Foto Epa, via Ansa
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2028, l'attacco della Russia tra fiction e realtà
Scenari di un’aggressione russa a piccoli passi. Parla Carlo Masala, politologo
E’ la fine di marzo del 2028, e sullo storico municipio di Narva, la città estone al confine con la Federazione russa, sventola il tricolore bianco, blu e rosso. La disinformazione e la guerra ibrida degli ultimi anni hanno reso la popolazione, a maggioranza russofona, ormai favorevole all’annessione, che però ora chiamano “liberazione”. E’ successo di notte, senza spargimento di sangue, mentre le truppe russe fingevano esercitazioni a sud, verso il lago Peipsi, e nel frattempo arrivavano dal mare anche sull’isola estone di Hiiumaa. E’ così che inizia “Se la Russia attacca l’Occidente” (Rizzoli, 160 pp., 16 euro), un romanzo che in realtà è un vero scenario immaginato da Carlo Masala, politologo tedesco (di origini italiane) e direttore del Center for Intelligence and Security Studies della Bundeswehr University di Monaco, l’università delle Forze armate tedesche.
Il libro di Masala inizia da un accordo di pace fra Ucraina, Russia ed Europa messo insieme dall’Amministrazione americana di Donald Trump e firmato nel 2025 – una resa, più che una pace. “L’idea di scrivere il libro nasce dal dibattito che abbiamo avuto fino a oggi in Europa”, dice Masala in una conversazione con il Foglio, “il mio punto era: da una prospettiva politica e militare, se l’obiettivo della Russia è distruggere la Nato – e questo è l’obiettivo della Russia – hanno davvero bisogno di attaccare completamente un paese membro della Nato?”.
“Assumiamo che attacchino la Polonia”, continua Masala: “Direi che il rischio che venga invocato l’Articolo 5 è piuttosto alto”. Nemmeno i russi, dice il docente, possono calcolare se vincerebbero o meno una guerra del genere contro la Nato. “Ma che dire dell’idea di conquistare solo un piccolo pezzo di territorio Nato? E allora ho iniziato a guardare ai ‘ventri molli’ della Nato, come li chiamava Churchill. E ce ne sono alcuni. Io ho scelto Narva, ma Narva è solo un esempio. Potrebbe accadere a Spitsbergen nell’Artico, a Gotland, e così ia”.
Il lavoro di Masala non è fiction: si basa su un ragionamento realistico e sulle conversazioni che ha avuto negli ultimi anni con analisti e politici di Forze armate europei, americani, della Nato. Se c’è una parte di fiction, quella è sicuramente “il nuovo presidente russo. Volevo inserire almeno un elemento di sorpresa per il lettore, e anche spiegare il tipo di ambiguità dei paesi europei nel rallentare l’intero processo di riarmo e deterrenza verso la Russia. Perché il nuovo presidente russo ricalca esattamente la situazione che avevamo in Europa quando Gorbaciov arrivò al potere. Nei primi anni i governi dell’epoca non sapevano davvero se Gorbaciov fosse semplicemente un Breznev dall’aspetto migliore o se rappresentasse davvero qualcosa di nuovo nella politica estera sovietica. E di conseguenza tutto fu messo in pausa”. Certo condurre war games o realizzare scenari verosimili come questo è più difficile oggi, in un ambiente polarizzato e leader imprevedibile. “Di certo l’ambiente di minaccia è cambiato”, dice Masala. “L’imprevedibilità, in questo scenario, è all’interno dell’alleanza. Gli alleati non possono più essere certi che gli altri verrebbero in loro difesa in caso di attacco limitato. Se si tratta di un attacco limitato, non contro un intero paese ma solo contro un piccolo pezzo di un paese, l’incertezza all’interno dell’alleanza cresce ancora di più. Voglio dire, perché dovresti difendere o cercare di liberare una città di cinquantamila abitanti, rischiando un confronto convenzionale su larga scala con una dimensione nucleare per la liberazione di una città di cinquantamila abitanti?”. E’ un discorso che si applica ancora di più su Taiwan: “Se Europa e Stati Uniti, con il loro enorme potere economico, non sono stati in grado – non sono stati politicamente disposti e capaci – di sostenere l’Ucraina al punto da darle una reale possibilità, perché altri paesi dovrebbero farlo per Taiwan? Questa è la domanda”.
C’è un momento, nello scenario/romanzo di Masala, dove il Rassemblement National è al potere in Francia e in Italia il governo populista di destra passa velocemente a un approccio più morbido verso la Russia, non appena la capitolazione dell’Ucraina è avvenuta. Quando gli chiediamo come abbia elaborato lo scenario, la conversazione finisce sulla disinformazione: “Voglio dire, ho un problema con la tv tedesca e il tipo di narrazioni filorusse che si trovano spesso nella tv tedesca. Ma sono stupito da quanto profondamente siano radicate anche nei dibattiti televisivi italiani”. Masala cita Calenda, e l’ormai celebre scontro con Jeffrey Sachs a “Piazzapulita”: “Nel momento in cui inizi a discutere con queste persone come se avessero argomenti validi, contribuisci alla propaganda russa. Perché allora gli spettatori hanno la sensazione di non sapere a chi credere, e questo è già un successo della Russia. Quindi bisognerebbe dire apertamente quello che sono. Ed è ciò che ha fatto Calenda, dicendo semplicemente a Sachs: sei un bugiardo. Perché è questo che è, un bugiardo. Bisogna chiamarle bugie, e non trattarle come se fossero pari ad altri argomenti”. Il docente ha due antidoti: prima di tutto la preparazione specializzata, attenta dei conduttori, di chi gestisce il dialogo: “Spetta al moderatore, fondamentalmente, mettere in discussione certe risposte fornite nel dibattito”. E poi la regolamentazione delle piattaforme social, perché il livello di disinformazione organizzata e di propaganda “dovrebbe essere vietato. Se gli imprenditori del settore non vogliono vietare queste cose, se ospitano pura propaganda guidata da uno stato, devono affrontare le conseguenze, con sanzioni o, alla fine, con misure più dure. Libertà di espressione non significa poter mentire o manipolare piattaforme”.
Al Bundeswehr seguono e monitorano costantemente i canali di propaganda e disinformazione russi: “Puoi seguire la traccia: hanno iniziato con il Covid, poi sono diventati filorussi, poi filopalestinesi. E di solito, se prendi questi tre elementi – Russia, Palestina, Covid – vedi una enorme sovrapposizione degli stessi account che spingono certe narrazioni. La domanda è: cosa verrà dopo? Deve essere chiaro che la Russia sta conducendo due guerre. Una è con mezzi militari, contro l’Ucraina. L’altra è con mezzi non militari, contro tutte le nostre società”.
L'editoriale dell'Elefantino