Le mosse del Cremlino

La diplomazia di Mosca è l'altra arma di Putin contro Kyiv

Micol Flammini

I metodi nei colloqui ricalcano quelli al fronte: il Cremlino costringe gli occidentali nella trincea negoziale. La lezione di Zaluzhny

 Il generale ed ex  capo delle Forze armate dell’Ucraina, Valeri Zaluzhny, una volta nominato ambasciatore per il suo paese presso il Regno Unito, nel 2023, ha capito di dover passare da una trincea all’altra. Non aveva più la mimetica, con cui gli ucraini e il resto del mondo erano abituati a vederlo dal 2019 e con la quale aveva fatto la storia della resistenza e delle controffensive dell’esercito per riprendere ampie aree di territorio che Mosca aveva occupato. Il generale si è portato a Londra le sue mostrine, sapendo di doversi spostare dal campo di battaglia del fronte ucraino a quello della diplomazia fra l’occidente e la Russia. 


Scrive Zaluzhny, in un articolo apparso sulla Ukrainska Pravda: “Eccoci qui, un paese che lotta per la propria esistenza da undici anni consecutivi, in una situazione in cui sentiamo sempre più spesso i ‘forti’ parlare della necessità dei negoziati”. Zaluzhny puntualizza, a scanso di equivoci, di sapere che servono i negoziati per mettere fine alle guerre, ma sottolinea che Mosca è pronta a trattare soltanto alle sue condizioni e cedere a questo ricatto, senza tenere in considerazione gli ucraini, è proprio l’obiettivo finale della diplomazia russa, una diplomazia armata che si muove di pari passo alla guerra sul campo di battaglia. La diplomazia russa, dall’epoca sovietica a quella putiniana, è cambiata di poco, il generale espone i metodi: “Impersonalità collettiva (uso del pronome ‘noi’): formalismo e ritualizzazione (discorsi lunghi, pieni di citazioni ideologiche); rigida intransigenza (la cui incarnazione era A. Gromyko, noto  come ‘Mr. No’); ritardo sistematico delle trattative per guadagnare  tempo”. Con la diplomazia, la Russia mira a esaurire le forze dell’avversario, spiega Zaluzhny, e tutto torna con i round negoziali infiniti, gli appuntamenti mancati, i lunghi discorsi con cui sia Putin sia i suoi collaboratori si presentano di fronte ai loro interlocutori. Quello che Mosca non ottiene combattendo, dopo undici anni, vuole averlo con la diplomazia. 


 Ieri, il viceministro degli Esteri ucraino, Sergiy Kyslytsya, ha detto che i colloqui con la Russia sono stati sospesi fino a fine anno. Kyslytsya ha una lunga esperienza negoziale ed era presente anche agli ultimi colloqui estenuanti in cui i russi impartivano alla squadra ucraina un trattato di storia, distribuivano minacce pungendo i mediatori presenti nel vivo delle loro tragedie personali legate alla guerra e accettando di trattare sul serio soltanto gli scambi di prigionieri. Se Kyiv dice di volere una pausa dei negoziati è perché si è resa conto che la diplomazia russa funziona come un orologio rotto e segna sempre le stesse data e ora: 24 febbraio del 2022. Da allora le richieste del Cremlino non sono cambiate. La rigidità delle posizioni, l’assenza di qualsiasi cenno di compromesso è anche un tratto della diplomazia sovietica mutuata nelle nuove trattative. Scrive Zaluzhny: “Il punto non è accettare compromessi, ma dimostrare disponibilità al dialogo, che può poi essere interpretato in diversi modi. Questa tecnica corrisponde anche alla tattica di separare la verità dalla menzogna: è nella diplomazia che questi confini vengono deliberatamente sfumati”. In diplomazia, i funzionari di Mosca risultano più abili dei generali sul campo di battaglia, nonostante nelle due trincee spesso i metodi coincidano. Aggressione e provocazione, dare l’impressione di forza e controllo indipendentemente dalla condizione al fronte sono sempre  tra le caratteristiche della diplomazia russa e il diplomatico Andrej Gromyko si vantò nei suoi scritti addirittura  di aver reso nervoso il presidente Kennedy, che non osò mai, a detta del diplomatico sovietico, sollevare la questione delle armi missilistiche sovietiche a Cuba. 
 Gli ucraini sono ben preparati, il timore che trapela dal saggio di Zaluzhny è se gli occidentali siano istruiti su quanto la diplomazia altro non sia che un altro campo di battaglia e il generale si trova ora in questa trincea da ambasciatore del paese che, secondo il Financial Times, avrebbe tentato di aprire un canale segreto di comunicazione con Vladimir Putin, per timore che il presidente americano Donald Trump non fosse controllabile. Il quotidiano britannico ricostruisce i contatti fra il consigliere per la sicurezza nazionale del Regno Unito, Jonathan Powell, e il consigliere di Putin per la politica estera, Yuri Ushakov. Powell è un negoziatore esperto e si lanciò nella missione per assicurarsi che a Mosca arrivassero le posizioni di Londra e degli altri europei, preoccupati per l’approccio di Trump. Il tentativo non ebbe nessun effetto e ci fu un solo contatto, confermato dal Cremlino. 


Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha detto di essere pronto a parlare con gli americani e da Mosca è arrivata anche l’apertura a un nuovo incontro con una delegazione ucraina. La Russia usa i colloqui per mostrare di dare valore alla diplomazia e alla “pace” e questa disponibilità è una delle armi nell’arsenale.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)