Ansa

L'editoriale del direttore

Bicchiere europeo? Ancora mezzo pieno

Claudio Cerasa

La scelta sugli asset russi è al ribasso e l’Europa è più divisa. Ma la direzione continua a essere giusta, l’Ue a due velocità è necessaria e il debito comune è una svolta vera. Alzare l’asticella sì, anche sull’Italia, il piagnisteo no, grazie

Ci sarebbero ottime ragioni per essere particolarmente cupi per il compromesso al ribasso trovato dai paesi dell’Unione europea sulla difesa dell’Ucraina. Gli asset russi non sono stati toccati, la strategia dell’Unione europea è stata sconfitta, i paesi filoputiniani hanno ottenuto uno scalpo, la Russia ha comprensibilmente esultato per le difficoltà registrate dall’Europa e l’unico modo per spingere i paesi membri a stanziare molti miliardi per sostenere l’Ucraina è stato quello di accettare il ricatto di Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca: fate pure, ma noi possiamo dire di sì solo se non ci fate pagare. L’Unione europea, apparentemente, dal passaggio di giovedì notte può sembrare ammaccata, con una leadership europea, Ursula von der Leyen, più debole che mai e con il leader più visionario che ha l’Europa, Friedrich Merz, grande sponsor dell’utilizzo immediato degli asset russi, costretto a un bagno di realismo. Eppure, se lo si guarda con attenzione, il bicchiere europeo, anche stavolta, è più mezzo pieno che mezzo vuoto e ci sono buone ragioni per respingere al mittente il piagnisteo autolesionista che descrive l’Europa come un palloncino pronto a esplodere da un momento all’altro. Il punto politico più rilevante, ovviamente, è che la stanchezza si inizia a intravedere ma non ha vinto.

 

Né sulle sanzioni, né sul sostegno finanziario, né sulla lettura della difesa di Kyiv come “sfida esistenziale” per l’Europa. L’Europa sceglie di non usare gli asset russi, cosa che però non esclude di fare in futuro, ma sceglie di sostenere l’Ucraina andando ad aggredire uno dei tabù europei: il sì agli Eurobond. Avere leader non in grado di mettere in campo misure straordinarie per tempi non ordinari non è incoraggiante rispetto al futuro. Ma avere leader che si mostrano disponibili a pagare un prezzo politico (paghiamo noi per Kyiv) per sostenere l’Ucraina attraverso lo strumento del debito comune, con una emissione da novanta miliardi, resta un atto di coraggio e a suo modo un passaggio storico. Così come, rispetto al futuro, è incoraggiante sapere che l’Unione europea è disposta a perdere qualche pezzo per strada, qualche staterello canaglia, pur di non perdere di vista i propri obiettivi: ieri, sull’Ucraina, si è trovata una formula creativa, quasi modello cooperazione rafforzata, per sostenere Kyiv, deliberando il prestito garantito, e fare tutto il necessario per difendere le democrazie aggredite può significare anche fare scelte di rottura, per non rimanere ostaggio dei meccanismi perversi dell’unanimità. E, dettaglio non da poco, l’Ue ha aggirato il rischio di veto sul congelamento dei beni russi anche in un altro modo: ha usato l’articolo 122 dei trattati, che consente decisioni a maggioranza qualificata in caso di emergenza economica, e in questo modo ha fatto sì che l’immobilizzazione diventasse a tempo indeterminato, senza l’unanimità di solito richiesta per le questioni di politica estera.

 

 

L’Europa è meno forte di come potrebbe essere ma l’Europa dimostra di sapere aggirare i veti, di usare il bilancio come arma politica, di sapere fare sacrifici. Non ci si può accontentare, naturalmente, non si può sostenere che ciò che sia necessario fare sia anche sufficiente, ma rispetto al sostegno all’Ucraina il bicchiere resta mezzo pieno. In questo quadro, ovviamente, il ruolo dell’Italia merita un ragionamento a sé. Meloni, un tempo, si prodigava in Europa per avvicinare il fronte degli orbaniani a quello degli europei, come è stato un anno fa sul tema delle sanzioni. Ieri, alla fine, ha svolto un ruolo diverso, contribuendo a sabotare la scelta dell’utilizzo degli asset russi, come chiedevano prima di tutti i paesi di Visegrád. Meloni, alla fine, ha sostenuto con forza e convinzione l’impegno a stanziare molti miliardi europei per Kyiv e su questo c’è da scommetterci che i patrioti italiani avranno modo di specularci facendosi ancora una volta cassa di risonanza della propaganda putiniana. Ma più in generale, se si guarda ai fatti, non si può negare che il governo Meloni, almeno su quattro temi, stia mostrando di vivere su una frequenza diversa rispetto a molti partner europei, quando si parla di Ucraina. Niente sostegno al programma Purl per gli aiuti militari in Ucraina (piano che sarebbe gradito ovviamente a Trump), finanziamenti per l’Ucraina inferiori rispetto alle capacità dell’Italia (siamo i noni in Europa), distanza plastica dalla plancia di comando dei volenterosi (le photo opportunity degli incontri tra i leader, con Meloni volutamente in disparte, sono un manifesto politico), tentazione di sostenere l’approccio trumpiano finalizzato a chiedere all’Ucraina sacrifici territoriali (anche se a parole Meloni dice l’opposto).

 

Quando si giudica un governo per quello che fa è giusto tenere l’asticella molto alta, cosa che purtroppo in pochi fanno all’opposizione e non c’è dubbio che se gli avversari di Meloni spingessero Meloni ad alzare l’asticella sull’Ucraina il governo avrebbe meno disinvoltura a lavorare al ribasso. Ma quando si giudica un governo per quello che fa occorre capire anche cosa quel governo può fare, vista la maggioranza che ha. E dunque la questione è semplice. Meloni, sull’Ucraina, avrebbe “dovuto” fare molto di più? Probabilmente sì. Avrebbe “potuto” fare molto di più? Probabilmente no. Viva l’Europa del bicchiere mezzo pieno.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.