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il piano di trump

Ratificare l'intesa tra i lestofanti vuol dire resa, a Bruxelles prima ancora che a Kyiv

Giuliano Ferrara

Mentre Trump tiene fermo Zelensky e Putin continua a pestare l’Ucraina al buio e al freddo, l’Europa rischia di scoprire che la sua sovranità è stata umiliata prima ancora di accorgersene. È ora di tirare una riga e fare due conti definitivi nei rapporti con l’alleato americano

In Cina i corrotti presunti, come i nemici accertati del regime, li fucilano a derrate nel silenzio stampa. In Russia chi denuncia la corruzione bucando la propaganda di regime, una corruttela diffusa che gode dell’impunità e prospera nell’incentivo della cooptazione oligarchica a favore del capo dei capi, viene avvelenato, arrestato, deportato in Siberia, congelato. In Ucraina la faccenda si risolve tra commissioni di stato, tribunali e processi, con un passaggio democratico nelle manifestazioni di piazza: una delle vere ragioni della libertà ucraina da difendere è che lì la corruzione si vede e si punisce per vie legali. Invece l’accordo tra i businessman delle grandi potenze e i loro portaborse, Witkoff e Dmitriev, prevede che la corruzione ucraina sia la traccia per la capitolazione, con l’indebolimento e l’intimidazione se non la defenestrazione di Zelensky, implicato il tutto da un piano che sarebbe stato definito in Alaska e circondato poi per settimane di fuffa e depistaggi e farlocchi scatti di umore che non nascondono la svendita commerciale dell’Europa e dei suoi confini e poteri di sovranità politica. Doppio trionfo del kompromat kagebista, a Washington e a Kyiv, con la corruzione, quella vera, sul trono della nuova Yalta, e gli europei benintenzionati tutti al telefono come Alberto Sordi a comunicare il contrordine del loro 8 settembre: i russi si sono alleati con gli americani.

Ci sono cose in politica che accadono prima che ci se ne accorga o non accadono finché non sono accadute, e l’indisponibilità europea e ucraina alla capitolazione potrebbe reggere ancora per qualche tempo. A patto che ci sia la forza, e la decisiva volontà politico-militare, di impedire che Trump tenga fermo il presidente ucraino mentre Putin continua a pestarlo attraverso il bombardamento massiccio e prenditempo del suo popolo ridotto al freddo al buio e all’attacco mortifero di ogni giorno. 

Non si capisce bene se ci fosse tempo per ribellarsi all’umiliazione della sovranità europea fin dall’epoca della Georgia, per non parlare della Crimea, ma è ora di tirare una riga e fare due conti definitivi nei rapporti con l’alleato americano che intende consentire un premio clamoroso all’invasione dell’Europa democratica sovranazionale. Due più due fa quattro, e un’Ucraina senza Crimea e Donbas, senza la difesa Nato, senza l’Ue, senza esercito dopo quattro anni di gloria e resistenza, è precisamente la fine di ogni possibile idea europea di indipendenza e vita politica autonoma, che la si chiami autonomia strategica o altrimenti. L’encefalogramma piatto della Nato si era mosso, due nuovi membri hanno irrobustito le difese, vanificarle oggi con la ratifica in qualsiasi modo e forma di un’intesa tra lestofanti vuol dire resa, a Bruxelles prima ancora che a Kyiv. Vuol dire che lo sforzo in armi e risorse destinato alle famose garanzie contro l’espansionismo neoimperiale e neosovietico dei russi di Putin, così come l’emancipazione almeno parziale dai ricatti energetici e politici del Cremlino, è retrospettivamente un flatus vocis destinato al riflusso e a un contraccolpo decisivo per le classi dirigenti di Londra, Parigi, Roma, Berlino, Madrid e per l’Europa orientale più esposta ai prossimi colpi dell’autocrate. Per questo e solo per questo, un’evidenza assoluta, è difficile che accada quello che sembra essere già accaduto.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.