Nella nebbia

I media italiani sono sempre lesti nel dare l'Ucraina per spacciata

Paola Peduzzi

I russi sono più forti sul campo e gli ucraini sono corrotti: quante volte abbiamo sentito questa versione dei fatti in Italia? Nessun grande giornale europeo riportava questa lettura catastrofista sulla prima pagina. La reazione ucraina allo scandalo di corruzione che lambisce Zelensky

“Fuga”, “ritirata”, ammissioni. A leggere i principali giornali italiani ieri sembrava che la Russia avesse vinto la guerra contro l’Ucraina, grazie alla nebbia che ha permesso a 300 soldati russi di fare l’ennesima incursione dentro la cittadina di Pokrovsk – che i russi cercano di conquistare da 14 mesi – senza essere visti dai droni ucraini, e anche a causa dello scandalo di corruzione che coinvolge la compagnia energetica ucraina Energoatom. I russi sono più forti sul campo e gli ucraini sono corrotti: quante volte abbiamo sentito questa versione dei fatti in Italia?

 

Nessun grande giornale europeo riportava questa lettura catastrofista sulla prima pagina (e nemmeno internamente), così come nessuno citava le cosiddette “ammissioni” di Volodymyr Zelensky, presidente ucraino, sulla situazione difficile sul campo né “l’apertura” del ministro degli Esteri russi, Sergei Lavrov, agli Stati Uniti. Che la situazione sia difficile per gli ucraini non è certo un’ammissione sporadica del presidente: gli ucraini si difendono da 1.360 giorni, anche se le armi fornite dall’occidente sono in calo, anche se il processo politico di adesione all’Unione europea è lento e contrastato, anche se gli asset russi congelati per lo più in Belgio non sono stati ancora messi a disposizione per il prestito esistenziale che l’Unione europea ha promesso a Kyiv.

 

La notizia continua a essere la straordinaria capacità di difesa dell’Ucraina, nonostante la lentezza dei suoi alleati e nonostante la granitica convinzione di molti occidentali a prendere per “un’apertura” le frasi e le azioni di guerra permanente che arrivano dalla Russia. La notizia continua a essere la resistenza e la vivacità della società civile ucraina, che in mezzo a macerie, funerali, buio e freddo continua a combattere contro i russi e anche contro i suoi nemici interni, prima fra tutti la corruzione. Anche la reazione all’ultimo scandalo – appena scoppiato – ha un che di straordinario: in quanti paesi democratici occidentali, gli stessi che danno lezioni di riforme a un paese in guerra, si risponde con tale tempestività ad accuse di corruzione a ministri o a imprenditori vicini ai governi? E’ invero bizzarra – se non crudele – la pretesa democratica che esercitiamo  nei confronti dell’Ucraina e non delle nostre leadership, quando gli ucraini stanno morendo proprio per difendere la loro democrazia, la loro libertà e il loro accesso al mondo occidentale. 

 

Ieri mattina il ministro della Giustizia, Herman Halushchenko, che è stato per molti anni ministro dell’Energia, è stato sospeso dal suo incarico, dopo che il suo nome è comparso in un’inchiesta su riciclaggio di denaro e tangenti dell’azienda energetica Energoatom. Anche l’attuale ministra dell’Energia, Svitlana Hrynchuk, si è dimessa. Il fatto che Halushchenko, che nelle carte dell’inchiesta compare come il “Professore”, sia stato soltanto sospeso ha scatenato un’ondata di indignazione tra molti commentatori ucraini ed europei: proprio come è accaduto quest’estate, dicono, il presidente ucraino non comprende quanto sia disperante per gli ucraini scoprire che la lotta alla corruzione non è determinata e trasparente quanto la lotta che tutto il popolo fa contro i russi. Lo scandalo infatti lambisce Zelensky: al centro ci sarebbe l’imprenditore Timur Mindich, molto vicino al presidente, visto che è coproprietario dell’azienda di produzione di Zelensky, la Kvartal 95, e che sembra che abbia lasciato l’Ucraina poco prima che le accuse delle agenzie dell’anti corruzione diventassero pubbliche. Secondo quanto detto da fonti dell’ufficio presidenziale al Kyiv Independent, il governo ha intenzione di sanzionare Mindich, cosa che molti considerano dovuta ma tardiva, visto che proprio le investigazioni su questo imprenditore avevano, durante l’estate, portato Zelensky a tentare di prendere il controllo delle agenzie anticorruzione. Ci furono delle proteste che infine costrinsero Zelensky a ritirare quella legge sciagurata: i giornali italiani raccontarono quella vicenda come la fine della stagione Zelensky. Eppure nessuno, in quella piazza, chiedeva le dimissioni del presidente, bensì il ritiro della legge. Così come adesso si chiede a Zelensky un’azione concreta contro la corruzione e contro il mastermind di questo scandalo che è suo amico, senza accontentarsi di misure cosmetiche: gli ucraini non possono permettersi un nuovo presidente – queste sono fisime di certi occidentali più o meno ostili a Zelensky – ma non sono disposti ad accettare nessuna ammaccatura del senso di lotta e di resistenza che li tiene insieme e li tiene forti.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi