Roman Gofman (foto Ansa)

il triangolo da tenere d'occhio

Chi è Roman Gofman, il generale outsider scelto da Netanyahu per guidare il Mossad

Sharon Nizza

Dall’infanzia da immigrato bullizzato alle unità combattenti dell’Idf, fino al vertice dell’intelligence israeliana: il profilo del nuovo capo dei servizi segreti esteri (da giugno) divide l’establishment tra riforma della sicurezza e fedeltà politica al premier

Tel Aviv. Quando nel 1990 il quattordicenne Roman Gofman approda nella periferia israeliana di Ashdod, la vita non gli sorride. Vittima di quel bullismo che spesso ha segnato la generazione di neoimmigrati russofoni arrivati in Israele con il crollo dell’Unione sovietica, il giovane introverso di origini bielorusse si iscrive a pugilato e nel tempo arriverà secondo nella classifica nazionale nella sua categoria di peso. “Di fronte a una minaccia o a una sfida, mai chiudere gli occhi”, è la lezione del suo coach che lo accompagna da allora e che riassume lo spirito di questo combattente nelle parole di chi lo conosce: audace, talentuoso, uno che non ha paura di guardare negli occhi e dire quello che pensa. Un “generale intellettuale”: poco incline al sorriso, instancabile nel lavoro, lettore assiduo di storia militare, filosofia e biografie.

E’ Roman Gofman, attuale segretario militare di Benjamin Netanyahu, che il premier ha scelto come quattordicesimo capo del Mossad, a partire da giugno, quando Dedi Barnea terminerà il suo mandato. Outsider allora, outsider oggi: il suo nome, infatti, continua la linea di nomine “non convenzionali” negli apparati di sicurezza dopo il fallimento del 7 ottobre. Gofman viene dall’esercito e non dagli apparati dell’intelligence militare, tradizionalmente considerato il lignaggio necessario per competere ai vertici dell’élite di sicurezza, bensì dalle unità combattenti dell’esercito. Il cuore dell’establishment si divide tra chi vede nella nomina una continuazione della linea di riforme necessarie nella rivisitazione dell’approccio alla sicurezza nazionale del paese, e chi come un altro tentativo di Netanyahu di politicizzare i vertici degli apparati nominando suoi fedelissimi. All’annuncio della nomina, il 4 dicembre scorso, nel dibattito pubblico ha prevalso il secondo approccio, fino ad arrivare a parlare di “sfiducia tra i settemila dipendenti del Mossad, che porterà a un’ondata di dimissioni”. Con il passare dei giorni però la critica si è ridimensionata, e A. – uno dei candidati interni proposti da Barnea – ha accettato di diventarne il vice.

Arruolatosi nel 1995, Gofman ambiva a un’unità di élite, ma gli occhiali gliel’hanno impedito. Si è formato nella Brigata corazzata fino alla nomina nel 2020 a comandante della Divisione 210 che controllava il confine siriano. “Un vero professionista, un pensatore creativo, con un’ampia visione di insieme”, lo descrive al Foglio il colonnello riservista Eyal Dror, che ha guidato per l’Idf l’operazione “Buon vicinato”, attiva durante la guerra civile siriana, in cui l’esercito ha creato infrastrutture di assistenza umanitaria nel sud della Siria per intrecciare relazioni che oggi, dopo la caduta del regime di Assad, si rivelano un asset strategico. E’ diventato virale in questi giorni un video del 2018 in cui Gofman, ancora comandante di brigata, pronunciò un discorso di sfida di fronte all’allora capo di stato maggiore Gadi Eisenkot: “Ramatkal, vorrei dirle che noi siamo pronti a combattere. C’è solo un problema: voi non ci usate. Da tempo assistiamo alla tendenza problematica di evitare l’impiego delle forze di terra”. Il video riprende sghignazzi e facce imbarazzate tra i vertici militari seduti in prima fila. Nell’Israele post 7 ottobre, l’approccio di Gofman è considerato predominante: quello che sfida la “Consepzia”, ossia l’idea che l’intelligence e la deterrenza aerea, senza “boots on the ground”, siano risorse sufficienti per combattere il nemico.

Nel maggio del 2024 Gofman diventa generale e Netanyahu lo sceglie come suo segretario militare. In questo incarico, il russofono Gofman ha svolto diverse missioni segrete in Russia, incontrando Putin più volte, sia nell’ambito degli sforzi per il rilascio degli ostaggi di cittadinanza russa, sia per la gestione dell’intricato scacchiere che si sta delineando al confine nord del paese dopo la caduta di Assad. Non è un segreto che Israele abbia una preferenza per la presenza russa, rispetto a quella turca, su questo fronte. Tra gli strateghi della Guerra dei dodici giorni contro l’Iran, Gofman presenta un profilo che può indicare che è proprio sul triangolo Russia-Iran-Siria, in un medio oriente che assiste al graduale disimpegno americano dall’Iraq, che molti degli sforzi del Mossad saranno dedicati nei prossimi anni.

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