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Paure e speranze dopo la caduta del regime
La libertà tradita dei cristiani in Siria e il ricordo di padre Paolo. Parla il vescovo di Homs
A Homs, cuore della rivoluzione e della cristianità siriana, le comunità cristiane vivono tra entusiasmo per la libertà ritrovata e timori per le vendette, le pressioni esterne e le prime crepe nella fragile unità del paese
La delusione non dovrebbe essere un sentimento contemplato da chi si è reso testimone della caduta di un regime dispotico. Ma la Siria vista da dentro tradisce le ferite di un popolo ancora sofferente. Qualche giorno fa a Homs, dal palco allestito in Piazza dell’Orologio, luogo simbolo della rivoluzione, il parroco di Umm al Zunnar ha preso il microfono e si è rivolto alle migliaia di persone che cantavano e sventolavano le bandiere della rivoluzione. “Ringraziamo e ci congratuliamo con Abu Muhammad”, ha urlato rivolgendosi al presidente Ahmed al Sharaa con il suo nome di battaglia di quando era un miliziano islamista. “Rivoluzione pacifica, islamica e cristiana”, ha risposto il canto della folla festante. Ma questa unione fra confessioni diverse, sancita dalla storia millenaria della Siria, è ora messa in discussione dalle strumentalizzazioni e dal sentimento di paura e incertezza che ancora si vive. E si dà il caso che Homs, il cuore della ribellione al regime da dove molte delle manifestazioni sono iniziate nel 2011, è anche l’epicentro della cristianità in Siria. E fra le comunità dei fedeli cristiani i sentimenti, a un anno dalla caduta del regime, sono contrastanti. “Mi dispiace, ma qui la speranza portata dalla caduta di Assad è diventata un atto di fede. Da Ahmed al Sharaa finora abbiano sentito solo parole”, dice al Foglio l’arcivescovo della chiesa cattolica siriaca a Homs, Jacques Mourad, che spiega come la vendetta abbia preso il sopravvento. Le incursioni da parte delle forze di sicurezza delle nuove autorità di Damasco hanno preso di mira i lealisti di Assad, molti dei quali si rifugiano in questa provincia occidentale, al confine con il Libano. Ma anche le comunità cristiane sono state prese di mira, con assalti alle abitazioni, omicidi, chiese e cimiteri profanati. “Tutto questo è inaccettabile. Come è inaccettabile una Siria governata dalla sharia. La Siria non è mai stato un paese islamico e per questo dico che questo non è accettabile nemmeno per i sunniti”.
Dopo avere restaurato e vissuto al monastero di Mar Musa con padre Paolo dall’Oglio, scomparso a Raqqa nel 2013, padre Mourad è stato anche parroco di al Qaryatayn, paese natale della moglie di Sharaa, Latifa al Droubi. Fu lì che nel 2015 fu rapito dai combattenti dello Stato islamico. Dopo quattro mesi riuscì a fuggire e a trovare rifugio in Iraq. Dal 2022 guida la comunità di Homs, da dove ha assistito alla caduta del regime, ma anche alle rappresaglie di alcune milizie contro i cristiani. Lo avevamo già incontrato a Homs a Natale dello scorso anno, e già allora si diceva scettico. A un anno di distanza, dice che la situazione è peggiorata. “A Damasco non si sta governando nel modo giusto. Probabilmente mancano di esperienza e hanno anche le pressioni dei beduini sunniti, che sono coloro che compiono questi atti di vendetta”. Il senso di giustizia, in Siria, è ancora concepito a uno stadio embrionale, quello delle pulsioni istintive che portano alle vendette personali. “Le autorità devono individuare gli ex membri del regime, anche quelli che sono fuggiti, e processarli. Incluso Assad. Ma la vendetta non possiamo accettarla”, spiega padre Mourad. In molti chiedono una soluzione federalista per il futuro della Siria, considerata l’unico modo per lasciare autonomia alle tante minoranze del paese – dai cristiani ai drusi, passando per i curdi, gli alauiti e gli ismailiti. “La Siria non può essere divisa, i siriani non hanno problemi tra loro, abbiamo sempre vissuto insieme in grande rispetto reciproco”, replica l’arcivescovo, secondo cui le voci che spingono verso la frammentazione sono fomentate al di fuori dei confini. “Non possiamo lasciare che la politica e gli interessi dell’estero dividano questo popolo”, dice riferendosi alle pressioni israeliane a sud e a quelle turche a nord. “Siamo già aggrediti da influenze straniere – dice Mourad - Sharaa è sotto una pressione enorme, soprattutto da parte di Israele che attacca la Siria in modo inaccettabile, in un silenzio internazionale inaccettabile e commettendo un’ingiustizia inaccettabile”.
Ma fra tante difficoltà, i cristiani provano ancora a guardare al futuro con fiducia a un anno dalla liberazione. L’arcivescovo di Homs ricorda bene l’8 dicembre e cosa ha provato nel momento in cui ha capito che il regime era davvero caduto. “La prima cosa che ho pensato è stata: libertà. E per me dirlo è forte, perché io nel 2015 ho vissuto un rapimento dell’Isis, ho vissuto il sentimento della libertà quando sono scappato. Ma per me il vero momento di libertà è stato l’8 dicembre 2024. E quello mi ha portato subito a Padre Paolo, di cui non sappiamo più nulla, perché il primo e unico desiderio che avevo in quel momento era che lui fosse con noi, per vivere questa gioia. Penso sia grazie a lui e a tutti i martiri durante questi anni di guerra che siamo riusciti a ottenere questa libertà”.
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