Ansa
L'intervento
La lotta all'antisemitismo che imbarazza la sinistra
L’odio contro gli ebrei è un’emergenza anche in Italia, è davanti ai nostri occhi, ma chi tenta di affrontarla subisce un paradossale linciaggio morale, con accuse di fascismo e richieste di espulsione dal partito
A Sydney le celebrazioni della festa ebraica di Hannukkah, la festa delle luci, è stata funestata da un attentato antisemita, che – mentre scriviamo – sembra avere fatto almeno 12 morti, tra i quali il rabbino, e numerosi feriti. Il passaggio dalle armi della critica alla critica delle armi può sorprendere solo chi fosse a tal punto distratto da non essersi reso conto del livello raggiunto dalla diffusione dell’odio contro gli ebrei in questi ultimi due anni. E’ davanti ai nostri occhi una vera e propria emergenza antisemitismo, eppure nel nostro paese molti non solo rifiutano di vederla, ma hanno addirittura scatenato una polemica pretestuosa contro alcune proposte di legge mirate ad affrontarla, in particolare sottoponendo il senatore del Pd Graziano Delrio a un incredibile linciaggio, con accuse di fascismo e richieste di espulsione dal partito.
Mettiamo in ordine i fatti. Nel 2017 il Parlamento europeo votò una risoluzione sull’antisemitismo che raccomandava l’adozione della definizione operativa dell’Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance). Votarono a favore quasi tutti gli eurodeputati del Pd e anche Elly Schlein, che dal Pd era uscita due anni prima per aderire a Possibile. Nel 2018 la Camera dei deputati approvò con ampia maggioranza trasversale alcune mozioni che chiedevano al governo di impegnarsi a recepire la definizione operativa dell’Ihra. Nel gennaio 2020 il governo Conte II, composto da M5s, Pd, Liberi e Uguali, “accolse” la definizione operativa di antisemitismo elaborata dall’Ihra e istituì la figura del Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, come era stato richiesto dal Parlamento europeo e dalla Commissione europea. Tra i ministri che approvarono la delibera spiccano i nomi di Boccia e Provenzano del Pd e di Speranza di LeU (cioè Art. 1 e Sinistra Italiana).
E veniamo all’oggi. Dopo che già erano stati presentati al Senato disegni di legge di Romeo (Lega), Gasparri (FI) e Scalfarotto (Iv), il senatore del Pd Delrio ha depositato il ddl n. 1722 intitolato “Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dell’antisemitismo e per il rafforzamento della Strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo nonché delega al governo in materia di contenuti antisemiti diffusi sulle piattaforme online”. A differenza di altre proposte, il ddl Delrio non contempla reati, condanne, divieti o sanzioni, ma si limita a prevedere procedure per la segnalazione e la rimozione dei contenuti antisemiti diffusi sui social, a promuovere la collaborazione tra ricercatori di università italiane e straniere, e infine a introdurre un monitoraggio delle azioni attuate nelle scuole e nelle università per contrastare i fenomeni di antisemitismo, azioni previste dalla Strategia nazionale che viene predisposta periodicamente dal Coordinatore e approvata dai governi. Tra i senatori cofirmatari vi erano esponenti di tutte le correnti del Pd, ma in seguito alcuni cuordileone hanno ritirato la firma cedendo alle pressioni del partito.
La pietra dello scandalo è l’art. 1, nel quale è scritto che “ai fini della presente legge si applica la definizione operativa di antisemitismo approvata dall’Ihra”. E quale definizione di antisemitismo avrebbe mai potuto applicare, di grazia, se non quella già adottata da governo, Parlamento europeo, Consiglio europeo, Commissione europea e 37 stati? L’accusa più ricorrente e più strampalata è che il ddl Delrio impedirebbe di criticare le politiche del governo di Israele. Una tesi che non sta né in cielo né in terra e che può essere formulata solo da chi non si sia preso la briga di leggere i testi. La “definizione operativa” dell’Ihra, alla quale il ddl rimanda, così recita: “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto”. Non vengono menzionati nel ddl gli “esempi”, che sono stati elaborati dall’Ihra come mera guida interpretativa non giuridicamente vincolante, e che non potranno mai essere applicati da un tribunale, a meno che uno stato non li incorpori esplicitamente in una legge. L’idea che possano essere resi vincolanti di soppiatto, senza dirlo, è puro complottismo e denota la mancanza delle competenze minime necessarie per interpretare un testo di legge.
Peraltro, nella premessa agli esempi, l’Ihra precisa espressamente che “le critiche verso Israele simili a quelle rivolte a qualsiasi altro paese non possono essere considerate antisemite”. Comunque sia, è incontrovertibile che l’antisemitismo contemporaneo venga veicolato anche tramite il cocktail tossico tra l’ossessiva equiparazione di Israele al nazismo (col ribaltamento su Israele di tutti i topoi connessi alla Shoah), da una parte, e il principio razzista della colpa collettiva di tutti gli israeliani e di tutti gli ebrei per le azioni del governo israeliano, dall’altra. La formule classiche sono: “Non hanno imparato nulla dalla loro storia”; “Fanno ai palestinesi quello che i nazisti hanno fatto a loro”. Quindi gli esempi, ancorché non vincolanti, forniscono un orientamento assai utile nell’ambito del dibattito culturale, dell’educazione e della comunicazione.
I critici del ddl sostengono che la guerra a Gaza ha cambiato tutto, per cui se la dichiarazione Ihra magari prima poteva andare bene, adesso non più. Anche qui siamo al paradosso, cioè la battaglia contro l’antisemitismo la si fa finché sta nascosto nei sottoscala e sui muri dei cessi, ma quando riemerge prepotentemente come fenomeno di massa, ostentato e minaccioso, allora lo si lascia correre. Non sia mai che gli antisemiti possano essere infastiditi dalla “censura”. Meglio lasciare gli ebrei alla mercé di chi li insolentisce per strada, li dileggia sui social o pretende di cacciarli dai pubblici esercizi se non si dissociano dal “sionismo”. Gli stessi critici negano la necessità di una normativa ad hoc sulla base di due obiezioni: a) le norme esistenti sarebbero già sufficienti per fronteggiare le manifestazioni del pregiudizio e lo hate speech; b) non si dovrebbero prendere provvedimenti per il contrasto nei confronti dello specifico odio antiebraico per non venire meno a un principio universalistico.
La prima obiezione è semplicemente falsa. Sui social si moltiplicano senza alcun freno migliaia di messaggi antisemiti tipo “peccato che baffetto non abbia finito il lavoro”, “ora avete capito perché in tutti i posti in cui hanno preso piede li hanno cacciati”, “qui è passato il popolo eletto” (con foto di distruzioni a Gaza), “vecchia nazisionista vattene a Tel Aviv” (rivolto a una parlamentare della Repubblica italiana); per non parlare della diffusione di meme con noti intellettuali ebrei raffigurati col nasone e le mani che si sfregano, sul modello delle vignette di Der Stürmer. Tutti i tentativi di far rimuovere questi contenuti dalle piattaforme ottengono la stessa risposta: “Il post segnalato non viola le regole della community”. Le piattaforme non solo non rimuovono, non solo tutelano l’anonimato degli autori, ma utilizzano algoritmi che amplificano la diffusione dei messaggi di odio per aumentare il traffico. Teoricamente ci sarebbe la strada della repressione penale, ma nella realtà è quasi totalmente inefficace a causa sia del numero gigantesco delle esternazioni antisemite, sia della loro proliferazione velocissima, sia della frequente impossibilità di identificare gli autori, sia del sovraccarico degli uffici giudiziari, per cui nei pochissimi casi che vengono perseguiti, la rimozione delle espressioni diffamatorie avviene dopo anni, quando il danno è fatto. Ma non ci sono solo i social. Recentemente in un paio di programmi di prima serata su canali tv nazionali sono state riproposte in termini inequivocabili – “gli ebrei controllano le banche e i giornali, quindi non si può dire nulla” – le teorie dei Protocolli dei savi anziani di Sion, noto libello antisemita confezionato dalla polizia zarista per incitare ai pogrom. Nessuno ha reagito, né durante le trasmissioni, né dopo.
La seconda obiezione ha qualcosa di surreale. Pare strano dover spiegare come mai in tutta Europa siano state adottate norme e siano stati creati strumenti specifici per il contrasto all’antisemitismo, dopo secoli di antigiudaismo cristiano e di ghetti, dopo le campagne razziali del nazifascismo e dopo uno sterminio industriale che ha provocato la quasi totale estinzione della componente ebraica in molti Paesi. Ed è ancora più imbarazzante doverlo fare perfino con alcune persone che condividono i tuoi stessi lutti. E poi anche in questo caso la tempistica è sospetta: come mai non hanno avuto nulla da dire negli anni scorsi quando venivano proposte leggi e commissioni ad hoc, come mai non si sono opposti all’istituzione del Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo e scoprono solo ora questi nobili scrupoli universalistici? La risposta ci ha colto come un tradimento ed è giunta da dove mai avremmo immaginato di sentirla. Ha scritto l’amico Gad Lerner in un suo post su FB del 6 dicembre: “Le normative per contrastare l’incitamento all’odio razziale esistono già benché applicate a intermittenza. Non c’è bisogno di confezionarne una su misura a protezione di un soggetto coinvolto in un conflitto in corso, e non l’altro. Puniresti anche chi apostrofa come terrorista l’intero popolo palestinese, o chi sostiene che non abbia diritto di esistere?”. Insomma, apprendiamo che gli ebrei italiani sono in guerra con i palestinesi. E dunque non devono essere protetti da insulti e intimidazioni per non alterare la par condicio. Fermate il mondo, voglio scendere.
Avvocato, membro dell’esecutivo nazionale di Sinistra per Israele - Due popoli due stati, Luciano Belli Paci è figlio della senatrice a vita Liliana Segre
L'editoriale dell'Elefantino