Foto Epa, via Ansa

il rapporto

Ad Amnesty sono serviti due anni per accusare Hamas di "crimini contro l'umanità"

Giulio Meotti

Per accusare Israele di genocidio era bastato meno di un anno. Ora l'ong condanna ciò che veniva filmato e pubblicato su Telegram: stupri sistematici, ostaggi trascinati nudi per le strade di Gaza ed esecuzioni civili a bruciapelo

“Ti senti come se fossi un subumano: il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese a Gaza”. Ad Amnesty International ci era voluto meno di un anno dal pogrom del 7 ottobre per accusare Israele di “genocidio”. Due anni, invece, per accusare formalmente Hamas e altri gruppi terroristici palestinesi di “crimini contro l’umanità”, tra cui omicidio e tortura, in relazione al massacro del 7 ottobre e al trattamento riservato agli israeliani presi in ostaggio a Gaza. Amnesty non aveva mai affermato che la portata e la natura della violenza raggiungessero la soglia dei crimini contro l’umanità. Stupri sistematici usati come arma, torture, mutilazioni, esecuzioni di civili a bruciapelo, bambini uccisi, ostaggi trascinati nudi per le strade di Gaza tra applausi e caramelle. Due anni. Ventiquattro mesi di “verifiche”, di “fonti multiple” e di “cautela metodologica” per arrivare a scrivere ciò che i video girati dagli stessi carnefici mostravano in diretta. Amnesty non è un’organizzazione neutrale che “sbaglia i tempi”: è un attore politico che ha scelto di trattare Israele con uno standard diverso, più velenoso e più ossessivo di qualunque altro stato al mondo. La prova non è nel singolo rapporto, ma nella asimmetria strutturale del suo sguardo. Hamas filma i propri crimini, li posta su Telegram, li festeggia con comunicati ufficiali e Amnesty impiega due anni per “verificare”, esita, tergiversa, ritarda. Israele viene accusato di genocidio sulla base di numeri forniti dal ministero della Sanità di Hamas.

Il terrore di Hamas non merita la stessa urgenza della demonizzazione di Israele. In lavorazione da oltre un anno, il rapporto di Amnesty aveva affrontato “resistenze interne”, secondo email interne ottenute dalla Free Press di Bari Weiss. “La nostra preoccupazione riguarda il tempismo e l’impatto”, aveva scritto via email l’8 agosto Usman Hamid, direttore di sezione per Amnesty in Indonesia, ai massimi dirigenti dell’organizzazione. “La situazione a Gaza è al culmine di una crisi umanitaria, la carestia si sta dispiegando e il gabinetto di sicurezza israeliano ha appena approvato piani per una piena occupazione. In questo clima, c’è un rischio reale che il rapporto possa essere usato per distogliere l’attenzione dalla crisi attuale o giustificare un genocidio in corso”. Dunque, dettagliare l’orrore del 7 ottobre avrebbe dato fiato alle ragioni di Israele nella guerra e ora che è finita Amnesty può tirare fuori il rapporto. Ma nel frattempo Amnesty ha trovato il tempo di accusare Israele di “apartheid”, definire “genocidio” l’operazione difensiva a Gaza e sospendere per due anni la sezione israeliana di Amnesty. Un altro paradosso: Amnesty definisce “crimine contro l’umanità” il fatto che Hamas abbia deliberatamente massacrato 1.200 israeliani in un solo giorno, ma non trova mai il coraggio di scrivere la parola “terrorismo”, se non soltanto nelle testimonianze israeliane. Nel rapporto del 2025 Hamas è chiamato “gruppo armato palestinese”. Se dopo l’attentato al Bataclan, l’Isis fosse stato definito da Amnesty “gruppo armato siriano-iracheno” sarebbe scoppiato un putiferio. Ma quando le vittime sono ebree, la lingua umanitaria si fa felpata, il vocabolario si sterilizza e la memoria si annebbia. Due anni per riconoscere l’evidenza filmata, undici mesi per inventare un genocidio sulla base di statistiche fornite dai genocidi. Non è una débacle morale: è la bancarotta di un intero sistema di valori che per decenni ha preteso di parlare a nome dell’umanità. Hanno scelto di pesare le vite ebree con un bilancino diverso. Ma forse gli eroi di Amnesty hanno ragione su un punto. Ieri il padre di Noa Marciano, la soldatessa israeliana rapita il 7 ottobre, ha rivelato che la figlia è stata uccisa dentro l’ospedale Shifa di Gaza. Non da un terrorista in uniforme, ma da un medico che le ha iniettato aria in vena. Già altri uccidevano gli ebrei così. Terrorista non è quindi la parola giusta: nazista è meglio.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.