Partito. Anche i diplomatici cinesi e giapponesi in missione in Europa, che fino a qualche tempo fa avevano rapporti diretti, si vedono e si sentono sempre meno.
Eppure l’obiettivo di Pechino di trasformare Tokyo in un nemico sembra non essere una priorità nell’agenda americana. Koizumi ha telefonato al segretario alla Guerra Pete Hegseth solo l’11 dicembre scorso. I due hanno parlato dell’episodio allarmante di velivoli militari cinesi che hanno puntato i radar contro due aerei delle Forze di autodifesa giapponesi, di bombardieri cinesi e russi che hanno effettuato voli congiunti attorno al Giappone, ma non c’è stata alcuna condanna formale. Venerdì scorso il segretario di stato americano Marco Rubio, durante la conferenza stampa di fine anno, ha detto che “le tensioni” fra i due paesi “sono preesistenti”, eludendo la domanda. Tra i paesi che hanno mostrato solidarietà al Giappone ci sono quelli che sono già stati colpiti dal bullismo cinese, come le Filippine e l’India. Anche il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, ha espresso solidarietà. La nuova Amministrazione sudcoreana del democratico Lee Jae-myung, invece, ha deciso di riavvicinarsi a Pechino anche sfruttando il tradizionale sentimento antigiapponese.
E’ così che il ministro della Difesa Koizumi, finora considerato troppo giovane per avere un ruolo di primo piano nell’Amministrazione giapponese, sta diventando un volto noto anche in occidente: è stato lui a spiegare l’aumento del budget della Difesa nipponica – la scorsa settimana la Dieta ha approvato il bilancio per la Difesa più elevato mai realizzato, stanziando il 2 per cento del pil per le spese militari con due anni di anticipo rispetto al previsto. E ieri l’assemblea della prefettura di Niigata, dove si trova la centrale nucleare più grande del mondo, quella di Kashiwazaki-Kariwa, ha approvato un disegno di legge che apre la strada alla riattivazione di almeno un reattore, spenti dopo il disastro nucleare di Fukushima del 2010: un passo essenziale per la sicurezza energetica del paese, in vista di eventuali ulteriori crisi che nessuno, a oggi, si sente di escludere.