La minaccia di Trump alla Nigeria e le ragioni complesse della violenza

Giulia Pompili

Il governo di Bola Tinubu smentisce un viaggio a Washington e parla di libertà religiosa. Ma la violenza continua, la Nigeria scivola verso Pechino e la Casa Bianca cerca di riconquistare spazio in un’Africa sempre più cinese

Ieri il governo nigeriano ha smentito un viaggio a Washington da parte del presidente Bola Tinubu per  colloqui privati d’emergenza “con il vicepresidente americano J. D. Vance”. L’ufficio di presidenza del governo di Abuja ha lasciato intendere che un viaggio non è escluso, ma solo per parlare  con Trump. Sabato scorso il presidente americano aveva scritto a sorpresa su Truth di aver ordinato al Pentagono di iniziare a pianificare una potenziale azione militare in Nigeria: “Se il governo nigeriano continua a permettere l’uccisione di cristiani”, l’America “potrebbe benissimo entrare nel paese ormai in disgrazia per  annientare i terroristi islamici che stanno commettendo queste orribili atrocità”.

 

Poche ore dopo il governo nigeriano ha smentito le accuse, ribadendo che l’Amministrazione guidata da Tinubu sta combattendo il terrorismo “senza lasciare nulla di intentato”, che la Costituzione nigeriana garantisce la libertà di religione e che il governo continua a dialogare con i leader di tutte le fedi per promuovere la pace e garantire la sicurezza.  I dati però dimostrano che l’azione del governo non è sufficiente a fermare la violenza, e non solo contro i cristiani. 

 


Venerdì scorso il governo degli Stati Uniti aveva ufficialmente riconosciuto la persecuzione di massa dei cristiani in Nigeria, designando il paese “di particolare preoccupazione” (Cpc), uno status che si applica ai paesi in cui sono documentate gravi violazioni della libertà religiosa. Era già successo nel 2020, ma poi l’Amministrazione Biden aveva tolto la Nigeria dall’elenco. Nel panorama politico americano, il gruppo da anni più attivo  sulla questione è quello dei cristiani evangelici, e a settembre l’ultraconservatore senatore del Texas Ted Cruz aveva presentato al Congresso un disegno di legge “per proteggere i cristiani” da quello che viene definito da alcuni esponenti repubblicani “un genocidio”. Eppure, secondo diversi analisti la violenza di Boko  Haram e delle bande armate del paese ha a che fare con la religione ma anche con guerre di potere e con “i continui scontri tra pastori e agricoltori”, ha scritto l’Associated Press, e “la crisi è molto più complessa di quanto suggerisca una semplice interpretazione religiosa. La geografia della violenza determina in larga misura chi diventa vittima”, ha detto all’Ap Taiwo Hassan Adebayo, ricercatore dell’Istituto di studi sulla sicurezza nigeriano. Il politico dell’opposizione e attivista dei diritti umani nigeriano, Omoyele Sowore, che da ieri è ricercato dalla polizia di Lagos con l’accusa “di aver complottato per istigare disordini pubblici e bloccare le principali strade dello stato”, ha scritto su X che “ciò di cui la Nigeria ha veramente bisogno non è un salvatore straniero, ma una leadership legittima e responsabile, che protegga tutti i cittadini, difenda la giustizia e ponga fine ai cicli di corruzione e violenza che hanno lasciato la nazione distrutta”. SaharaReporters, il media d’opposizione edito da Sowore, ha scritto che secondo alcune fonti le discussioni tra la presidenza di Tinubu e la Casa Bianca sono in corso, “ma un incontro faccia a faccia non è ancora previsto”.

 


Il deterioramento della sicurezza in Nigeria e lo strapotere delle bande criminali, che spesso si interseca con l’estremismo islamico e che fa vittime cristiane, sono collegati anche alla frastagliata leadership di Tinubu. La Nigeria, il paese più popoloso d’Africa, demograficamente diviso a metà fra cristiani e musulmani e da decenni considerato un buon alleato dei paesi occidentali, ha visto il governo di  Abuja avvicinarsi sempre di più a Pechino e Mosca. Un recente articolo dell’Africa Defense Forum,  pubblicato dallo United States Africa Command, scriveva che “l’estrazione mineraria illegale in Nigeria è in forte crescita e sta alimentando la violenza, soprattutto nelle aree con alti tassi di disoccupazione. Cittadini e aziende cinesi, in collaborazione con reti criminali locali, sono alla guida di questo fenomeno che costa al paese circa 9 miliardi di dollari l’anno”. Secondo le informazioni raccolte, “i minatori stranieri stringono accordi con criminali che offrono protezione in cambio di armi e denaro. Questo ha alimentato i rapimenti a scopo di riscatto, il banditismo, il reclutamento nelle organizzazioni criminali e scontri comunitari che continuano da anni”. Un anno fa l’Ap aveva pubblicato un lungo reportage da Pasali, vicino alla capitale nigeriana,  dove nelle miniere illegali gestite dai cinesi lavorano anche bambini molto piccoli. Un anno fa il presidente Bola Tinubu, che a gennaio 2024 aveva evitato il vertice Italia-Africa organizzato da Palazzo Chigi, è volato a Pechino, e la Nigeria è stata una delle destinazioni del viaggio di inizio anno del capo della diplomazia cinese Wang Yi. Secondo i dati del ministero dello Sviluppo nigeriano, dal settembre 2023 aziende cinesi tra cui Canmax Technology, Jiuling Lithium, Avatar New Energy e Asba, hanno investito oltre 1,3 miliardi di dollari nella lavorazione del litio nel paese. La ultraventennale partnership nel settore della Difesa fra America e Nigeria è valutata 1,5 miliardi di dollari. Secondo diversi osservatori, le pressioni della Casa Bianca sul paese hanno a che fare anche con il maldestro tentativo di tornare a essere influenti in un’area dove oggi c’è soprattutto la Cina. E  i suoi metodi. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.