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l'incontro a tel aviv
Naftali Bennett incontra curiosi ed elettori e promette: curerò Israele
L'appuntamento con i finanziatori del suo nuovo partito diventa un evento pubblico: “Non dimenticheremo mai la prima sirena del 7 ottobre. Ma già il giorno dopo ci rimboccavamo le maniche per ricostruire il paese. Ora è il tempo di governarlo”, dice l'ex primo ministro israeliano. L’agenda elettorale
Tel Aviv. “Quando il mattino del 7 ottobre ho cominciato a ricevere messaggi dal kibbutz Kfar Aza dove imploravano il mio aiuto, come se fossi ancora il premier, ho capito che ci trovavamo di fronte al più grande fallimento della storia di Israele, e che ne eravamo tutti responsabili, me incluso”. Sono queste le parole di Naftali Bennett, ex primo ministro tra il 2021 e il 2022, durante la sua prima apparizione in pubblico da quando si è dimesso dal ruolo di capo del governo. “Quel sabato rappresenta uno spartiacque nella storia del paese, perché ha messo a nudo la nostra vulnerabilità e le nostre divisioni politiche, ma anche la determinazione di un popolo, quando sa ritrovare la propria unità e la propria strada. Il percorso è ancora lungo e dobbiamo imparare da tutti gli errori commessi, per mostrare a noi stessi e al mondo chi sono i ragazzi e le ragazze che, a meno di ventuno anni, soli contro un esercito di terroristi, sono riusciti a salvare migliaia di vite. Questi giovani eroi rappresentano la futura classe dirigente e politica del paese. Il mio unico scopo è, tra otto anni, lasciare loro un paese sicuro in cui l’unico problema sarà come meglio redistribuire la risorse per il welfare”.
Doveva trattarsi di una serata “intima” con il principale gruppo di sostenitori e finanziatori di Bennet 2026, il nuovo partito fondato dall’ex premier lo scorso aprile. Ma nel giro di pochi giorni si è sparsa la voce ed è arrivata la richiesta che potesse diventare un evento pubblico. Al punto che giovedì sera, fuori dall’edificio dello studio legale Herzog Fox & Neeman, a Tel Aviv, si è creata una coda di cittadini tutti intenti a entrare per sentire cosa questo ex business man, che ha cambiato in pochi anni sia carriera sia orientamento politico, abbia da offrire a un elettorato stanco di oltre due anni di guerra e di quasi 15 anni consecutivi – salvo la parentesi dello stesso Bennett – di governo Netanyahu.
Nella sala conferenze non c’è abbastanza posto per tutti ma, all’israeliana, come quando bisogna nascondersi nei rifugi a causa dei bombardamenti, alla fine si è trovato posto per chiunque volesse ascoltare, porre domande o perplessità, all’uomo che, dal 7 ottobre, sta dedicando tutte le sue energie in unica direzione: “Dobbiamo risanare il paese, e per farlo dobbiamo essere uniti, in tutte le diversità che rendono Israele unico al mondo: unendo laici e religiosi, destra e sinistra, ebrei e arabi”.
Il primo premier a indossare la kippah nella storia di Israele è stato, infatti, anche il primo nella storia del paese a mettere assieme un governo a larghe intese, includendo nella maggioranza un partito arabo israeliano. Non sorprende che tra il pubblico, in cui le kippah invece, si contano sulle dita di una mano, si faccia avanti Mohammed: “Credo di rappresentare la minoranza in questo pubblico, ma nell’elettorato israeliano gli arabi rappresentano il 20 per cenro della popolazione. Siamo in tanti. Perché dovremmo votarla?” Non è una domanda di poco conto, considerando che Bennett, in giovane età, ha fondato la sua carriera politica difendendo il diritto dei coloni a costruire insediamenti in Cisgiordania. Ma è anche un ex ceo formatosi nell’high-tech e con lo stesso pragmatismo ha risposto sia a Mohammed, dimostrandogli il suo interesse per le minoranze e le sue precedenti collaborazioni con le amministrazioni di diversi villaggi arabi, sia a chi gli chiede come risolvere la spinosa questione del servizio militare obbligatorio anche per gli haredim: “Dobbiamo integrare gli ultraortodossi non solo nell’esercito, ma anche nel sistema educativo e lavorativo”.
Questi i principali caposaldi della sua futura campagna elettorale: aprire un’investigazione parlamentare sulle responsabilità del 7 ottobre; varare la legge che limiti il governo di uno stesso premier per massimo due mandati (8 anni); siglare una Costituzione che al suo interno dovrà definire punti salienti come la coscrizione obbligatoria; garantire una decentralizzazione dei poteri con maggior responsabilità a comuni e regioni; portare a compimento la riforma giudiziaria, ma senza distruggere i valori e le competenze della Corte Suprema. Infine, ricominciare a governare: “Non dimenticheremo mai la prima sirena del 7 ottobre – conclude – che ci ha svegliato di fronte al più grande fallimento politico nella storia di Israele, ma ha anche risvegliato le nostre anime. Già l’8 ottobre ci rimboccavamo le maniche per ricostruire il paese. Ora è il tempo di governarlo”.