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il piano di trump
Ratificare l'intesa tra i lestofanti vuol dire resa, a Bruxelles prima ancora che a Kyiv
Mentre Trump tiene fermo Zelensky e Putin continua a pestare l’Ucraina al buio e al freddo, l’Europa rischia di scoprire che la sua sovranità è stata umiliata prima ancora di accorgersene. È ora di tirare una riga e fare due conti definitivi nei rapporti con l’alleato americano
In Cina i corrotti presunti, come i nemici accertati del regime, li fucilano a derrate nel silenzio stampa. In Russia chi denuncia la corruzione bucando la propaganda di regime, una corruttela diffusa che gode dell’impunità e prospera nell’incentivo della cooptazione oligarchica a favore del capo dei capi, viene avvelenato, arrestato, deportato in Siberia, congelato. In Ucraina la faccenda si risolve tra commissioni di stato, tribunali e processi, con un passaggio democratico nelle manifestazioni di piazza: una delle vere ragioni della libertà ucraina da difendere è che lì la corruzione si vede e si punisce per vie legali. Invece l’accordo tra i businessman delle grandi potenze e i loro portaborse, Witkoff e Dmitriev, prevede che la corruzione ucraina sia la traccia per la capitolazione, con l’indebolimento e l’intimidazione se non la defenestrazione di Zelensky, implicato il tutto da un piano che sarebbe stato definito in Alaska e circondato poi per settimane di fuffa e depistaggi e farlocchi scatti di umore che non nascondono la svendita commerciale dell’Europa e dei suoi confini e poteri di sovranità politica. Doppio trionfo del kompromat kagebista, a Washington e a Kyiv, con la corruzione, quella vera, sul trono della nuova Yalta, e gli europei benintenzionati tutti al telefono come Alberto Sordi a comunicare il contrordine del loro 8 settembre: i russi si sono alleati con gli americani.
Ci sono cose in politica che accadono prima che ci se ne accorga o non accadono finché non sono accadute, e l’indisponibilità europea e ucraina alla capitolazione potrebbe reggere ancora per qualche tempo. A patto che ci sia la forza, e la decisiva volontà politico-militare, di impedire che Trump tenga fermo il presidente ucraino mentre Putin continua a pestarlo attraverso il bombardamento massiccio e prenditempo del suo popolo ridotto al freddo al buio e all’attacco mortifero di ogni giorno.
Non si capisce bene se ci fosse tempo per ribellarsi all’umiliazione della sovranità europea fin dall’epoca della Georgia, per non parlare della Crimea, ma è ora di tirare una riga e fare due conti definitivi nei rapporti con l’alleato americano che intende consentire un premio clamoroso all’invasione dell’Europa democratica sovranazionale. Due più due fa quattro, e un’Ucraina senza Crimea e Donbas, senza la difesa Nato, senza l’Ue, senza esercito dopo quattro anni di gloria e resistenza, è precisamente la fine di ogni possibile idea europea di indipendenza e vita politica autonoma, che la si chiami autonomia strategica o altrimenti. L’encefalogramma piatto della Nato si era mosso, due nuovi membri hanno irrobustito le difese, vanificarle oggi con la ratifica in qualsiasi modo e forma di un’intesa tra lestofanti vuol dire resa, a Bruxelles prima ancora che a Kyiv. Vuol dire che lo sforzo in armi e risorse destinato alle famose garanzie contro l’espansionismo neoimperiale e neosovietico dei russi di Putin, così come l’emancipazione almeno parziale dai ricatti energetici e politici del Cremlino, è retrospettivamente un flatus vocis destinato al riflusso e a un contraccolpo decisivo per le classi dirigenti di Londra, Parigi, Roma, Berlino, Madrid e per l’Europa orientale più esposta ai prossimi colpi dell’autocrate. Per questo e solo per questo, un’evidenza assoluta, è difficile che accada quello che sembra essere già accaduto.