quale pace?

La regola russa: con Kyiv non si negozia

Micol Flammini

Mosca si rifiuta di trattare, detta la linea e dice che le proposte di Ginevra sono inammissibili. Le reazioni del Cremlino dopo giorni di silenzio e la base per ogni accordo futuro: “O tutto o niente”

Il sito russo The Insider ha preso il vecchio piano di Istanbul, proposto dai russi nel 2022 come condizione per fermare l’invasione dell’Ucraina, e i ventotto punti che la scorsa settimana hanno fatto irruzione nella diplomazia mondiale. Il giornale online, conosciuto soprattutto per le inchieste sull’intelligence di Mosca, ha analizzato le due proposte punto per punto e ha concluso che dopo tre anni e mezzo di guerra i russi vogliono ancora di più dagli ucraini e il piano redatto dall’inviato di Trump Steve Witkoff, e dall’uomo d’affari russo, Kirill Dmitriev, è ancora più punitivo per Kyiv rispetto a quello presentato a Istanbul. La differenza non la fa la situazione sul campo di battaglia, ma la sicurezza dei russi di avere a Washington un’Amministrazione compiacente. Non è una questione di fronte e conquiste, bensì di rapporti personali, tanto che la Russia è certa di poter prendere di più pur avendo fallito nel suo piano di arrivare a Kyiv e rovesciare il governo ucraino. Le più grandi differenze stanno nelle questioni economiche e nella pretesa del riconoscimento americano della sovranità russa sulle regioni ucraine di Crimea, Luhansk e Donetsk. L’analisi di The Insider dimostra che i russi si sentono più sicuri di ottenere con la diplomazia quello che non hanno ottenuto sul campo di battaglia.

 

Ieri, alla fine dei colloqui a Ginevra, organizzati per discutere la revisione dei ventotto punti, sia gli americani sia gli ucraini hanno detto che l’incontro era stato produttivo. Era iniziato molto male, la tensione accumulata con giorni di fughe sui media con i dettagli del piano rischiava di sabotare gli sforzi ma, secondo il Financial Times che ha parlato con Sergiy Kyslytsya, viceministro degli Esteri dell’Ucraina, presente  a Ginevra, alla fine è stato redatto un nuovo piano in diciannove punti, lasciando ai presidenti di Stati Uniti e Ucraina il compito di discutere i dettagli più sensibili.


 Accade spesso, quando circolano piani di pace o voci di un possibile incontro fra Donald Trump e Vladimir Putin, che i russi siano gli ultimi a parlare. E’ andata così anche questa volta. Nonostante il piano in ventotto punti presentasse pesanti tracce russe e probabilmente è stato lo stesso Dmitriev a parlarne per primo alla stampa internazionale per mettere pressione a Kyiv, colpita dallo scandalo sulla corruzione, il Cremlino è rimasto in silenzio. Ha iniziato a parlare con molta vaghezza quando la posizione americana di totale adesione alle richieste russe sembrava ormai irreversibile e in quel momento Vladimir Putin si era limitato a dire che la bozza era una buona partenza, ma ci sarebbe voluto del tempo. Dopo le proposte europee, sulla stampa russa iniziava a vedersi l’impronta dei temniki, qualcosa di più di una velina, vere istruzioni che le istituzioni distribuiscono alla stampa russa. Ieri i giornali russi erano tutti contrari al piano, definito inaccettabile e sporcato dagli ucraini e dagli europei. Due quotidiani, l’Izvestia e la Rossiyskaya Gazeta avevano anche lo stesso titolone: “Plan ili propal”, gioco di parole da un modo di dire russo che possiamo tradurre come “O tutto o niente”. Poi ha iniziato a parlare il Cremlino, nella persona di Yuri Ushakov, il consigliere di Putin per la politica estera, che ha descritto le proposte europee come incompatibili con gli interessi di Mosca. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov,  ha poi  escluso che un incontro fra russi e americani avverrà questa settimana, come aveva lasciato intendere invece la Casa Bianca.  Per Mosca, quello con Kyiv, non deve essere un negoziato. Vuole una resa e non cambierà idea soprattutto se a Washington c’è  un fidato inviato di Trump digiuno di diplomazia che scrive piani a quattro mani con un funzionario russo. Il piano è stato ribattezzo da osservatori europei e americani Dim-Wit. Sono le prime lettere dei due cognomi, ma se unite formano la parola dimwit, in italiano: idiota. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)