Ansa

Spagna in bilico

Sánchez resiste agli scandali e rilancia il patto con Junts, ma per ora senza successo

Marcello Sacco

Tra le indagini che hanno colpito il suo partito e le manifestazioni del Pp di Feijóo, il premier prova a tenere unita una maggioranza sempre più instabile e minacciata dall'ascesa dei radicalismi, come Vox e Aliança Catalana, il partito nazionalista radicale di Sílvia Orriols

Madrid. Dopo l’arresto dell’ex ministro socialista José Luis Ábalos e del suo braccio destro Koldo García, per i quali la Corte suprema ha approvato il carcere preventivo in un’inchiesta per tangenti sull’acquisto di mascherine durante il Covid, il Partito popolare (Pp) spagnolo è passato al contrattacco in piazza, con una manifestazione che domenica scorsa ha riunito a Madrid decine di migliaia di persone. Alberto Núñez Feijóo, presidente del Pp, ha detto di parlare in nome di una Spagna “stufa” della corruzione del governo e del “sanchismo”, inteso come il sistema di potere del premier Pedro Sánchez. Ha evitato di usare la parola mafia, ma il motto della manifestazione lasciava poche alternative: “Mafia o democrazia?” Uno slogan in cui sguazza tanto populismo giustizialista, è vero, ma va detto che Sánchez ha fatto poco per evitare il pantano.

 

Ábalos, Koldo e Santos Cerdán – uscito dal carcere il 19 novembre, ma ancora indagato – erano i pilastri di quel “sanchismo” che, prima di governare il paese, ha dovuto riconquistare il partito socialista dopo una crisi interna. Ábalos e Cerdán sono stati, fra l’altro, i potenti segretari amministrativi del Psoe. E un’altra figura chiave dietro le quinte, Francisco Salazar, stava per diventarlo a giugno, quando diverse funzionarie/compagne lo hanno accusato di molestie sessuali. Per denunciarlo sono ricorse agli organi di controllo interni al partito, e il partito (la notizia l’ha lanciata questa settimana il quotidiano digitale eldiario.es) non solo non ha mosso un dito in sei mesi, ma pare addirittura che le denunce siano scomparse dalla piattaforma informatica dove erano depositate. Il Psoe smentisce, ma chissà che effetto farà nella Spagna del motto “hermana, yo sí te creo” e del “beso” di Luis Rubiales alla calciatrice Jennifer Hermoso che costò la carriera all’ex presidente della Federcalcio.

 

Intanto qualcosa si muove anche nei cosiddetti “salotti buoni”. Venerdì scorso il leader del Pp è andato a Barcellona a parlare in un convegno del Foment del Treball, la Confindustria catalana. “Non mi manca certo la volontà di presentare una mozione di censura”, ha detto Feijóo agli imprenditori catalani, “mi mancano i voti”. E se mai il riferimento fosse poco chiaro, Feijóo lo ha esplicitato: “So che molti di voi in questa sala votano Junts”. Ossia il partito indipendentista che ha annunciato la fine dell’accordo politico con il governo Sánchez e che poco dopo, con Pp e Vox, ha bocciato il Programma di stabilità, preludio a un altro anno senza una Finanziaria (l’ultima è del 2023). Junts, però, non sosterrà una mozione che farebbe cadere il governo, perché dicono di non appoggiare “nessun partito spagnolo”.

 

La risposta di Sánchez alle avance di Feijóo agli imprenditori catalani è arrivata all’inizio di questa settimana. Il governo ha approvato un decreto che accoglie una parte delle richieste di Junts: provvedimenti per facilitare e flessibilizzare gli investimenti degli enti locali, ampliare il termine per promuovere la digitalizzazione nelle imprese. “Mi assumo la responsabilità delle inadempienze e dei ritardi che Junts ha criticato”, ha detto il capo del governo. Ma è robetta per la Catalogna che vuole una profonda revisione del sistema fiscale, il controllo assoluto sulle quote migratorie e un’amnistia totale che permetta anche al suo leader Carles Puigdemont di rimpatriare (ma dipende dalla Corte costituzionale, che non l’ammette per il reato di appropriazione indebita) e il catalano fra le lingue ufficiali dell’Ue (ma dipende… dall’Ue).

 

Il povero Sánchez che si arrabatta fra le pretese più esose degli alleati fa quasi pena. L’ultima sberla gliel’ha data la portavoce di Junts, Míriam Nogueras, che mercoledì ha detto ancora “no” al governo, compiacendosi del fatto che i “partiti spagnoli” non vanno da nessuna parte senza i catalani. Né con il governo né con l’opposizione maggioritaria di Pp e Vox. Ma forse è proprio qui la chiave di volta che chiude e regge ancora la fragile cupola di Sánchez: se si andasse alle elezioni anticipate, i principali partiti in gioco avrebbero un concorrente più populista ed estremista pronto a scavalcarli. Il Pp difficilmente governerebbe senza Vox, che per i catalanisti è il peggiore interlocutore e in Catalogna potrebbe addirittura sorpassare i popolari.

 

Ma il sorpasso più temuto è un altro. Nella culla di Junts i sondaggi danno in crescita Aliança Catalana, il partito nazionalista radicale di Sílvia Orriols, contrario a ogni tipo di “invasione”, maghrebina o castigliana che sia. Vogliono l’autoproclamazione dell’indipendenza, quella che Puigdemont fece nel 2017. E poi fuggì.