Una foto condivisa sulla pagina Facebook del Fondo per la ricostruzione di Bengasi con Kamel Ghribi al centro e Belqasim Haftar a destra
sono solo affari
Haftar ricatta le imprese italiane: volete investire? Portate Schillaci
La cordata che voleva investire nella Sanità della Cirenaica fatta fuori dal Gruppo San Donato (con l'aiuto del governo Meloni). Il clan fa una controproposta: convincete il ministro della Salute a venire a Bengasi. La corsa per la legittimazione
La famiglia Haftar ha un piano per riprendere la strada del pieno riconoscimento politico da parte dell’Italia. La nuova opportunità, secondo informazioni raccolte dal Foglio, si è presentata quasi per caso e passa per il business della sanità, legato a doppio giro all’Italia. Tutto inizia con l’insolita sponsorizzazione che il governo italiano ha deciso di dare a suo tempo al Gruppo San Donato per investire in Cirenaica. Lo scorso settembre, come raccontato su queste colonne, il vicepresidente Kamel Ghribi è stato accompagnato a Bengasi dal capo dei servizi segreti esterni, Giovanni Caravelli, per stringere la mano a Belqasim Haftar, uno dei figli del generale e capo del ricco Fondo per la ricostruzione dell’est del paese. La firma del memorandum di intesa prevedeva la costruzione di alcuni ospedali e la formazione del personale sanitario da parte del Gruppo. Un business particolarmente ricco, se non fosse che a farne le spese sono stati altri imprenditori italiani che pure avevano appena trovato un primo accordo con le autorità dell’est della Libia per altri investimenti nel settore della sanità. Con l’inserimento di Ghribi, la cordata è stata fatta fuori con l’insospettabile aiuto del governo italiano, che evidentemente ha preferito dare un corso privilegiato al Gruppo San Donato, come accusano le società scalzate.
Sono passati tre mesi e alla fine della scorsa settimana Ghribi è tornato a Bengasi – stavolta da solo e nelle vesti di presidente della Gksd, la società di consulenza di cui si avvale il gruppo milanese presieduto dall’ex ministro Angelino Alfano – per limare gli ultimi dettagli che porteranno alla conclusione di un accordo definitivo con gli Haftar. Non di soli ospedali si parla, giacché ormai Ghribi spazia tra investimenti in sanità e in edilizia civile. Oltre alla costruzione del Bengasi Medical Center in ballo c’è anche la realizzazione di due impianti per il riciclaggio dei rifiuti solidi urbani per produrre energia elettrica.
Dopo avere protestato invano con la Farnesina, agli imprenditori italiani è stata offerta una seconda possibilità direttamente dagli Haftar. Le autorità di Bengasi hanno chiesto alle aziende di convincere il nostro ministro della Salute, Orazio Schillaci, a volare in Cirenaica per trattare. Una richiesta insolita per una questione che spetterebbe al Commercio estero che fa capo alla Farnesina, ma nemmeno troppo sorprendente se si conosce abbastanza l’agenda degli Haftar, tutta orientata alla ricerca di una legittimazione politica europea che ancora manca.
A luglio aveva fatto clamore il “respingimento” all’aeroporto di Bengasi della delegazione del Team Europe – composto dal commissario Ue per gli Affari interni e le Migrazioni, Magnus Brunner, e dai ministri dell’Interno dell’Italia, Matteo Piantedosi, della Grecia, Makis Voridis, e di Malta, Byron Camilleri. Motivo di quella crisi diplomatica fu la “trappola” che il generale Khalifa Haftar tentò di tendere alla delegazione, costringendola a incontrare e farsi fotografare con i ministri del governo parallelo dell’est della Libia, non riconosciuto dalla comunità internazionale. Con Schillaci, Haftar vuole rifarsi usando le imprese italiane come arma di ricatto: volete investire qui? La torta è grande, ma serve una contropartita.
Nel frattempo, resta una anomalia di fondo nelle relazioni politiche tra Europa e Cirenaica. Perché gli Haftar incontrano quasi su base settimanale chiunque tra le leadership diplomatiche e militari dell’Ue e dei singoli stati europei. Lo scorso 7 dicembre è stata la volta dell’ambasciatore dell’Ue in Libia, l’italiano Nicola Orlando, a vedere Haftar a Bengasi, con tanto di foto e strette di mano. Insieme a lui c’era anche il comandante Marco Casapieri, alla guida dell’operazione EunavforMed Irini, la missione dell’Ue che si occupa di sorvegliare il rispetto dell’embargo delle armi in Libia, oltre a Jan Vycítal, capo di Eubam, l’agenzia Ue che coadiuva le autorità locali nel controllo delle frontiere. Incontri come questo, tutti su temi sensibili quali la sicurezza e l’immigrazione, tenuti con un alleato di Vladimir Putin, cioè Haftar, non sono più un motivo di imbarazzo per l’Ue, che anzi vede in Bengasi un partner fondamentale. Il generale lo sa e attende paziente che l’Europa e i singoli paesi membri si decidano a dismettere i panni dell’interlocutore zelante, ammettendo pubblicamente che sì, abbiamo bisogno di un amico di Putin per controllare le nostre frontiere. Quel giorno, nella mente di Haftar, potrebbe non essere così lontano.