Ansa
l'analisi
La guerra cognitiva è alle porte
Una competizione che mira all’influenza sulle menti di élite politiche, finanziarie e militari, e pure delle grandi masse di cittadini. Putin la conosce bene, e la Cina è la più forte. L’Italia e l’Europa devono attrezzarsi. Gli strumenti possibili
La settimana scorsa Carlo Alberto Carnevale Maffè ha giustamente richiamato sul Foglio la nuova dimensione della guerra prepotentemente affermatasi negli ultimi anni, praticata a spron battuto dalle potenze autoritarie. Oltre alle cinque dimensioni multidominio tradizionali del conflitto, su terra, mare, cielo, spazio e cyber, la sesta dimensione è del dominio cognitivo. Ed è quella su cui Europa e Italia sono ancor più impreparate rispetto alle altre cinque, su cui pure la feroce guerra portata dalla Russia all’Ucraina ci ha abbondantemente confermato l’inadeguatezza delle nostre dotazioni, strategie e dottrine operative. Poniamoci allora un duplice problema. Primo: capire in che cosa consista, la lotta per il dominio cognitivo. Secondo: che cosa possono e devono fare Italia ed Europa. Pensando certo anche alla Nato, ma realisticamente prendendo atto che con Trump la Nato è alla mercé dell’ideologia e della prassi trumpiana che considera pace e guerra in ottica mercantilista. Come ha detto due settimane fa l’improbabile segretario alla Difesa Usa Pete Hegseth usando non a caso una metafora immobiliare, “l’occidente è il vicinato degli Stati Uniti, spetta agli Stati Uniti decidere come e se difenderlo secondo i propri interessi”. Ogni concezione di valori comuni e di leale cooperazione tra alleati tramonta, quando per gli Usa impadronirsi di parte delle terre rare del Donbas significa riconoscere a Putin tutte le sue pretese territoriali e di umiliazione dell’Ucraina.
Prima di una rapida cavalcata su come cinesi, russi e americani operino nella “guerra cognitiva”, qualche esempio concreto. Quando il presidente polacco Karol Nawrocki, eletto il giugno scorso, pronuncia a sorpresa tre settimane fa un discorso in cui ammonisce “la Polonia non sarà più burattino delle fortissime pressioni che riceve dall’occidente” e non dice parola su Putin e Ucraina, non sta solo smentendo brutalmente la linea opposta seguita dal governo polacco di Tusk cui oppone il suo diritto di verto, vicino com’è al PiS sovranista che ha perso le ultime elezioni politiche. Sta facendo guerra cognitiva per alterare la percezione dei polacchi sulla minaccia russa, e semina incertezza sul coraggioso e oneroso riarmo polacco come sul sostegno militare offerto all’Ucraina. E lo fa proprio mentre i servizi polacchi accertano che il mancato attentato su una importante linea ferroviaria polacca è stato organizzato dai servizi russi, che allo scopo hanno assoldato due ucraini dei territori occupati, dando loro C4 militare e appoggio logistico facendoli entrare in Polonia dalla Bielorussia. Quando in Germania il presidente federale Steinmeier tiene due coraggiosi discorsi contro Putin e contro chi in Germania attacca i valori costituzionali dimenticando che secondo le leggi tedesche quel partito può essere sciolto, e in risposta l’organizzazione giovanile di AfD lo attacca come “marionetta di Zelensky” e “propagandista del riarmo di cui la Germania non ha bisogno”, i giovani sovranisti neonazisti fanno guerra cognitiva pro Putin. Quando in Italia i Vannacci e i Savoini riprendono in grande stile la propaganda russa secondo cui Europa e Nato continuano a mentire, la Russia in Ucraina sta solo difendendosi e dobbiamo smetterla di considerare Putin un autocrate sanguinario, stanno facendo anch’essi guerra cognitiva. Come Salvini e Conte, sempre contrari al sostegno a Kyiv e al riarmo italiano ed europeo. Come la fanno nel movimento Maga trumpiano esagitati estremisti come Nick Fuentes e Tucker Carlson, che alla condiscendenza verso Putin aggiungono brutali toni antisemiti.
Ma che cos’è, la guerra per il dominio cognitivo? La letteratura degli studiosi di mililtar affairs si è infittita, negli ultimi vent’anni. Anche in occidente. Ma in realtà a praticarla davvero come dottrina militare operativa sono solo cinesi e russi. In ambito occidentale, una delle figure “seminali” per elaborare il concetto di sesto dominio cognitivo dei conflitti è François du Cluzel, ufficiale francese della cavalleria blindata da ricognizione assegnato 12 anni fa al Satca, la sezione del Comando supremo Nato dedicata alla “guerra trasformativa”, dove diede vita all’Innovation Hub dell’Alleanza. La sua definizione di guerra cognitiva è la competizione che mira non più all’obiettivo dei mezzi militari sempre più avanzati per i cinque domìni tradizionali, bensì all’influenza sulle menti di élite politiche, finanziarie e militari, nonché delle grandi masse di cittadini, al fine di condizionarne capacità di valutazione e percezione dei rischi, nonché di consenso ed efficacia delle reazioni da porre in atto. E’ una concezione che ispira i paper pubblicati in materia negli ultimi due anni dal Satca. Ma fa a pugni col fatto che gli Usa in realtà dopo la Guerra fredda smontarono tutte le principali iniziative che Pentagono, Cia, Fbi, Nsa e Segreteria di stato avevano alimentato per decenni contro quelli che venivano dichiarati malign information efforts della Russia sovietica. Anche se istituti come Rand e Council of Foreign Relations hanno svolto molte ricerche in materia, nei Journal che pubblicano i saggi ufficiali delle forze armate americane i contributi sul sesto dominio dei vertici militari sono rari. Domina ancora la dottrina della “guerra netcentrica” che si affermò ai tempi bushiani dei Neocon per colmare il ritardo tecnologico con la Cina, rispetto alla dimensione cognitiva che viene considerata un semplice sviluppo della vecchia propaganda, solo più efficace grazie alle tecnologie odierne dell’informazione che consentono influenze in vasta scala. In Russia, il dominio cognitivo a scopi militari è diventato sempre più importante con Putin. La prima conferma ufficiale all’elaborazione della nuova dottrina russa venne dieci anni fa dal capo di stato maggiore della Difesa Valery Gerasimov, ancor oggi in carica malgrado il clamoroso insuccesso russo in Ucraina. “Il ruolo e l’efficacia del dominio cognitivo per perseguire gli scopi strategici e militari della Russia si rivelano sempre più utili della stessa efficacia capacitiva delle nostre armi tradizionali”, disse nel 2016. Ma i contributi dottrinari russi sono scarsi, visto il riserbo assoluto che Mosca adotta su tutte queste operazioni affidate in realtà al Gru, il suo servizio di intelligence militare. Si devono soprattutto all’Isw, l’Institute for Study of War, le ricerche più accurate su quanto si sia sviluppata nell’ultimo quindicennio da parte russa la capacità di influenzare l’occidente attraverso falsi siti informativi, attacchi cyber con mercenari privati, arruolamento di influencer e politici, campagne pre elettorali, sistematiche falsità su successi e potenza delle forze armate russe, nonché mistificato e sistematico ampliamento di percezione dei danni alle economie occidentali per le sanzioni adottate alla Russia.
La Cina è su un altro pianeta, rispetto al negazionismo americano e ai metodi cekisti della Russia. La “nuova guerra cognitiva” entra nella dottrina ufficiale delle “Tre guerre” già a partire dal 2002, e da allora sono innumerevoli le pubblicazioni di alti ufficiali cinesi curate e attentamente promosse e sorvegliate sotto la regia del Comitato politico per le forze armate del Comitato centrale del partito. Lo sviluppo della dottrina partì e si è sempre sviluppato come strumento principale per influenzare cittadini, politici e militari di Taiwan al fine di distoglierli da qualunque ipotesi di difesa militare contro lo strapotere cinese. Ma si è presto allargato alla geopolitica mondiale, mettendo a punto strumenti e campagne sempre più raffinate come braccio operativo della geopolitica commerciale e militare cinese. Per le forze armate cinesi si stima lavorino circa 50 mila specialisti non solo in cyberwar e infowar, ma collegati direttamente ai più avanzati progetti di ricerca in materia di bio resiliency, neurobiologia, neurochimica, potenziamento e influenza delle facoltà cerebrali. Nessun’altra potenza mondiale può contare su centinaia e centinaia di milioni di wererable tech devices utilizzati da residenti per testare campagne d’influenza di ogni tipo, E da circa 15 anni le maggiori esercitazioni militari cinesi comprendono regolarmente una parte riservata di dominio cognitivo. La Cina è oggi l’unica potenza al mondo capace di inondare – se servisse – popolazioni e media occidentali di immagini prodotte da AI avanzata in tempi pressoché reali, su avvenimenti collegati a sicurezza e difesa, si tratti di centrali e reti infrastrutturali terrestri e marine, come di eventi o conseguenze economiche e sociali determinate dalla volontà di opporsi alle pretese cinesi.
Tutto questo spiega perché ha ragione il presidente Mattarella ad aver convocato il Consiglio supremo di Difesa non solo per valutare quanto accade in Ucraina e a Gaza, ma anche sulla dimensione dell’offensiva portata all’Europa e all’Italia nel dominio cognitivo. Tutto questo spiega perché ha ragione il ministro Crosetto ad aver portato a quella riunione un documento che attesta inequivocabilmente la portata della campagna in corso contro l’Italia. Tutto questo spiega perché Crosetto ha ragione nel chiedere che cinquemila nuovi tecnici e specialisti siano reclutati nelle forze armate con le competenze nuove necessarie a rispondere a queste minacce. Tutto questo spiega perché ha ragione anche il capo di stato maggiore della Difesa francese, generale Fabien Mandon, quando dice “prima di pensare al muro di droni per contrastare la Russia dobbiamo partire dalla domanda essenziale, che è se davvero pensiamo di continuare a credere che non valga sacrificare un solo uomo per la nostra difesa, esattamente ciò che pensano oggi di noi le potenze autoritarie”. Potenze che non si accontentano di controllare ferocemente la propria popolazione e il suo dissenso, ma hanno “armato” una pluralità di strumenti algoritmici e neurali contro le società occidentali.
Conclusione. L’ex capo di stato maggiore della Difesa italiana, ammiraglio Cavo Dragone, si rese perfettamente conto della necessità di munirci di difese appropriate sul sesto dominio. E decise che l’Ufficio generale Innovazione Difesa dello stato maggiore iniziasse a elaborare in tema il supporto necessario allo sviluppo non solo di un pensiero strategico innovativo, ma anche di priorità e obiettivi per la ricerca e la sperimentazione pubblico-privata di carattere tecnico scientifico su questo tema. E a tal fine lo innervò di nuove competenze, provenienti proprio dl mondo privato. E’ venuto il momento di fare di quell’Ufficio un laboratorio sempre più avanzato e soprattutto di porlo al cuore della strategia di difesa. Lo strumento finanziario per farlo oggi c’è. In coerenza all’articolo 122 del Trattato Ue, è stato creato il Safe, 150 miliardi di euro raccolti dalla Commissione sui mercati e concessi ai paesi Ue richiedenti con tassi di assoluto favore, e un piano di rientro fino a 45 anni per ripagare capitali e interessi. Nelle capacità che possono essere acuiste con questi fondi, la categoria 1 è dedicata alle armi tradizionali terrestri e alla protezione delle infrastrutture critiche. Ma nella categoria 2 ci sono non solo sistemi aerei, navali e spaziali, ma anche l’intelligenza artificiale e la guerra elettronica.
Manca come si vede il sesto dominio – a conferma di quanto rimasti indietro – ma esso rientra benissimo nella categoria 2 integrandolo nella cyber war. Non c’è grande possibilità che sia il Satca della Nato a diventare fulcro operativo del sesto dominio (la Francia si oppone). Né che lo sia il fantomatico direttorato per l’intelligence che Ursula von der Leyen ha proposto di insediare presso il proprio ufficio di presidenza, proposta alla quale si oppongono quasi tutti, a partire dalla burocrazia Ue che non vuole veder svuotata la struttura commissariale dell’Alto Rappresentante per la Politica estera Ue, che in teoria si occupa anche di sicurezza. L’Italia può e deve decidere di farlo innanzitutto da sola, mettendo a matrice la collaborazione con tutta l’industria della Difesa Ita, e tenendo insieme stretto il proprio rapporto di cooperazione con Francia, Germania, Polonia e Spagna.
Servono politici con le idee chiare, che non isolino Mattarella e Crosetto ma ne condividano le forti convinzioni. Serve un governo in cui le parti filo putiniane vengano messe in riga. E serve un scelta per il futuro, perché Putin sta dove sta per restarvi, e l’ombrello americano mercantilista non ha più niente a che fare con la Nato tradizionale ma è pronto a concedere alle potenze autoritarie quasi tutto, in cambio di scambi commerciali convenienti per gli USA (e spesso in prima battuta per la famiglia Trump e i suoi diretti accoliti). Non abbiamo bisogno di puntare solo ad armi cinetiche di nuova generazione. E’ la battaglia per heart and brain, quella che viene prima.
L'editoriale dell'elefantino