i crimini del cremlino
L'arcipelago gulag dei bambini ucraini fra Russia, Bielorussia e Corea del nord
I campi di "rieducazione" sono almeno 165. Servono a russificare e militarizzare i minorenni rapiti dai territori dell'Ucraina occupata. L'asse ideologico fra Mosca e Pyongyang
In un voto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite su una risoluzione per chiedere il ritorno dei bambini ucraini rapiti da Mosca nei territori occupati, novantuno paesi hanno votato a favore, dodici contro e cinquantasette si sono astenuti. La risoluzione è passata, ma il numero delle astensioni colpisce: in tutto sono sessantanove i paesi all’Onu che non ritengono di dover chiedere la restituzione di minori portati via con la forza, introdotti in orfanotrofi o in famiglie russe, soggetti a russificazione forzata, violenza fisica e psicologica, senza sapere cosa ne sia stato delle loro famiglie di origine.
Le vittime dei rapimenti di Mosca sono 19.546, secondo l’associazione Bring kids back, che tiene conto dei bambini di cui si conosce la storia, di cui si sanno nomi e cognomi. Poi ci sono gli incerti, bambini scomparsi, inghiottiti nel nulla, rimasti senza famiglia e se vengono aggiunti questi puntini incerti, allora il numero dei bambini deportati, secondo fonti aperte, potrebbe superare i 700.000. C’è un sito del governo ucraino dedicato ai bambini vittime della guerra, vengono aggiornati i dati degli scomparsi, dei rapiti, degli uccisi, delle vittime di violenza sessuale. Compare anche il numero di chi fa ritorno: troppo pochi, soltanto 1.890 sono stati rimandati dalla Russia in Ucraina. Ieri negli Stati Uniti, mentre l’Onu votava, davanti a una sottocommissione del Congresso americano è intervenuta Kateryna Rashevska, esperta legale del Centro regionale ucraino per i diritti umani. Rashevska ha portato con sé una nuova inchiesta che svela come l’asse per rifornire l’esercito russo, rimpinguarlo di armi e soldati, funziona anche per torturare i bambini ucraini.
Il Centro regionale per i diritti umani ha documentato l’esistenza di centosessantacinque campi di rieducazione in cui i minorenni vengono militarizzati e russificati. La scoperta è nell’estensione di questo arcipelago gulag popolato da bambini ucraini, ma anche nel fatto che questo gulag non si trova soltanto sul territorio russo o nelle zone che Mosca occupa, ma si estende anche in Bielorussia e in Corea del nord, due paesi che partecipano alla guerra del Cremlino contro gli ucraini. Si legge nelle pagine presentate da Rashevska al Congresso: “Misha, 12 anni, proveniente dalla regione occupata di Donetsk, e Liza, 16 anni, proveniente da Sinferopoli, furono inviati nel campo di Songdowon in Corea del nord, a novemila chilometri da casa. Ai bambini veniva insegnato a ‘distruggere i militaristi giapponesi’ e sono stati organizzati incontri con veterani coreani che, nel 1968, attaccarono la nave della Marina statunitense Pueblo, uccidendo e ferendo nove soldati americani”. Le pagine presentate dal Centro regionale per i diritti umani sono piene di dettagli importanti. Viene descritto come a diciassette anni, ai ragazzi venga imposto l’arruolamento nell’esercito russo, oppure, se si rifiutano, vengono etichettati come estremisti, terroristi o “portatori di ideologia distruttiva”. Nel 2024 solo nella regione di Luhansk, ottantasette bambini sono stati mandati in “centri di riabilitazione sociali”, e settantasei in “istituti psichiatrici per trattamenti forzati”. Sono spesso bambini che scompaiono, vengono risucchiati da Mosca in un sistema che travalica i suoi confini. Il fatto che Bielorussia e Corea del nord siano disposti ad aiutare il Cremlino non soltanto nella guerra ma nel portare avanti anche la sua idea di cancellazione dell’identità ucraina tramite la deportazione dei bambini mostra come l’asse che Mosca ha costruito in questi anni va ben oltre l’economia, supera anche la collaborazione militare, ma è la costruzione di un sistema ideologico la cui potenza e vastità non sono ancora state riconosciute.
I funzionari del Cremlino parlano apertamente del trattamento riservato ai bambini ucraini. La commissaria russa per i diritti dell’infanzia, Maria Lvova Belova, ha recentemente raccontato in un’intervista della sua esperienza con l’adozione di un bambino ucraino che proprio non voleva togliersi dalla testa la sua provenienza. Parlava soddisfatta dei risultati ottenuti: ora il bambino parla russo, non menziona il suo passato, è proprio come lo vuole il regime.