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la liberazione
Sansal, il coraggio di un uomo libero che ha ritrovato la libertà
Ha voluto raccontare agli uni che cos'è l'islamismo e a che repentaglio mette il retaggio illuminista dell’Europa, e agli altri che cosa fu l’ottenebramento dell’Europa e la persecuzione degli ebrei. Un'intenzione che lo ha allontanato da entrambi i mondi
All’indomani dell’appello del presidente tedesco Steinmeier, concordato con la diplomazia francese, il presidente algerino Abdelmajid Tebboune ha graziato Boualem Sansal, che da ieri, dopo un anno di prigionia e una condanna a cinque anni per attentato alla sicurezza dello stato, è libero. “Lo stato tedesco si farà carico del trasferimento e delle cure della persona in questione”, recita il comunicato ufficiale. La persona in questione ha 76 anni ed è malato di cancro. Questo giornale, grazie a Pigi Battista e a Giulio Meotti, che con lo scrittore franco-algerino ha un’amicizia lunga e fedele, ha il merito, non così largamente condiviso, di aver sostenuto fermamente la causa della libertà di Sansal. Ieri Meotti ne riscriveva riferendo la campagna di solidarietà promossa da Kamel Bencheikh, e ne scrive con molta più competenza di me oggi. Pochi giorni fa, in un festival di libri palermitano dedicato alle “Letterature migranti”, avevo parlato di Sansal con lo storico dell’islam Marco Di Donato. Sansal è un forte scrittore e un uomo forte. Un anno fa decise di tornare a casa sua, in Algeria, sapendo quanto probabile fosse la sua incarcerazione, e lo si paragonò a Navalny. Altrettanto coraggiosa è la sua dedizione alla verità nella scrittura. Per un algerino, la verità significa prima di tutto decidere di parlare del decennio nero 1990-2000, quando il terrorismo islamista del Gruppo islamico armato, GIA, e la reciproca repressione di un governo militarista e dispotico trasformarono il paese in un vero mattatoio di innocenti. Cui seguì una parodia di riconciliazione nazionale fondata sul divieto assoluto di farne parola: la cancellazione forzata di 200 mila – almeno – vittime e di un paese spartito fra gli sgozzamenti notturni e le vendette diurne.
Sansal scrive in francese, e il suo successo iniziale oltremare fu accolto con compiacimento dalle autorità algerine. Fino a che non sorpassò la linea. Nel 2012 andò alla Fiera del libro di Gerusalemme, e “in un giorno, ho perso la metà dei miei amici”. Si fece un grande amico in Daniel Grossman, ma in patria e fuori passò per un rinnegato sionista. Impressiona, nei suoi romanzi, il proposito di raccontare agli uni che cos’è l’islamismo e a che repentaglio mette il retaggio illuminista dell’Europa, e agli altri che cosa fu l’ottenebramento dell’Europa e la persecuzione degli ebrei. Un’intenzione “pedagogica” – esemplare nel suo “Il villaggio del tedesco”, Einaudi 2009, il suo primo romanzo tradotto da noi – che ha finito per renderlo inviso alla sinistra filoaraba e antisemita, e adocchiato dalla destra islamofoba e improvvisamente filoisraeliana. Ha curato come poteva di guardarsi dagli uni e dagli altri – declinando da ultimo l’assegnazione del premio Sacharov del Parlamento europeo. (Nel quale i parlamentari dei 5 stelle, come rilevò amaramente Paolo Flores, furono tra i 24 voti contrari su 605 alla mozione che chiedeva la scarcerazione di Sansal e degli altri prigionieri di coscienza algerini: “voto infame”).
In questa dedizione “pedagogica” di Sansal (per es.: “Nel nome di Allah. Origine e storia del totalitarismo islamista”, Neri Pozza 2018, o nell’orwelliano “2084. La fine del mondo”, ibid., 2015) c’è una affinità con la scrittura di un romanziere algerino di una generazione più giovane come Kamel Daoud, l’autore de “Il caso Meursault” (2015) da ultimo con il romanzo che gli è valso il Goncourt 2024, “Urì” (La Nave di Teseo). Il Daoud che non viene in Italia, sapete, perché il governo che ha rispedito Almasri estraderebbe lui in Algeria... (Daoud se la vede anche con altri guai: ha scritto in una prima persona femminile, e una donna si è riconosciuta nella sua protagonista, e aveva raccontato la sua storia alla psichiatra moglie di Daoud: i romanzi nascono anche così).
La vendetta israeliana sul pogrom del 7 ottobre e l’ondata inesorabile di solidarietà con i palestinesi di Gaza ha influito sui sentimenti con cui l’impegno di simili “rinnegati” viene accolto. Con i loro avvertimenti occorre fare i conti. Che un uomo libero sia stato liberato è intanto una gran bella notizia.