Ahmed al Sharaa e Giovanni X

in siria

Sharaa vede il patriarca ortodosso a Damasco. Appelli alla riconciliazione con i cristiani

Luca Gambardella

Il presidente siriano vede Giovanni X che gli mostra una copia dell’Ashtiname di Maometto, il patto della conciliazione fra musulmani e cristiani

“Scoprirai che i più prossimi nell’affetto verso i credenti [musulmani] sono coloro che dicono: ‘Siamo cristiani’. Damasco è il primo luogo di coesistenza dell’umanità. E la sua promessa è un patto e un dovere, con tutto il mio amore”. Le poche righe scritte dal presidente siriano  Ahmed al Sharaa durante la visita di domenica alla cattedrale Mariamita di Damasco, citando un versetto del Corano, sono il manifesto dell’ex jihadista per mandare un messaggio di riconciliazione alle minoranze del paese. Nella chiesa ortodossa della città vecchia è andato in scena uno degli incontri più significativi da quando Sharaa ha spodestato il regime. Ha incontrato il patriarca di Antiochia, Giovanni X, per rinnovare le sue buone intenzioni e accreditarsi come il presidente di tutti. 

 

 

I due hanno scherzato, si sono stretti la mano, si sono confrontati sulla situazione e sulle difficoltà della minoranza cristiana. Il clima teso che solo lo scorso dicembre si percepiva tra le mura di questa stessa cattedrale, a pochi giorni dalla fuga di Assad, oggi sembra  più sfumato. Il dittatore era stato il paladino della comunità cristiana in Siria, finché la sua  fuga in Russia non aveva lasciato  i fedeli cattolici, ortodossi e armeni privati di qualsiasi garanzia per la propria sicurezza. Da dicembre a oggi, gli attacchi ai fedeli cristiani da parte di alcune frange più estreme e indisciplinate delle milizie islamiste di Sharaa avevano preso di mira famiglie e comunità intere, soprattutto nelle province dove i cristiani erano più numerosi, quelle di Hama e Homs.  Cimiteri e chiese profanate, omicidi, furti, rapimenti. Sullo sfondo, lamentavamo le autorità ecclesiastiche, nessun confronto serio con i nuovi governanti. “Chi scriverà la Costituzione? Che ne sarà di noi?”, si chiedeva un monaco incontrato dal Foglio lo scorso dicembre  nella cattedrale Mariamita. A giugno, nella chiesa di Sant’Elia a Damasco, ci fu il momento più drammatico, con uno degli attentati più violenti lanciati alla minoranza cristiana e rivendicato da un commando di attentatori suicidi di confessione sunnita, Saraya Ansar al Sunnah. Morirono 30 fedeli riuniti in preghiera, 60 furono i feriti. “Noi cristiani non siamo di passaggio”, aveva detto Giovanni X.

Ora il simbolismo della visita di Sharaa nella cattedrale ortodossa ha trovato il suo apice nel messaggio che il patriarca  ha voluto trasmettergli, mostrando con orgoglio una copia dell’Ashtiname di Maometto, il patto della conciliazione fra musulmani e cristiani. L’antico manoscritto sarebbe stato scritto sotto la dettatura dello stesso Maometto da Ali, il cugino del Profeta diventato primo imam sciita duodecimano. Si tratta di una lettera scritta nel 623, un anno dopo l’Egira, la fuga di Maometto a Medina. Era indirizzata ai monaci del monastero di Santa Caterina, nel Sinai, in cui il Profeta prometteva il suo impegno nel difendere la libertà di culto dei cristiani e i loro beni. Un giuramento dei musulmani autenticato dalla riproduzione della mano del Profeta e diventato nei secoli il simbolo del dialogo e della conciliazione fra le due confessioni. 

Solo pochi anni fa, era il 2020, il patriarca Giovanni X aveva accolto nella stessa cattedrale Assad accompagnato dal presidente russo Vladimir Putin. Altri tempi, quando la protezione dei cristiani non era mai stata messa in discussione. Oggi i più scettici descrivono l’incontro fra il patriarca e Sharaa come emblema della dhimmitudine, la sudditanza della comunità cristiana ai nuovi leader dal trascorso jihadista celata dietro sorrisi di circostanza. In Parlamento, intanto, i cristiani eletti al voto di qualche settimana fa sono appena due e la strada per la riconciliazione professata dall’Ashtiname di Maometto, a Damasco, sembra ancora lunga.      
 

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.