Foto LaPresse

Difendere l'Europa

L'Europa si prepara. La nuova geografia della Difesa europea, dal Nord al Sud

Rifugi abitabili per 72 ore, sirene e allerta sui telefoni, corsi di sopravvivenza e nuove leve specializzate. Così la Russia (con la Casa Bianca di Trump) ci ha costretti a ridisegnare la difesa, anche quella civile

Ci sono voluti quasi quattro anni di bombardamenti, morti e distruzione, e di continui rifiuti di piani di pace da parte di Putin affinché l’Europa iniziasse a essere consapevole di una realtà: la guerra di Mosca contro l’Ucraina rischia non solo di prolungarsi, ma di allargarsi. O forse si è già allargata. Perché la guerra ibrida del Cremlino contro l’occidente, fatta di sconfinamenti di droni, sabotaggi, spionaggio, cyberattacchi, fa parte della nuova realtà europea. In quasi tutti i paesi della regione, dal Regno Unito al Belgio, dalla Grecia all’Albania, oltre al sostegno a Kyiv, sta cambiando anche l’approccio alla Difesa, quella propria e quella collettiva. In Italia, è stato soprattutto il ministro della Difesa  Crosetto a parlare apertamente del fatto che  il nostro paese deve prepararsi a tutte le minacce, sia militari sia  ibride. Ma in Italia – problema che condivide con diversi paesi europei, come vedremo – a frenare la preparazione a eventuali crisi è soprattutto l’opinione pubblica.

In Italia, certi partiti e certe formazioni populiste soffiano da anni sul fuoco dell’antimilitarismo più disfattista, quello dei “soldi alla Sanità invece che alle Forze armate” (eppure, per fare un esempio, sono state le Forze armate a dare uno dei maggiori contributi all’emergenza Covid nel nostro paese) in un cortocircuito fra i più pericolosi cresciuto nell’antiamericanismo e nell’illusione che la guerra non ci sarebbe mai più stata. “Se si mandasse nelle case degli italiani un libretto per prepararsi a un attacco, sul modello dei paesi nordici, cadrebbe il governo”, ha detto una fonte al Foglio. Ci sono questioni anche molto pratiche di cui è impossibile parlare: il bunker del monte Soratte, quello un tempo destinato a garantire la continuità istituzionale, una delle prime responsabilità in caso di crisi, è stato trasformato in un luogo turistico ed è inutilizzabile. Il Corriere a inizio ottobre svelava che “in caso di attacco esterno il presidente della Repubblica, che è anche il capo delle Forze Armate, sarebbe provvisto di adeguate misure di sicurezza. Ma non di un bunker”. Quando Crosetto ha parlato della sua proposta di riorganizzazione della Difesa, che verrà presentata a gennaio, e ha parlato di una “riserva selezionata”, perché servono “meccanismi per attirare persone, incentivi economici” – come vedremo, elementi chiave un po’ ovunque in Europa – le sue parole sono state manipolate e stiracchiate per farle sembrare un inno al militarismo più scellerato, confondendo l’aumento quantitativo con la riforma qualitativa: un classico della politica estera trattata come campagna elettorale permanente. Oltre alla riforma Crosetto, che comunque passerà per il Parlamento, secondo quanto risulta al Foglio attualmente anche il nuovo Piano di difesa nazionale sarebbe quasi pronto: si tratta di un documento segreto, coordinato con i ministeri e le diverse autorità competenti, compresa la Protezione civile che dipende dalla presidenza del Consiglio, per preparare autorità locali e servizi in caso di crisi. Il Piano è segreto per motivi di sicurezza, ma sempre più paesi scelgono la trasparenza per coinvolgere sempre di più la società civile all’eventualità di un’emergenza che non è più soltanto una remota eventualità. 

   

A nord e sul fianco est si costruiscono rifugi, si aggiornano i piani di evacuazione e si richiamano i riservisti; al centro e al sud  aumentano le spese militari ma la preparazione della popolazione è in ritardo. Così l’Europa scopre la difesa civile mentre la minaccia russa si avvicina ai suoi confini


LITUANIA (Nato, Ue). A dividere la Lituania dalla Polonia è il corridoio di Suwalki, il punto da cui per anni si è ritenuto che, se la Russia iniziasse un’invasione contro i paesi della Nato, procederebbe ad avanzare tagliando i paesi baltici da rifornimenti e assistenza e stringendoli fra l’exclave di Kaliningrad e la Bielorussia. E’ uno scenario oggi considerato meno critico dopo l’ingresso nella Nato della Svezia e della Finlandia, ma non per questo la Lituania ha smesso di credere che un attacco russo sia possibile. Dal 2022, Vilnius ha intensificato i piani nazionali di difesa. La legge sulla protezione civile obbliga tutti gli edifici residenziali con più di cinque piani e quelli pubblici a includere rifugi da usare in caso di attacco. Per adeguare tutte le strutture sono intervenuti finanziamenti del ministero dell’Interno. Per ora i rifugi possono ospitare circa il 54 per cento della popolazione, esiste già una mappa per identificarli in giro per la Lituania e sono attivabili in dodici ore. La permanenza nel rifugio in caso di attacco è vista come una priorità e Vilnius ha lanciato un progetto per rendere le strutture non soltanto accessibili a tutti, ma anche in grado di avere  almeno 72 ore di autonomia  di corrente elettrica. 72 ore sono il tempo critico di resistenza e per superarle le autorità distribuiscono alla popolazione manuali con indicazioni di sopravvivenza, evacuazione, come preparare scorte e come accertarsi della presenza di un rifugio nelle vicinanze. Il manuale consiglia di preparare una borsa con acqua (nove litri a persona), cibo non deperibile, una radio, una torcia, documenti. Vilnius ha reintrodotto la leva militare obbligatoria nel 2015, dopo l’invasione russa della Crimea, e per la prossimità al confine sia della Bielorussia sia di Kaliningrad ha piani di evacuazione che riguardano sia rotte interne sia esterne. L’ultima grande esercitazione di un’evacuazione è stata condotta quest’anno, simulando uno scenario di attacco sul modello ucraino.

LETTONIA (Nato, Ue). Nel 2016, la Bbc mandò in onda un documentario dal titolo “World War Three: Inside the War Room” (Terza guerra mondiale: dentro la war room). Il documentario intervistava esperti sulla possibilità del ritorno della guerra fra grandi potenze e a un certo punto mostrava il filmato di una città della Lettonia da cui sarebbe potuta partire l’invasione di Mosca. La città è Daugavpils, ospita una nutrita comunità russofona, è rimasta ingabbiata nel tempo sovietico, oggi dalla Lettonia è considerata un problema dal punto di vista dell’integrazione, ma meno di sicurezza. Il timore è che la presenza dei russofoni possa essere usata dalla Russia per giustificare un’invasione, come è avvenuto in Ucraina. La Lettonia, per paura che la popolazione di lingua russa possa diventare una quinta colonna della Russia, ha attuato una strategia di zero tolleranza nei confronti delle simpatie per la guerra contro l’Ucraina, accompagnandola con programmi di lotta alla disinformazione, basati sulla consapevolezza che sulla popolazione di lingua russa la propaganda putiniana attecchisce con più facilità. Allo stesso tempo, dopo il febbraio 2022, Riga ha deciso di reintrodurre la leva obbligatoria con un servizio di 11 mesi per uomini dai 18 ai 27 anni. Nelle scuole invece è obbligatorio il corso di difesa nazionale. Il confine con la Russia è lungo 217 chilometri, per preparare la popolazione in caso di attacco la protezione civile ha stilato piani in caso di guerra o crisi ibrida, preparato la rete dei rifugi, elargito fondi per dotare quante più strutture possibili di ripari con un’autonomia di 72 ore. Come comportarsi in caso di attacco è spiegato in un manuale che le autorità hanno scritto sia in lettone sia in russo.

ESTONIA (Nato, Ue). Gli estoni sanno cosa guardare per monitorare le intenzioni di guerra dei russi: la base militare di Pskov. Ora è semivuota, ma se la guerra contro l’Ucraina dovesse finire alle condizioni imposte da Putin, allora i militari russi potrebbero tornare in quella base tanto vicina al confine estone e proprio da lì potrebbero partire per un’invasione, che potrebbe non essere massiccia come quella iniziata il 24 febbraio del 2022 contro Kyiv, ma lenta: una questione di rosicchiamento costante del territorio. Tallinn non ha dubbi che dopo l’Ucraina toccherà ai baltici e per questo sta preparando la popolazione con una campagna chiamata “Ole Valmis” (Tieniti pronto). Tallinn non ha mai smesso di credere che la guerra sarebbe potuta tornare e infatti non ha mai ritenuto opportuno eliminare la leva obbligatoria e nemmeno  di immagazzinare scorte nazionali strategiche da usare in caso di guerra. Oggi alla popolazione viene insegnato come reagire, come riconoscere le sirene che suonano in caso di attacco. I cittadini sono invitati a conoscere già i rifugi nelle vicinanze e tutto è spiegato nel manuale che è stato distribuito alla popolazione nel 2024, stampato in estone, russo, inglese e proposto anche in ucraino nella versione online. Anche i piani di evacuazione sono attivi, soprattutto nelle zone di confine, che in Estonia costituiscono una fonte di insicurezza non soltanto perché il vicino è la Russia, ma anche perché molte questioni di delimitazione sono ancora ambigue: percorrendo alcune strade fra Russia ed Estonia capita di trovarsi continuamente da una parte all’altra della frontiera e se, anche per un incidente, ci si ritrova dalla parte russa con una macchina estone, possono sorgere problemi seri. La forza simbolica del confine fra i due paesi si vede con tutta evidenza nella città di Narva, dove a dividere una parte dall’altra c’è soltanto il letto non troppo ampio del fiume omonimo della città estone. Prima, fare avanti e indietro da Narva alla prospiciente Ivangorod era abituale per gli abitanti delle due città, ora è complesso per questioni di sicurezza.

FINLANDIA (Nato, Ue). Nei prossimi mesi i legislatori finlandesi per la prima volta saranno costretti a eseguire un’esercitazione per usare il rifugio della protezione civile situato sotto l’edificio del Parlamento. Il bunker è dotato di una sala plenaria di riserva, dove è possibile tenere le sessioni parlamentari in circostanze eccezionali, come per esempio durante un attacco missilistico. Non è l’unico: il governo finlandese, sin dall’inizio della guerra su larga scala della Russia contro l’Ucraina, ha ripreso in mano le mappe delle infrastrutture di sicurezza esistenti durante la Guerra fredda: si parla di circa 50.500 rifugi capaci di proteggere fino a 4,8 milioni di persone – cioè quasi tutta la popolazione. La maggior parte sono privati, ma anche quelli pubblici in tempo di pace sono usati per altre funzioni (magazzini, sale d’intrattenimento) ma per legge devono essere resi disponibili e funzionanti, in caso d’emergenza, in 72 ore. Negli ultimi anni è stato molto rilanciato a livello istituzionale il concetto di “civil defence”, cioè l’idea che la protezione della popolazione non spetti solo all’esercito ma a tutta la società, e a gennaio 2024 il governo di Helsinki ha pubblicato le nuove linee guida nazionali per la pianificazione e l’esecuzione delle evacuazioni della popolazione in caso di guerra. Il documento, rivolto alle autorità statali, regionali e ai comuni, serve a uniformare i piani di spostamento dei civili sul territorio sulla base della legge sulla prontezza, coordinando chi decide, chi esegue e come vengono impiegate risorse e mezzi. In alcuni scenari, l’evacuazione può essere considerata una misura di protezione più probabile rispetto al semplice ricorso ai rifugi, perché i bunker non coprono in modo uniforme l’intero territorio e non tutte le aree sarebbero esposte allo stesso livello di rischio. I piani di evacuazione sono quasi tutti classificati. Circa un anno fa, il ministero dell’Interno ha pubblicato anche una nuova guida ufficiale per aiutare la popolazione a prepararsi. Le autorità raccomandano di mantenere in casa una scorta minima di acqua, cibo non deperibile e medicinali essenziali, inclusi i farmaci abituali e un kit di primo soccorso. Vengono considerati fondamentali anche alcuni strumenti di base, come torce e batterie di riserva, una radio a pile o a dinamo per ricevere comunicazioni ufficiali, power bank caricati, fiammiferi, candele e coperte termiche o sacchi a pelo. Le famiglie devono sapere dove riunirsi, come comunicare se le reti cadono, conoscere il rifugio antiaereo o il punto di evacuazione più vicino.

SVEZIA (Nato, Ue). A novembre il governo svedese ha presentato un documento informale per la creazione di un formato Nato per i ministri responsabili della protezione civile, perché “la protezione della popolazione e della società”, in caso di crisi, “sono diventate priorità strategiche per l’Europa”. Secondo i documenti, le istituzioni, insieme con le autorità locali, i gestori delle infrastrutture e i singoli cittadini devono essere pronti a far fronte a “eventi gravi” per proteggere vite, salute, e “la capacità della società di funzionare”. Già a marzo dello scorso anno la Swedish Civil Contingencies Agency (Msb), l’agenzia svedese per le emergenze, aveva pubblicato una versione aggiornata del manuale/opuscolo intitolato “In case of crisis or war”, che dà come indicazione un tempo di autonomia per famiglia di una settimana. Nello stesso periodo, il governo di Stoccolma ha investito circa 7,7 milioni di euro per ristrutturare i 64 mila rifugi esistenti, molti dei quali costruiti durante la Seconda guerra mondiale e la Guerra fredda, disseminati per città e paesi. In tempo di pace molti di questi rifugi vengono usati per altri scopi, ma secondo le nuove regole devono essere pronti all’uso in 48 ore. La ristrutturazione prevede anche che siano adattati alle minacce moderne, come per esempio l’aggiornamento dei filtri d’aria per la protezione da armi chimiche/radiologiche/nucleari. La Svezia è considerata a Bruxelles paese modello nel concetto del totalförsvar, cioè della “difesa totale”, che integra militare e civile. E  per questo, nel settembre dello scorso anno, insieme alle esercitazioni NSÖ 24, una simulazione organizzata dal Msb e dalle Forze armate, si è tenuta la CAMO24, guidata dalle Forze armate svedesi, che ha coinvolto oltre 150 partecipanti provenienti da 16 paesi, tra cui rappresentanti del centro di coordinamento medico della Nato e dell’Ue. Esercitazioni di questo tipo servono a capire come gestire i flussi di pazienti in caso di crisi collettiva e creare nuovi protocolli. 


DANIMARCA (Nato, Ue). A fine agosto del 2024 il governo Frederiksen II, presieduto dalla socialdemocratica Mette Frederiksen, ha creato un ministero della Resilienza e della Preparazione e la sua agenzia operativa, la Danish Resilience Agency (dalla quale dipende anche la Danish Emergency Management Agency, Dema), per dare un segnale ufficiale di cambiamento di paradigma in Danimarca: la protezione civile è stata così elevata a livello ministeriale, con mandato su emergenze, crisi, infrastrutture, sicurezza nazionale. Ma è cambiato qualcosa anche per la leva obbligatoria: in Danimarca il servizio militare è obbligatorio per tutti gli uomini, ma a partire dal 1° luglio 2025 lo è anche per le donne che compiono 18 anni da quella data in poi. Il sistema continua a basarsi soprattutto su volontari, ma prevede un sistema di lotteria qualora il numero degli iscritti non sia sufficiente a coprire il fabbisogno annuale che oggi è di circa 4.700 coscritti l’anno. Dal prossimo anno, inoltre, la durata del servizio militare verrà portata da quattro a undici mesi per tutte le nuove reclute. Di recente il governo ha firmato alcuni impegni di collaborazione con Svezia e Finlandia per promuovere una preparazione civile condivisa a crisi, disastri e scenari critici. A differenza dei vicini nordici, però, la Danimarca non ha reso pubblici piani di evacuazione o una rete strutturata di rifugi.

POLONIA (Nato, Ue). Il 15 novembre 2022 un missile ha colpito un impianto di essiccazione del grano nel villaggio polacco di Przewodow, uccidendo due persone. Per la prima volta, la guerra russa contro l’Ucraina aveva causato due morti in un paese della Nato e dell’Ue. Si era trattato di un missile della contraerea ucraina, lanciato per fermare uno dei pesanti attacchi di Mosca. La Polonia sente la guerra più di altri paesi, è bersaglio della guerra ibrida, della disinformazione, di droni e sabotaggi. Sul suo territorio Mosca ha costruito una vasta rete di spie anche per fermare le armi destinate all’esercito ucraino. Nonostante il conflitto per Varsavia sia quasi in casa, si è attrezzata meno di altri per rispondere a un eventuale attacco di Mosca e ora sta agendo con nuove leggi, formazione della popolazione in caso di guerra, campagne di informazione. Nel 2024 è stata approvata una norma sulla protezione civile e difesa della popolazione, potenziando le competenze del ministero dell’Interno che sta procedendo al censimento delle strutture di protezione come i rifugi e all’organizzazione di scorte. In Polonia non c’è la leva obbligatoria, anche se il dibattito per reintrodurla è sempre più rovente, ma è stato avviato un programma di addestramento volontario per i civili con l’obiettivo di creare una riserva ampia entro il prossimo anno. Il paese sente meno l’urgenza della leva obbligatoria perché è il terzo esercito più grande dell’Alleanza atlantica: con 216 mila militari attivi, viene dopo gli Stati Uniti e la Turchia, ma in caso di guerra sono comunque pochi. Non esistono ancora manuali per la preparazione dei civili in caso di emergenza, ma i militari vanno regolarmente nelle scuole per tenere lezioni sul pronto soccorso, il comportamento in caso di emergenza e l’uso dei rifugi. Anche l’attenzione alla disinformazione è diventata centrale nei percorsi scolastici: le operazioni di Mosca si sono rivolte con particolare attenzione a Varsavia. La Polonia studia l’Ucraina e prende appunti, è uno dei paesi che più ha speso in difesa (il 4,7 per cento del pil): si è armata negli anni come forma di deterrenza, ma il lavoro per preparare la popolazione in caso di attacco è appena iniziato.

GERMANIA (Nato, Ue).  In principio fu la “svolta epocale” dichiarata da Olaf Scholz all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina con 100 miliardi in più per le esauste casse della Bundeswehr, da anni collezionatrice di figuracce internazionali per il pessimo stato dei propri armamenti. Da lì è stato un crescendo – anche finanziario, con altri 500 miliardi promessi da Friedrich Merz lo scorso maggio – e ogni carro armato vecchio ceduto a Kyiv è stato sostituito, almeno sulla carta, con tre di ultima generazione. Un impegno di lunga durata in grado forse di rianimare un’economia depressa, tant’è che il primo produttore di armi tedesco, Rheinmetall, sta riadattando due suoi impianti, uno a Berlino l’altro a Düsseldorf, da componenti d’auto a componenti per carri armati, munizioni e satelliti da ricognizione. Mandato in pensione il vecchio slogan “Frieden schaffen ohne Waffen” (Fare la pace senza le armi), a inizio dicembre la Germania si è dotata dei primi tasselli del sistema di difesa missilistica a lungo raggio Arrow 3 di concezione israeliana. A Berlino servono poi 100 mila droni, 2 mila missili Patriot come scudo a breve raggio e un migliaio di missili (offensivi) da crociera Taurus. E ancora 1.000 carri armati Leopard (oggi ne ha 300) e 2.500 blindati da trasporto Boxer. Senza dimenticare le truppe. A novembre, il ministro della Difesa Boris Pistorius ha ricordato al Bundestag che lo zio Sam non difende più la Germania: “Dobbiamo rafforzare la nostra capacità di deterrenza e difesa perché nessuno lo farà per noi. E ci serve un nuovo servizio militare”. Oggi gli effettivi della Bundeswehr sono 180 mila ma la Nato chiede che domani passino a 260 mila mentre i riservisti devono quadruplicare da 50 mila a 200 mila. Il dibattito su come ripristinare la naja, sospesa nel 2011, divide la maggioranza. Presto tornerà obbligatoria la visita militare mentre la coscrizione dovrebbe restare volontaria. Il problema è anche culturale: due guerre mondiali combattute dalla parte degli aggressori hanno lasciato il segno in tanti tedeschi, che dei militari non si fidano troppo. Eppure, pensano alla guerra. Lo scorso agosto il ministro dell’Agricoltura Alois Rainer ha parlato anche delle scorte alimentari: farina e zucchero non bastano, servono anche prodotti pronti da scaldare, come i ravioli in scatola.

AUSTRIA (Non Nato, Ue). E’ un paese neutrale e, a differenza di Svezia e Finlandia, tale vuole restare. Lo ha ribadito lo scorso maggio l’allora neocancelliere Christian Stocker del partito popolare (Övp), al governo con socialdemocratici (Spö) e liberali (Neos) mettendo a tacere l’ultradestra (Fpö), amica di Mosca. Ma anche l’Austria, vicina all’Ucraina (600 km) e confinante con due paesi oggi amici dell’orso russo (Slovacchia e Ungheria), deve difendere la propria sovranità. Da cui il piano di Stocker per raddoppiare la spesa per la Difesa dall’1 per cento del pil oggi al 2 per cento nel 2032 senza dire di no allo scudo nucleare della Francia. Corsi e ricorsi della storia: Vienna si dichiarò neutrale nel 1955 per convincere l’Urss a ritirare le proprie truppe dal territorio austriaco.

SLOVACCHIA (Nato, Ue). La Slovacchia ha recentemente approvato una nuova procedura di registrazione per cittadini iscritti nelle liste civili, membri in servizio attivo delle Forze armate e di sicurezza, unità di soccorso, funzionari pubblici e militari appartenenti ad altre riserve, con l’obiettivo di assegnarli alle diverse componenti delle Forze di difesa nazionali. La partecipazione non è obbligatoria: il nuovo sistema prevede un addestramento di 20 giorni, seguito da dieci giorni in riserva attiva, con un’indennità di 3.000 euro per i partecipanti. Anche il presidente slovacco Peter Pellegrini e il ministro della Difesa Robert Kaliňák hanno preso parte simbolicamente all’addestramento previsto dalla legge. Bratislava ha inoltre approvato una nuova strategia nazionale per la gestione dell’asilo e della migrazione, che rafforza il controllo delle frontiere e introduce una procedura di asilo più rapida. La strategia punta soprattutto alla prevenzione degli ingressi illegali, alla semplificazione dei rimpatri per gli stranieri senza permesso di soggiorno, al contrasto del traffico di esseri umani e alla cooperazione con i paesi terzi, con un’enfasi particolare sulla capacità di risposta rapida in caso di crisi. Sono stati aggiornati anche i libretti di sopravvivenza per le famiglie in situazioni di emergenza: oltre all’inglese, ora sono disponibili nelle principali lingue minoritarie del paese, tra cui ungherese e ruteno. Sul fronte della protezione civile e della capacità di risposta, la Slovacchia ha rinnovato il proprio ospedale da campo, avviato una collaborazione con lo stato dell’Indiana (negli Stati Uniti) e inviato personale sanitario e amministrativo a un corso di formazione a Budapest. Un altro documento strategico esamina inoltre le possibilità di sviluppare un impegno nazionale nello spazio come nuovo ambito operativo.


REPUBBLICA CECA (Nato, Ue). Praga ha appena lanciato la più grande campagna informativa statale degli ultimi anni per rafforzare la preparazione e la resilienza della popolazione. Il cuore dell’iniziativa è il sito “72h”, dedicato alle prime 72 ore di un’emergenza – quelle che, secondo le autorità, sono decisive per la sopravvivenza e per evitare il caos. Il manuale spiega ai cittadini come comportarsi, come collaborare con le forze dell’ordine e, soprattutto, come non lasciarsi prendere dal panico. Il sito è disponibile in ceco, inglese e ucraino e offre numerosi materiali scaricabili su scenari diversi: come reagire in caso di aggressore armato, come comportarsi davanti a una mina inesplosa, cosa fare durante un’alluvione, un blackout prolungato o un periodo di siccità estrema. Il manuale è stato distribuito anche in formato cartaceo, direttamente nelle cassette della posta, ed esiste perfino una versione in lingua dei segni. Sul fronte della leva rimane una resistenza politica: il generale Karel Řehka ha più volte suggerito di valutare una forma di servizio obbligatorio per compensare la carenza di personale militare nonostante i numeri record di reclute degli ultimi anni. Nel frattempo, dopo il progetto pilota del 2024, la scorsa estate si è svolto il primo anno di addestramento militare volontario per studenti delle scuole superiori che abbiano compiuto 18 anni. Più di 600 studenti hanno già ottenuto lo status di riservista. Parallelamente, i riservisti sono sempre più integrati nelle unità di difesa territoriale: in caso di attacco, a queste unità spetterebbe la protezione degli edifici strategici e il supporto logistico alle forze alleate che dovessero transitare attraverso il territorio ceco. Secondo la ministra della Difesa uscente Jana Cernochová, il finanziamento della difesa, la pianificazione strategica e il sistema di supporto per i veterani sono finalmente stabilizzati.

ROMANIA (Nato, Ue). A novembre 2025 la Romania ha approvato la nuova strategia nazionale di difesa per il periodo 2025-2030, che prevede non solo un rafforzamento dell’esercito, ma anche una “aumentata resilienza nazionale” in risposta a un contesto di minacce crescenti come guerre, instabilità regionale e attacchi ibridi – la Romania è uno dei paesi più colpiti dallo sconfinamento dei droni russi. Secondo il governo, il paese non solo deve attrezzarsi “a gestire i rischi di un conflitto armato di portata e di lunga durata vicino ai confini”, ma è anche necessario “aumentare la capacità di combattimento dell’esercito romeno e accelerare la rivitalizzazione dell’industria nazionale della difesa”. Il ministro della Difesa, Ionuț Moșteanu, ha detto che l’obiettivo è che la Romania diventi la seconda potenza militare del fianco est, dopo la Polonia, e un fornitore di difesa nell’area del Mar Nero. A ottobre il governo aveva parallelamente approvato un disegno di legge per istituire un programma di addestramento militare volontario per uomini e donne tra i 18 e i 35 anni. Chi partecipa al corso, della durata base di quattro mesi, entrerà nella riserva operativa. I volontari riceveranno da 400 a 600 euro al mese, oltre a vitto e alloggio gratuiti, assistenza medica ed equipaggiamento militare e, al termine del corso, a ciascun partecipante verrà inoltre assegnato un bonus di circa 5.300 euro.

UNGHERIA (Nato, Ue). Nel 2022, l’Ungheria è stato uno dei primi paesi europei a votare dopo l’invasione su vasta scala contro l’Ucraina e il primo ministro Viktor Orbán ha svolto la campagna elettorale dicendo ai suoi cittadini che l’Ue avrebbe voluto trascinare gli ungheresi in guerra, ma lui non lo avrebbe permesso. Orbán ancora oggi accusa l’Ue di essere guerrafondaia e aderisce alla propaganda di Putin sulla pace necessaria perché l’Ucraina non può vincere. Con questi messaggi, il premier ungherese non avrebbe di certo potuto preparare la sua popolazione alla guerra e infatti, ancora oggi, nonostante la posizione e la storia di Budapest, il sistema di protezione civile si focalizza su disastri naturali, incendi, emergenze tecniche: la guerra non compare. La rete di bunker è vecchia e in disuso, gli spazi sarebbero 3.500, ai quali vanno aggiunti garage, parcheggi e seminterrati adattabili. Il servizio militare obbligatorio è sospeso dal 2004, esiste però un sistema di riserva volontario con corsi annuali per cittadini dai 18 ai 50 anni. L’unico obiettivo di Orbán che stride con il resto della sua politica riguarda proprio la riserva: c’è il progetto di espanderla.

BULGARIA (Nato, Ue). Intervenendo al Defense Forum di Sofia, all’inizio di novembre, il primo ministro bulgaro Rosen Zhelyazkov ha detto che il suo governo “è impegnato a rafforzare la libertà, la libertà come la intendiamo noi e come abbiamo cercato, con grande difficoltà, di costruire negli ultimi 36 anni”, e questo, secondo lui, si può fare solo difendendo l’Ucraina e un’Europa unita. Ma “le alleanze democratiche non riguardano solo la forza militare o economica. Riguardano la fiducia reciproca, la condivisione di informazioni, dati e tecnologie”. La Bulgaria era uno dei maggiori produttori di armamenti del Patto di Varsavia e sin dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina ha svolto un ruolo chiave nel riarmo di Kyiv, tenuto a lungo nascosto per paura di sabotaggi da parte della Russia. Ora l’Ue ha capito che le fabbriche di munizioni bulgare possono essere fondamentali per la riconversione agli standard Nato: alla fine di agosto il colosso tedesco Rheinmetall ha annunciato l’apertura di un nuovo stabilimento di munizioni in Bulgaria, con un investimento da un miliardo di euro. Il progetto sarà finanziato in parte anche con prestiti dell’Ue e realizzato insieme alla società statale bulgara VMZ Sopot. La Bulgaria ha abolito la coscrizione obbligatoria nel 2008, ma già nel 2020 aveva reintrodotto un’opzione di servizio militare volontario per i cittadini fino a 40 anni (sei mesi) e a marzo di quest’anno, anche per via della guerra in Ucraina, il governo ha presentato al Parlamento una riforma di addestramento militare obbligatorio per specifiche categorie professionali “che richiedono l’uso di armi”. Sul fronte della protezione civile, oltre alla rete pubblica di sirene, a ottobre il paese ha testato e introdotto il sistema BG-Alert, un sistema di allerta precoce che arriva direttamente sui dispositivi mobili in bulgaro e inglese. 

CROAZIA (Nato, Ue). A ottobre il Parlamento croato ha votato a larga maggioranza per reintrodurre il servizio militare obbligatorio dopo 17 anni. Nel 2008, un anno prima di entrare nella Nato, era stato abolito, ma “stiamo assistendo a un aumento di vari tipi di minacce, che richiedono un’azione rapida ed efficace da parte della comunità più ampia”, ha detto il ministro della Difesa Ivan Anusic. Dall’anno prossimo circa 18.000 uomini verranno arruolati ogni anno per due mesi di addestramento al compimento dei 18 anni e riceveranno uno stipendio di 1.100 euro al mese. Anche il piano pluriennale per la difesa appena varato include equipaggiamento e modernizzazione: parte del pacchetto include un sistema anti-drone (C-UAS), con unità fisse e mobili dedicate a proteggere infrastrutture critiche e lo spazio aereo nazionale. Zagabria ha anche approvato un piano per l’investimento di 410 milioni di euro nella protezione dai disastri entro il 2027: per allertare meglio e più rapidamente i cittadini in caso di pericolo, entro il 2028 verrà effettuata un’ampia modernizzazione del sistema di allerta ed è prevista anche la creazione di un sistema di gestione del rischio per le infrastrutture critiche.

SLOVENIA (Nato, Ue). La Slovenia ha abolito il servizio nazionale obbligatorio nel 2003 e per ora non sembra che stia prendendo in considerazione l’idea di reintrodurlo. E’ anche tra i paesi che spende meno per la difesa, ma prevede di raggiungere l’obiettivo del 2 per cento del pil fissato dalla Nato entro la fine dell’anno. Il governo di Lubiana ha presentato una nuova risoluzione sulla politica di difesa e sicurezza lo scorso maggio che si basa su cinque pilastri: maggiore spesa per le forze armate; rafforzamento dell’industria nazionale della difesa; infrastrutture dual use; capacità sanitarie civili-militari; ricerca e sviluppo, tecnologie spaziali e sicurezza informatica. Non ha però un “piano di guerra civile” pubblico, e dopo la Guerra fredda la Slovenia non avrebbe trascurato solo i finanziamenti militari, ma anche la rete dei suoi rifugi antiaerei: nonostante ne abbia parecchi, molti sarebbero inutilizzabili. Degli oltre 2.500 rifugi sparsi in tutto il paese, soltanto 245 soddisfano gli standard attuali.

GRECIA (Nato, Ue). Insieme a Polonia, Estonia e Lettonia, la Grecia è uno dei pochi stati membri della Nato che destina più del 3 per cento del proprio pil alla difesa. Ad aprile ha annunciato un piano di modernizzazione delle forze armate dal valore di 25 miliardi di euro: al centro del piano c’è la costruzione di un sistema di difesa aerea e anti-drone chiamato Achilles Shield, l’equivalente greco del sistema di difesa aerea nazionale israeliano, l’Iron Dome. Secondo i dati ufficiali riportati al Parlamento, la Grecia ha anche designato circa 2.892 siti come “shelter” sparsi su tutto il territorio nazionale, con una capacità complessiva dichiarata di 1.981.514 persone e la possibilità di aumentare tale capacità del 30 per cento se necessario. Le forze armate della Grecia sono una delle più grandi forze armate europee in termini di dimensioni in rapporto alla sua popolazione e per i greci il servizio militare è obbligatorio per tutti i cittadini maschi tra i 19 e i 45 anni.

MALTA E CIPRO (Non Nato, Ue). Malta non è un paese membro della Nato, nella sua Costituzione è stabilita la neutralità del paese in una “politica di non allineamento”. Nel 1995 ha aderito però al programma “Partnership for peace” (Pfp) dell’Alleanza, una cooperazione su temi come il soccorso umanitario, la sicurezza marittima e la gestione delle crisi, per questo le piace chiamare la sua neutralità “attiva”. E’ nell’Agenzia europea per la difesa, partecipa a missioni militari e civili e uno degli obiettivi nel documento strategico delle forze armate è la creazione di capacità militari dispiegabili. Negli ultimi anni il governo maltese ha annunciato un grande incremento degli investimenti nel settore della sicurezza. Anche Cipro, insieme a Malta, è uno dei quattro paesi membri dell’Ue a non essere membro della Nato. E’ l’unico però a non partecipare neanche al Pfp e soltanto lo scorso anno il presidente Nikos Christodoulides ha detto che l’isola potrebbe chiedere di aderire alla Nato una volta che le sue forze armate avranno ricevuto l’addestramento e l’equipaggiamento necessari, con il supporto degli Stati Uniti, per adeguarle agli standard dell’alleanza. “Il rafforzamento delle capacità di deterrenza della Repubblica di Cipro è della massima importanza”, ha detto Christodoulides. A gennaio inizierà la presidenza cipriota del Consiglio dell’Unione europea e l’isola ha già alzato tutti i livelli di sicurezza: quest’anno ha lanciato un periodo di “civil defence month” per educare la popolazione, migliorare la preparazione collettiva a emergenze e ampliare la rete di rifugi antiaerei. Dopo gli incendi di quest’estate, le autorità di Cipro hanno riconosciuto le carenze nel sistema di evacuazione. Il paese prevede il servizio militare obbligatorio per tutti i cittadini maschi di età superiore ai 18 anni. Dopo l’approvazione di una legge da parte del Parlamento ad aprile, anche le donne possono arruolarsi volontariamente.

FRANCIA (Nato, Ue). A luglio il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che “dal 1945 la nostra libertà non è mai stata così minacciata”, invitando i suoi concittadini a una “maggiore consapevolezza”, “ognuno deve essere al proprio posto di combattimento”. Negli ultimi mesi, la Francia ha moltiplicato le misure volte a rafforzare la propria resilienza militare, civile e digitale in vista di un potenziale attacco della Russia. Sul versante militare, Macron ha annunciato due settimane fa l’introduzione di un servizio militare volontario, che partirà nell’estate 2026: 3.000 giovani fra 18 e 25 anni per il primo anno, con l’obiettivo di arrivare a 50.000 allievi annui entro il 2035. Parallelamente è previsto un massiccio aumento della spesa per la difesa: dall’attuale 2 per cento del pil, Macron, al summit Nato tenutosi a giugno all’Aja, ha promesso un incremento fino al 3,5 per cento all’orizzonte 2035. Sul piano interno, Parigi, sull’esempio dei paesi scandinavi, ha appena sfornato un manuale di sopravvivenza intitolato “Tous responsables”. Il documento di 27 pagine spiega come organizzare un kit d’emergenza domestico per affrontare le prime 72 ore in caso di catastrofe naturale, epidemia, minaccia terroristica o conflitto armato. Tra le raccomandazioni, sei litri d’acqua a persona, cibo in scatola, una cassetta di pronto soccorso, vestiti pesanti, una radio con le pile, una lampada tascabile, denaro contante e una copia dei propri documenti. A luglio, in una direttiva, il ministero della Salute ha chiesto a tutti gli ospedali civili in Francia di attrezzarsi per gestire scenari di guerra, prevedendo che le strutture possano accogliere fino a 15.000 feriti militari in un lasso di tempo fra 10 e 180 giorni. Nella resilienza digitale, la Francia è all’avanguardia dal 2021, ossia da quando Macron ha creato Viginum, l’agenzia nazionale contro le ingerenze digitali straniere. Composta da una trentina di funzionari, tra cui ex 007, è un argine vitale contro i tentativi di destabilizzazione provenienti dalla Russia.

SPAGNA (Nato, Ue). La Spagna “non ha scuse, forse dovrebbe essere espulsa dalla Nato”, ha detto pochi mesi fa Trump sull’unica nazione dell’Alleanza a rifiutarsi di impegnarsi ad aumentare entro il 2035 la spesa per la difesa al 5 per cento del pil. Nel 2024, il suo bilancio militare si attestava a circa 17,2 miliardi di euro, pari all’1,24 per cento del pil del paese, il più basso tra i membri Nato. Il primo ministro Pedro Sánchez ha annunciato un piano di investimenti da 10,5 miliardi di euro per garantire il raggiungimento del 2 per cento del pil, perché è ormai ovvio che d’ora in poi “solo l’Europa saprà come proteggere l’Europa”, ha detto. Il piano, denominato Industrial and Technological Plan for Security and Defence, prevede fra le sue priorità il rafforzamento delle forze armate spagnole, l’assunzione di più personale, la modernizzazione dell’equipaggiamento e nuovi sistemi di comunicazione e difesa. Una parte significativa degli investimenti sarà destinata anche a “capacità dual-use”: infrastrutture e mezzi che possono servire in operazioni militari ma anche in emergenze nazionali (come calamità naturali ed emergenze belliche). Dopo il blackout di aprile che ha lasciato Spagna e Portogallo senza elettricità per quasi sei ore, Madrid ha anche approvato misure di rafforzamento del sistema elettrico, e non solo: dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina la costruzione privata di bunker in Spagna è aumentata del 200 per cento. Mentre il governo spagnolo sta predisponendo il primo piano nazionale concreto di protezione civile per contrastare il “rischio militare”, molte persone hanno iniziato a pensare a degli spazi sicuri nelle loro case. In Spagna ci sono solo quattro rifugi nucleari pubblici, per lo più situati nella capitale: la residenza del primo ministro spagnolo, il Palazzo della Moncloa, la base di Torrejón, il parco El Capricho e l’Hotel Ébora. Con circa 400 bunker privati stimati, per lo più eredità del periodo franchista ma mai davvero dismessi, la Spagna è ancora molto indietro rispetto a paesi come Francia e Germania.

PORTOGALLO (Nato, Ue). Come la Spagna, anche il Portogallo è tra i paesi Nato che nel 2024 non hanno raggiunto il 2 per cento del pil in spese militari. Soltanto pochi giorni fa il ministero della Difesa portoghese ha approvato un budget di 3,6 milioni di euro per rafforzare la capacità di “tactical cyber defence” del paese, con l’acquisto di shelter di comunicazione tattici da usare in potenziali scenari di crisi. Dopo il blackout, Lisbona ha approvato investimenti fino a 400 milioni di euro per rafforzare la rete elettrica nazionale, ridurre il rischio di blackout e aumentare la resilienza in caso di attacchi o emergenze. Il piano prevede anche di aumentare il numero di centrali con capacità “black-start” (cioè in grado di riavviare autonomamente la rete), per garantire la continuità di servizi essenziali anche dopo eventi gravi. A maggio ha lanciato un ambizioso programma di modernizzazione militare che durerà fino al 2034, il cui obiettivo è creare una forza moderna, interconnessa e di risposta rapida, equipaggiata per le minacce contemporanee. La scorsa settimana ha annunciato di aver richiesto 5,8 miliardi di euro in prestiti a basso costo nell’ambito del nuovo programma di difesa Ue Security Action For Europe (Safe), per potenziare le capacità delle sue Forze armate.

OLANDA (Nato, Ue). La tabella di marcia nei Paesi Bassi dipenderà dalla formazione del nuovo governo, ma si prevedono provvedimenti in linea con il percorso già tracciato: primo fra tutti, raggiungere l’obiettivo Nato sulla spesa del 3,5 per cento del pil per la difesa. Vorrebbe dire che le forze armate olandesi dovrebbero passare dagli attuali 80.000 effettivi a oltre 122.000 entro il 2030: se il processo dovesse rivelarsi troppo lento, si valuta l’ipotesi di un arruolamento obbligatorio selettivo sulla falsariga del modello svedese (un questionario da sottoporre a tutti i giovani adulti, poi arruolati in base alla motivazione nelle risposte). Nel frattempo, il ministero della Difesa sostiene di essere “già sotto attacco: digitalmente, tramite spionaggio e sabotaggio”. Per migliorare la reattività militare nell’immediato si sta dunque investendo sul numero di riservisti e delle unità addestrate. E’ in crescita anche la collaborazione coi partner civili, dalle aziende agli ospedali, dai comuni agli enti di ricerca, per mantenere i servizi essenziali in caso di conflitto militare: logistica, energia, telecomunicazioni, generi alimentari. Inoltre, attraverso la campagna pubblica Think Ahead, il governo olandese informa tutti i cittadini su come affrontare una crisi di lungo termine – dai cyberattacchi agli attacchi dal cielo: assicurarsi di avere un kit di emergenza, elaborare un piano d’azione, coinvolgere famiglie e vicini di casa. Tra i sistemi di allerta nazionale, da anni il primo lunedì del mese a mezzogiorno viene svolto in tutto il paese un test di sirene di allarme – per disastri naturali e minacce belliche – ora esteso anche tramite allerta telefonica. Questa settimana è stato distribuito nelle case di tutti gli olandesi un prontuario per prepararsi alle situazioni di emergenza, con istruzioni specifiche in base alla durata della medesima (da 2 a oltre 72 ore di interruzione di uno o più servizi essenziali). 

BELGIO (Nato, Ue). Il Belgio sta progressivamente aumentando la sua spesa militare, attorno ai 12-13 miliardi di euro annui. A questo proposito, nelle ultime settimane è stato approvato un disegno di legge per potenziare i numeri dell’esercito: dalle attuali 27.500 unità a 30.300 nel 2026, con un obiettivo di medio periodo di 34.500 soldati, 8.500 forze ausiliarie arruolate fra i civili – dall’anno prossimo inizierà anche il servizio militare volontario dai 17 anni in su – e 12.800 riservisti. Contestualmente, da giugno è stata intensificata la cooperazione con i Paesi Bassi in ambito marittimo “per continuare a contrastare l’aggressione russa”: il nuovo piano prevede acquisti e coordinamento congiunto di equipaggiamento, collaborazione industriale, rafforzamento del reparto tecnologico. In questi giorni sono stati inoltre annunciati massicci investimenti in ambito aerospaziale: il Belgio ha deciso di aumentare il proprio budget per l’Esa del 18 per cento nei prossimi cinque anni (1,1 miliardi di euro complessivi, un quinto dei quali stanziati dal ministero della Difesa). Un ulteriore segnale di mobilitazione.

LUSSEMBURGO (Nato, Ue). Il Lussemburgo seguirà le direttive Nato con alcune eccezioni avallate dalla Nato stessa. Qui la quota del 3,5 per cento di spesa per la difesa non viene calcolata sul pil ma in base al reddito nazionale lordo – a causa dell’inusuale economia del microstato – e più che in termini strettamente militari sarà focalizzata su ricerca e sviluppo nel settore tecnologico e dell’innovazione, con finalità di supporto agli altri eserciti dell’Alleanza. A sostegno della spesa, il ministero della Finanza ha avviato il procedimento per emettere uno speciale defence bond – il primo di questo genere in Europa, con scadenza a tre anni, da 150 milioni di euro. (segue a pagina quattro)

IRLANDA (Non Nato, Ue). Paese membro dell’Ue ma non della Nato, l’Irlanda ha sempre rivendicato la sua posizione di neutralità, nonostante il sostegno finanziario e politico all’Ucraina. Ma qualcosa sta cambiando. Solo una settimana fa, con l’arrivo a Dublino del presidente ucraino  Zelensky, alcuni droni sono stati intercettati nello spazio aereo che era stato chiuso per assicurare al leader ucraino tutte le misure di sicurezza. Molti iniziano a percepire che sebbene il fronte sia lontano, la guerra ibrida della Russia si avvicina: già un anno fa la nave spia militare russa Yantar era stata vista operare con dei droni in un’area che ospita infrastrutture sottomarine per l’energia e internet lungo il Canale della Manica e fino al Mare d’Irlanda. Dublino però resta il vero punto debole della difesa europea, dicono molti analisti: è il paese membro che investe meno nel settore (0,24 per cento del pil), continua a fare affidamento sulla Royal Air Force britannica per intercettare eventuali velivoli ostili e sulle notizie d’intelligence. Non esistono piani d’evacuazione nazionali specifici per scenari di guerra. All’assenza di minacce immediate contribuisce la posizione geografica, la storica neutralità e l’idea diffusa che un eventuale conflitto in Europa riguarderebbe prima altri paesi. La protezione civile è organizzata attraverso la Civil Defence, un corpo volontario che dipende dal ministero della Difesa, che di recente ha investito soprattutto nella risposta a rischi climatici e ambientali.

ALBANIA (Nato, candidato all’Ue). Il primo ministro Edi Rama è un tipo piuttosto ottimista, e all’inizio di novembre ha detto ad Al Jazeera che “la Russia non attaccherà l’Albania e non attaccherà nessun altro paese europeo”, perché “la Nato è pronta a qualsiasi tipo di aggressione e non ha nessuno e niente da temere perché è l’esercito più forte del mondo finora”. Eppure negli ultimi due anni Tirana ha avviato una trasformazione silenziosa e profonda della propria postura difensiva, pur essendo uno dei paesi Nato meno esposti sul fronte orientale. Anzitutto l’alleanza con Kosovo e Croazia: firmata quest’anno per rafforzare la cooperazione in materia di difesa e sicurezza, l’addestramento congiunto e la risposta alle minacce comuni, ha fatto non poco indispettire la Serbia che ha accusato i tre paesi di “provocare” tensioni. A fine novembre il Parlamento albanese ha approvato in linea di principio il bilancio della difesa per il 2026, che il ministro della Difesa Pirro Vengu ha descritto come “una svolta per la modernizzazione delle Forze armate, la rinascita dell’industria della difesa albanese e il rafforzamento delle capacità civili di emergenza”: nel budget c’è un aumento del 12 per cento rispetto al 2025, pari al 2,12 per cento del pil. Tirana punta a potenziare anche la protezione civile, con l’acquisto di due aerei antincendio e la costruzione di quattro nuovi centri di emergenza civile, ed è in corso una riforma della formazione delle forze di riserva militare che consentirà ai militari che scelgono una carriera civile di continuare comunque a servire nelle forze armate, assumendo incarichi specifici. L’obiettivo è di arrivare a circa 2.100 riservisti in grado di garantire una risposta rapida alle emergenze. L’Albania dispone pure di migliaia di bunker di cemento costruiti dal regime comunista di Enver Hoxha durante la Guerra fredda. Si parla di almeno 173.000 bunker censiti, la maggior parte dei quali, però, è abbandonata o riutilizzata in modi creativi. La preparazione della popolazione resta invece più legata a terremoti ed emergenze naturali che a scenari di guerra diretta.

REGNO UNITO (Nato, non Ue). “Il mondo è cambiato”, ha scritto Keir Starmer, premier britannico, nell’introduzione del documento strategico per la difesa pubblicato a giugno. “L’aggressione russa minaccia il nostro continente. La concorrenza strategica si intensifica. Le ideologie estremiste aumentano. La tecnologia sta trasformando la natura sia della guerra sia della sicurezza interna. Un’attività ostile è in corso sul suolo britannico”. Questo report è stato pubblicato a fine giugno, durante il vertice della Nato all’Aja, quando è stato deciso l’incremento delle spese al 5 per cento del pil; all’inizio di quel mese, per la prima volta dalla fine della Guerra fredda, il budget della difesa del Regno è aumentato invece che diminuire. L’esercito passerà da 76.000 a 79.000 soldati, sarà creata una nuova guardia interna a tutela delle infrastrutture strategiche, si prevedono 15 miliardi di sterline per sviluppare nuove testate nucleari lanciate dai sottomarini (all’interno dell’accordo Aukus, Londra costruirà 12 nuovi sottomarini a partire dal 2030), 1 miliardo in difesa aerea e missilistica, 6 miliardi in munizioni con l’apertura di sei nuove fabbriche di armi nel paese in modo da aumentare le scorte. C’è anche uno sforzo inedito per contrastare i cyberattacchi e le azioni di sabotaggio: bisogna ricordare che nel 2018 i russi hanno cercato di uccidere con un agente nervino, il Novichok, un ex colonnello disertore, Sergei Skripal, sul territorio britannico: dopo sette anni di indagini e molte ricostruzioni giornalistiche definitive, la Corte suprema britannica ha detto la scorsa settimana che quel tentativo di assassinio è stato fatto dai servizi russi su mandato di  Putin. Secondo la Difesa di Londra, uno degli obiettivi più strategici e per questo vulnerabili sono le fibre ottiche sul fondo del mare: il Regno Unito è l’hub più importante per le comunicazioni transatlantiche, ma al momento le capacità di monitoraggio della zona di competenza del paese sono al 25 per cento di quel che servirebbe, lasciando così più o meno indisturbate le navi-fantasma di Russia e Cina che navigano in queste acque cruciali.

NORVEGIA (Nato, non Ue). Alla fine di ottobre, come fa da molti anni, la Norvegia ha organizzato la sua settimana di autopreparazione che consiste nel controllare di avere in casa tutto quel che è necessario in caso di attacco, dall’acqua a una radio a manovella, fino ad aiutarsi a vicenda. “L’obiettivo è coinvolgere l’intera società”, ha detto Elisabeth Aarsæther, che guida la protezione civile norvegese (Dsb), perché se ognuno si prende un po’ di responsabilità e aiuta gli altri, il guadagno è ben più alto di qualsiasi investimento del governo. La Dsb si è inventata una parola nuova, che ovviamente è diventata parola dell’anno: beredskapsvenn, che è l’amico che ti aiuta a essere pronto. Gli “amici della preparazione” possono essere utili con il primo soccorso, un posto dove dormire, la spiegazione delle informazioni fornite dalle autorità, l’aiuto pratico nell’uso di attrezzature e strumenti, l’acquisto e il trasporto di cibo e altri beni di prima necessità, il prestito di un telefono e così via. Come dice la protezione civile norvegese: se un attacco cyber toglie le possibilità di comunicazione, non hai bisogno di un bunker, hai bisogno di un piano. Certo poi ci sono anche i bunker, gli investimenti, gli accordi di difesa con gli altri paesi: all’inizio di novembre, a Bodø, dentro una montagna tra il mare e il Circolo Polare Artico, c’è stata un’esercitazione della Joint Expeditionary Force, l’“alleanza del nord” guidata dal Regno Unito, ambientata a un anno da un cessate il fuoco ucraino, quando la Russia si sarà organizzata per un nuovo attacco. E’ il mare l’obiettivo più sensibile, sia per i mezzi militari sia per i cavi sottomarini, ed è proprio questa necessità che nel 2018 ha dato vita a questa alleanza.


ISLANDA (Nato, non Ue). L’Islanda, membro della Nato, non dispone di Forze armate e quindi non ha un bilancio della difesa (non è inclusa nel novero degli alleati con obiettivi percentuali di pil), ma con la guerra in Ucraina e l’intensificazione delle attività dei sottomarini russi intorno all’isola ha deciso di incrementare il suo impegno in materia di difesa e rafforzare la cooperazione Nato. Reykjavík, in particolare, sta ampliando un deposito di carburante della Nato nel sud-ovest del paese. L’opera è in fase di realizzazione a Helguvík, a circa 5 miglia dalla base aerea di Keflavík, dove dall’inizio del conflitto in Ucraina è basato un reparto di aerei da pattugliamento marittimo P-8 Poseidon della Us Navy e uno con aerei F-35A dell’Usaf. Durante la Guerra fredda, l’area dell’aeroporto di Keflavík fungeva da centro nevralgico della Nato per la sorveglianza e la difesa antisommergibile: il ritorno della minaccia russa attorno all’isola l’ha resa nuovamente strategica. Secondo quanto dichiarato nei giorni scorsi dal governo islandese, l’impianto di stoccaggio del carburante comprenderà un nuovo attracco e serbatoi in grado di contenere 25 mila metri cubi di carburante marittimo e sarà pronto entro il 2029. “L’Artico non è una regione remota o isolata: è un’arena centrale per la sicurezza globale”, ha detto la ministra degli Esteri islandese Þorgerður Katrín Gunnarsdóttir. L’annuncio dell’ampliamento del deposito di carburante della Nato ha coinciso con una visita a Reykjavík del segretario generale della Nato Mark Rutte, durante la quale ha sottolineato l’importanza strategica dell’Islanda per la sicurezza transatlantica. Reykjavík si è inoltre impegnata a versare 30 milioni di dollari l’anno di aiuti militari e umanitari all’Ucraina.

MOLDAVIA (Non Nato, candidata all’Ue). Nonostante sul territorio moldavo si trovi uno dei più grandi depositi di armi russe (fuori dalla Russia), nonostante più di mille soldati russi stazionino nella regione della Transnistria per proteggere il deposito, nonostante la vicinanza all’Ucraina e soprattutto nonostante la Transnistria reclami la sua indipendenza dal governo di Chisinau e viva come un territorio separatista connesso alle idee e ai piani di Mosca, la Moldavia non ha un piano di difesa e allerta per la popolazione appositamente pensato in caso di guerra e di attacco. Non è raro che i cieli della Moldavia vengano violati dai droni di Mosca, ma a causa del suo passato e di una sua promessa di neutralità, la Moldavia è molto indietro e risulta impreparata in caso di attacco. C’è la leva obbligatoria, che è stata reintrodotta dopo il 2018, ma le guide della protezione civile si basano su emergenze climatiche e sanitarie, con poche specificazioni riguardo alla guerra. Non c’è un programma esteso per le reti dei bunker, né manuali distribuiti alla popolazione con le regole da seguire in caso di attacco. Chisinau però si sta muovendo soprattutto per contrastare la disinformazione, che costituisce una minaccia costante di instabilità nel paese.

SVIZZERA (Non Nato, non Ue). Dinanzi all’aggressività della guerra ibrida russa, anche la neutrale Svizzera si è scoperta vulnerabile e ha deciso di rafforzare la sua difesa contro la minaccia esistenziale rappresentata da Mosca. L’esercito svizzero, come deciso dal Consiglio nazionale, la camera bassa del Parlamento elvetico, avrà a disposizione quattro miliardi di franchi in più per il periodo 2025-2028, per un totale di 29,8 invece dei 25,8 proposti dal Consiglio federale: un supplemento di spesa che permetterà di investire nella difesa l’1 per cento del pil entro il 2030. La Confederazione svizzera ha ordinato inoltre 36 aerei da combattimento F-35A e i sistemi di difesa aerea Patriot, entrambi di produzione americana, per migliorare entro il 2030 la propria resilienza militare. I primi otto F-35A verranno forniti dal produttore statunitense Lockheed Martin nel 2029. A ottobre Berna ha annunciato anche l’intenzione di acquisire un sistema di difesa specifico contro i mini-droni: una decisione dettata dalla proliferazione di avvistamenti sospetti sopra aree e infrastrutture militari. La risposta della Svizzera non si limita all’esercito: è stata potenziata la protezione civile con nuovi investimenti e la riqualificazione di infrastrutture sotterranee. Il paese è dotato di circa 370.000 rifugi privati e pubblici, sufficienti per garantire un posto a ciascuno dei quasi 9 milioni di abitanti. A partire dal 2026 è previsto un piano di ammodernamento dei rifugi: 200 grandi rifugi pubblici verranno ristrutturati con un budget di 276 milioni di dollari su 15 anni. Accanto a ciò è in programma il rinnovo dei sistemi di ventilazione e filtraggio nelle strutture più vecchie, grazie a un fondo da circa 1,2 miliardi di dollari.
 

 

a cura di Paola Peduzzi, Micol Flammini, Giulia Pompili, Priscilla Ruggiero. 
Hanno collaborato Francesco Gottardi, Daniel Mosseri, Bohumil Petrík, Mauro Zanon

Di più su questi argomenti: