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1941-2025
Dick Cheney, il Richelieu americano che tutti amavano odiare
Non è stato quel perverso genio del male e burattinaio che quasi sempre viene in mente pensando al suo nome, nonostante, almeno nella prima Amministrazione Bush, sia stato uno dei più potenti vicepresidenti nella storia americana
I necrologi dedicati a Dick Cheney lo inseriranno in una lunga lista di uomini misteriosi e controversi che “sussurravano ai potenti” e avevano spesso più potere dei loro capi. Un elenco che va da Machiavelli a J. Edgar Hoover ed Henry Kissinger, passando per il cardinale Richelieu e Rasputin. Tutte figure a cui Cheney è stato regolarmente paragonato nel corso dei decenni della sua carriera politica. È però una caratterizzazione frutto di pigrizia di fronte a stereotipi che la storia si occuperà poi di cancellare. Come è già successo per Ronald Reagan e l’idea mainstream che fosse solo “un attore prestato alla politica”, con limitate capacità intellettuali, e non invece uno dei grandi statisti del ventesimo secolo. E come sta succedendo per entrambi i presidenti Bush, padre e figlio, riletti dagli storici con più interesse e rispetto di quanto non abbiano fatto i cronisti.
Cheney, morto a 84 anni per le conseguenze di lungo termine dei cinque infarti accumulati dal 1978, non è stato un Reagan, non aveva lo spessore di Machiavelli o Richelieu, ma non è stato neppure quel perverso genio del male e burattinaio che quasi sempre viene in mente pensando al suo nome. È stato invece uno degli ultimi esponenti di rilievo dell’ala conservatrice del partito repubblicano, spazzata via da Donald Trump e dai Maga anche per colpa dei giganteschi errori di cui Cheney – questo sì – si è reso corresponsabile. Primi tra tutti la guerra in Iraq del 2003 e la deriva del potere esecutivo che ha accompagnato la lotta americana al terrorismo dopo l’attacco dell’11 settembre 2001, sfociata in scelte come il Patriot Act e Guantanamo e in ultima analisi nelle derive dei casi di tortura della Cia e nelle umiliazioni di Abu Ghraib.
Se questa è l’eredità nera di Cheney, e non è certo poco, va comunque letta senza le semplificazioni di chi lo ha visto sempre come l’attore malvagio dietro le quinte, il Darth Vader capace di manovrare in modo occulto “l’imperatore” George W. Bush usando il lato oscuro della Forza. Non c’’è dubbio che Dick Cheney sia stato uno dei più potenti vicepresidenti nella storia americana, ma lo è stato per deliberata scelta di Bush, che voleva una mano esperta e competente al proprio fianco, e lo è stato in buona parte solo nel primo mandato dell’amministrazione repubblicana. Già nel secondo periodo, tra il 2005 e il 2009, il ruolo di Cheney era significativamente ridimensionato, con l’allontanamento dal Pentagono del suo vecchio alleato Donald Rumsfeld, l’arrivo di Robert Gates alla Difesa e l’aumento del potere di Condoleezza Rice, passata dalla Casa Bianca alla poltrona di segretaria di Stato al posto di Colin Powell. È negli anni della presidenza di Barack Obama che la “leggenda nera” di Cheney viene costruita e tramandata fino all’eccesso da parte dei democratici, con il suo successore alla vicepresidenza, Joe Biden, che si era spinto a definirlo “il vice più pericoloso nella storia americana”.
Cheney è stato machiavelliano non nell’accezione di spregiudicatezza quasi criminale con cui di solito viene raccontato, quanto per il realismo politico, pragmatico ai limiti del brutale, con cui ha accompagnato due amministrazioni repubblicane, entrambe legate al cognome Bush. Ma è stato anche, negli anni del crepuscolo, uno dei più lucidi oppositori della svolta Maga imposta al suo partito ed è morto un anno esatto dopo aver dichiarato pubblicamente il proprio voto per Kamala Harris, rivendicandolo come un gesto necessario per “salvare la democrazia americana”, a suo avviso minacciata “da quel vigliacco di Donald Trump”. “Abbiamo il dovere – diceva in quei giorni di autunno del 2024 - di mettere il paese prima del partito e della partigianeria, per difendere la nostra Costituzione”. Una posizione su cui era in perfetta sintonia con la figlia Liz, l’ex deputata repubblicana del Wyoming che ha rotto con Trump dopo l’attacco a Capitol Hill del gennaio 2021 e un anno fa girava l’America al fianco della Harris, per chiedere un voto per la candidata democratica.
Con Cheney se ne va un altro pezzo di ciò che resta dell’establishment repubblicano spazzato via da Trump. Dopo la scomparsa di John McCain, l’esilio volontario di George W. Bush, la marginalizzazione di Mitt Romney, la criminalizzazione di Liz Cheney da parte della Casa Bianca e la resa di tanti altri al predominio trumpiano, quella di Cheney è un’altra voce di opposizione interna che scompare. Ed era una voce significativa, proprio perché era stato proprio lui a porre le premesse per le derive del potere esecutivo oggi imputate a Trump. Lo sapeva e aveva provato, inutilmente, a rimediare.
La telefonata improvvisa