L'Ue cerca una difesa e un'intelligence tutta sua per affrontare le bizze di Trump
Kubilius sul disimpegno americano ormai è rassegnato. L’occasione di una Cia europea
Poco più di una settimana fa il governo della Romania ha fatto sapere che un’unità di assalto aereo dell’Esercito americano, che era stata dispiegata nella base aerea Mihail Kogalniceanu, situata vicino a Costanza e di fronte al Mar Nero – cioè uno dei luoghi più strategici della Nato per proteggere i suoi cieli sul fianco est – sarebbe tornata a Fort Campbell, in Kentucky, senza essere sostituita. Per la prima volta, un governo europeo stava annunciando che l’impegno militare americano in Europa – rafforzato dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia – stava per essere ridotto concretamente, come anticipato dal presidente americano Donald Trump.
Secondo i funzionari della Difesa di Bucarest, il governo romeno e gli altri alleati erano stati “informati della decisione degli Stati Uniti di ridurre le truppe americane in Europa”. Per ora i funzionari europei hanno saputo della Seconda brigata da combattimento della 101ª Divisione aviotrasportata americana, che finirà la sua missione europea ma non verrà sostituita. In Romania resteranno circa mille soldati americani su 1.700. Le prossime mosse del Pentagono, però, sono oscure. Dopo la diffusione della notizia anche il Comando americano in Europa e Africa ha rilasciato un comunicato per dire che “non si tratta di un ritiro americano dall’Europa né di un segnale di minore impegno nei confronti della Nato”, ma piuttosto di “un segnale positivo di maggiore capacità e responsabilità europea”. Ieri però, con un’intervista al Washington Post – quindi diretta alla capitale federale degli Stati Uniti e alla Casa Bianca – il commissario europeo per la Difesa, Andrius Kubilius, è sembrato rispondere alle ultime novità con un po’ di rassegnazione, ma ancora preoccupato per i metodi. Kubilius ha detto al quotidiano: “Non chiediamo che non se ne vadano mai. Ma non sarebbe ideale se lo facessero all’improvviso, senza coordinamento”. L’Europa deve imparare a cavarsela da sola, ha detto il commissario, ma la questione sul ritiro americano riguarda “quando, a quale ritmo e così via. La mia richiesta a Washington è per un calendario chiaro, magari riservato, non serve annunciarlo pubblicamente”.
Il caos della Casa Bianca, fra le nomine compiute solo tra fedelissimi del presidente americano, i licenziamenti di massa, la politica estera spesso contraddittoria o poco chiara in priorità, obiettivi e comunicazione, sta intaccando alcuni dei fondamentali settori di cooperazione fra l’America e i suoi alleati, soprattutto europei. Ma non si tratta solo della difesa comune garantita dalla Nato, il problema riguarda anche le fondamenta di quella collaborazione, e cioè l’intelligence. Solo nelle ultime settimane, Trump ha minacciato di attaccare militarmente il Venezuela e la Nigeria e ha annunciato un ritorno agli esperimenti atomici – e spesso anche funzionari della sua stessa Amministrazione non avevano idea di cosa parlasse. E’ per questo che il capo della Cia John Ratcliffe, la scorsa settimana, ha compiuto una visita molto discreta a Bruxelles. La notizia è stata rivelata da Politico, che ha spiegato come il capo dell’agenzia di intelligence esterna americana, con l’occasione formale del Consiglio atlantico, abbia avuto delle conversazioni informali anche con l’Alto rappresentante dell’Ue Kaja Kallas, e con funzionari di alto livello sia del Centro d’intelligence sia della Direzione d’intelligence dello stato maggiore militare dell’Ue. “L’obiettivo”, secondo le fonti di Politico, “era quello di rassicurare gli alleati e riaffermare l’impegno di Washington nella condivisione delle informazioni”.
Dopo l’improvvisa sospensione da parte di Trump della condivisione delle informazioni riservate con l’Ucraina, poi ripristinata, gli europei sono stati costretti a riorganizzarsi collettivamente, per fornire intelligence a Kyiv in caso di un altro disimpegno americano. Nel frattempo però il patto di fiducia sul quale si basa la condivisione è compromesso. Già a metà ottobre si è parlato molto di un’intervista dei capi dell’intelligence civile e militare olandese, che avevano detto al De Volkskrant di aver iniziato “a condividere meno informazioni con i loro partner americani”. Erik Akerboom, da cinque anni a capo dello spionaggio civile olandese, ha detto: “A volte bisogna considerare ogni caso singolarmente e domandarsi: posso ancora condividere queste informazioni o no?”. “Trump meriterebbe un Nobel per la Pace per essere riuscito a far collaborare i servizi europei”, ha detto sempre a Politico un funzionario occidentale sarcastico, ma non troppo. Perché il ritiro americano, sia nella concretezza della Difesa, quindi con le truppe sul fianco est, sia per quanto riguarda l’intelligence sta accelerando il dibattito interno su un processo di collaborazione che fino a poco tempo fa sembrava impossibile. Sebbene le differenze siano enormi, e non tutti i paesi membri siano disposti a cedere, c’è chi vede nel caos americano un’opportunità.