La tappa romana di Zelensky per un piano di pace dal consenso ampio

Micol Flammini

Putin non mostra interesse per la fine della guerra, il presidente ucraino invece cerca di costruire un accordo condiviso dagli alleati e che duri nel tempo.  L'Ucraina è pronta per la pace e per le elezioni, ma per entrambe serve un impegno americano che non c’è

Mentre la Russia resta immobile e non pensa a trovare un piano di pace, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, manda i suoi funzionari a negoziare negli Stati Uniti, parla al telefono con gli emissari di Donald Trump, Steve Witkoff e Jared Kushner,  resiste alle loro pressioni affinché accetti  le perdite territoriali che sazierebbero Vladimir Putin e lo convincerebbero a fermare la sua invasione, e si muove per le capitali europee per fare in modo che il piano in venti punti per la pace, scritto con i consiglieri per la sicurezza nazionale europei, sia espressione di un consenso più vasto possibile, così da pesare di più quando tornerà sul tavolo degli americani. Ieri Zelensky era a Roma, accompagnato dalla sua delegazione che comprendeva anche il ministro degli Esteri Andrij Sybiha e il capo negoziatore Rustem Umerov. Ha incontrato Papa Leone XIV, e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Il sottofondo di tutta la visita sono state le frasi di Trump pronunciate durante un’intervista a Politico, in cui il presidente americano, categorico, diceva che per Zelensky è arrivato il momento di far votare gli ucraini e per gli europei è invece arrivato il tempo di capire che l’Ucraina va mollata, altrimenti affonderanno, “sono deboli”. Il senso dei viaggi di Zelensky è proprio quello di dimostrare che invece il fronte contrario alla capitolazione davanti ai piani di Putin esiste e ha delle buone ragioni per continuare a resistere. 


E’ difficile che in questo momento gli europei riescano a intercedere con Trump, per convincerlo a riconsiderare la sua posizione sull’Ucraina, il Cremlino ha persuaso gli americani che in questo momento il problema più che Zelensky sono proprio i leader dell’Europa. Trump e i suoi accusano il presidente ucraino di perdere tempo dietro a consultazioni con degli alleati che non possono garantirgli nessun sostegno. 


E mentre le accuse americane mirano a fare pressione su Kyiv, Mosca si gode i mesi invernali che può sfruttare nel momento di massima difficoltà degli ucraini, per dimostrare che può stremare l’Ucraina. Trump non ritiene che Putin sia l’ostacolo alla fine della guerra, anche se non ha mai accettato neppure una proposta di pace proveniente da Washington. Ieri un articolo del Financial Times riportava alcuni dettagli della pressione di Witkoff e Kushner su Zelensky: gli emissari di Trump avrebbero detto al presidente ucraino di accettare l’accordo entro pochi giorni, lasciando intendere che il capo della Casa Bianca voglia la fine della guerra entro Natale. Washington continua a concentrare i suoi sforzi per costringere Kyiv a una pace senza vere garanzie e  non si accorge che nel frattempo chi porta avanti la guerra è Putin. Trump è diventato inaccessibile e la tappa romana del viaggio di Zelensky serviva anche ad avvicinarsi al presidente americano, come ha spiegato il presidente ucraino rispondendo alle domande che il Foglio gli ha posto assieme ad altri giornalisti: “Ho contatti personali con Giorgia e Giorgia ha contatti personali con il presidente Trump. E’ molto importante per noi non perdere questa occasione”. Zelensky è tornato a Kyiv con l’intenzione di chiedere al Parlamento di preparare modifiche alla legge marziale, che vieta lo svolgimento delle elezioni. Il presidente ucraino dice di essere pronto per votare e se gli Stati Uniti tengono tanto a queste elezioni, che aiutino con la sicurezza necessaria per organizzarle: “Aspetto le proposte dei nostri partner, aspetto le proposte dei nostri deputati e sono pronto ad andare al voto”. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)