processo parallelo

"Brutte stron*e". Lo scivolone di Brigitte Macron sulle femministe e la piazza che vuole scavalcare la giustizia

Enrico Cicchetti

Il video del backstage alle Folies Bergères accende lo scontro tra attiviste e première dame. Ma dietro la polemica si apre il vero nodo: il divario crescente tra decisioni dei tribunali e gogna pubblica. Accuse, sentenze e hashtag: cosa rivela davvero il caso Ary Abittan

La miccia è un video di pochi secondi: un backstage, toni informali, una battuta infelice. Ma l’incendio politico divampa subito, tanto più che i parlamentari di La France Insoumise non perdono tempo e sui social cominciano subito a soffiare sul fuoco. Brigitte Macron, moglie del presidente francese, salutando il comico Ary Abittan dietro le quinte delle Folies Bergères, pronuncia quelle parole che rimbalzano in rete: "Brutte stron*e". Si riferisce alle attiviste femministe di “Nous Toutes”, che da giorni contestano l’attore con irruzioni in sala definendolo “stupratore”, nonostante il non luogo a procedere deciso dopo tre anni di indagine su di lui. Abittan è stato accusato nel 2021 di violenza sessuale da una giovane donna che frequentava. Dopo tre anni di indagine, la magistratura ha deciso il non luogo a procedere: non ci sono elementi sufficienti per un processo. Per le attiviste, però, questo esito non è sinonimo di innocenza: è il simbolo di un sistema giudiziario che, dicono, lascia scivolare indietro molte denunce di violenza. E così ecco le contestazioni nei teatri.

 

La scena che sta facendo discutere in Francia (e non solo) è breve ma eloquente. Brigitte Macron raggiunge Ary Abittan dopo il suo spettacolo. "Come va?", gli chiede sorridendo. "Ho paura", risponde l’attore. "Di cosa? Se ci sono le brutte stron*e le buttiamo fuori…", ribatte lei alludendo alle attiviste che da giorni contestano Abittan. L’entourage della première dame prova a smorzare i toni spiegando che le sue parole volevano essere una critica ai “metodi radicali” delle attiviste. Ma la miccia è ormai accesa: #sallesconnes diventa un hashtag, la sinistra attacca, e il dibattito deraglia oltre la frase in sé. E tuttavia il cuore della vicenda non è soltanto lo scambio infelice tra Brigitte Macron e il comico. È la frattura sempre più evidente tra la giustizia formale e quella percepita, tra il lavoro strutturato dei tribunali e la reazione istantanea di chi agisce nello spazio pubblico. Una distanza che – in Francia come altrove – sembra ampliarsi a ogni vicenda giudiziaria con una componente mediatica. Benché il garantismo sia l'unico (fragile) argine che serve tanto a chi è accusato quanto a chi denuncia, perché senza fiducia nelle regole della giustizia nessuna delle due figure viene davvero protetta, questo argine oggi è messo a dura prova da un clima di scontro permanente, dove ogni parola – anche detta in un dietro le quinte – diventa immediatamente strumento di battaglia politica. 

  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti